Giustizia: sporco fin quando non viene lavato

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di Salvo Barbagallo

Giorgio Napolitano
Giorgio Napolitano

Il “principio” è stato ritenuto “giusto” e quindi applicato: fino a completa dimostrazione di colpevolezza si resta innocente. Nell’intervallo della “dimostrazione” c’è il dubbio: si è o non si è innocente? Il dubbio può distruggere chi è senza colpa in attesa che venga dimostrata l’assenza di colpa, e giova invece a chi le colpe le ha in quanto, alla fine, se le presunte colpe non vengono provate, se la cava brillantemente. Se non fosse per la lungaggine dei procedimenti giudiziari (lungaggine spesso giustificata dalla complessità delle indagini) la “chiarezza” sulle “anomalie” (cioè sui reati, veri o presunti) apparirebbe senza contrasti. Un panno è destinato a restare sporco fin quando non viene lavato e riportato alla stato originario, ma ci sono macchie che i detersivi non riescono a eliminare: è l’immagine di chi è innocente che rimane macchiata.

Le situazioni che si verificano tutti i giorni in ambito politico non appartengono solo alla sfera della Giustizia ma, soprattutto, al rapporto di fiducia di chi rappresenta la collettività con la collettività stessa che rappresenta. Ora ha ragione il Premier Matteo Renzi quando sostiene che un indagato non è “colpevole” se la sua colpa non viene dimostrata e, quindi, condannata in maniera definitiva. Il premier Matteo Renzi, però, non tiene nel debito conto il “rapporto di fiducia” tra la collettività e chi la rappresenta: questo “rapporto” presuppone un’assoluta trasparenza e non contempla “ombre” o “sospetti”. Attribuire responsabilità ai mass media che denunciano le “anomalie” nei comportamenti di questo o quel politico (che stia al Governo oppure no, il senso non cambia) è crearsi preventivamente alibi che non fanno altro che accrescere dubbi e sospetti. Se il PD (partito di Governo) ha 124 indagati e imputati (come ha messo in luce nell’edizione di ieri, 21 aprile, Il Fatto Quotidiano), la “responsabilità” di certo non può essere attribuita ai mass media o alla collettività, ma a chi ha imposto i nomi da “votare”, selezionandoli chissà fra quanti aspiranti a una poltrona in Parlamento o nelle pubbliche amministrazioni. È fuor di luogo (a nostro avviso) parlare di “barbarie giustizialista” (Matteo Renzi, premier Italiano, che invita a non votare) o di conflitto Politica-Giustizia (Giorgio Napolitano, ex Capo dello Stato Italiano, che invita all’astensionismo).

Piercamillo Davigo
Piercamillo Davigo

Il magistrato Piercamillo Davigo, neo-presidente dell’Anm, intervistato da Marco Travaglio, afferma: “Noi facciamo indagini e processi. Se poi le persone coinvolte in base a prove e indizi che dovrebbero indurre la politica e le istituzioni a rimuoverle in base a un giudizio non penale, ma morale o di opportunità, vengono lasciate o ricandidate o rinominate, è inevitabile che i processi abbiano effetti politici. Se la politica usasse per le sue autonome valutazioni gli elementi che noi usiamo per i giudizi penali e ne traesse le dovute conseguenze, processeremmo degli ex. Senza conseguenze politiche (…) processiamo gente abbarbicata alla poltrona, che nessuno si sogna di mandare a casa malgrado condotte gravissime (…)”.

Matteo Renzi
Matteo Renzi

In Italia sono tanti (sicuramente troppi) i personaggi più o meno illustri del mondo della politica che risultano “compromessi”. Giorni addietro ci riferivamo su questo giornale a quanto accade in Sicilia e chi la Sicilia rappresenta: “I loro nomi spuntano puntualmente e periodicamente a destra e a manca sui quotidiani nazionali a seguito di inchieste della magistratura, a seguito di intercettazioni, alcuni nomi direttamente, altri per riflesso. Sono nomi di Siciliani illustri, di tutto rispetto, che la Sicilia e i Siciliani tutti rappresentano, in un modo o in un altro. Le vicende in cui appaiono questi nomi sono le più disparate, e dentro queste vicende vi si trovano (o si ritrovano) parlamentari, imprenditori, professionisti. Normalmente sui mass media locali i riscontri di storie individuali (o generali) vengono riportati quando i “casi” diventano eclatanti, e il motivo è semplice: quasi sempre le fonti d’informazione non sono locali e quindi poco accessibili dalle periferie. Ma il punto d’attenzione non è solo questo. A nostro avviso (ma potremmo essere in errore): c’è l’inconscia speranza che le malefatte nelle quali i nomi illustri, a vario titolo, sono coinvolti non corrispondano a verità. D’altra parte vale costantemente il principio della presunta innocenza, fino a quando chi è accusato non viene giudicato definitivamente colpevole. Probabilmente questo potrebbe costituire un “alibi” per quanti credono che esistano ancora punti di riferimento certi e inattaccabili, e per quanti possono essere interessati a mantenere il dubbio sulla loro integrità, affermando d’essere “sereni” e “fiduciosi” nell’operato della magistratura”.

Cosa aggiungere d’altro? Nulla: il discorso vale da un capo all’altro del Paese.

 

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