Cile: nelle viscere di “el teniente”, la verità non è per sempre

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CILE: NELLE VISCERE DI ” EL TENIENTE” LA MINIERA DI RAME PIÙ GRANDE DEL MONDO
“EL TENIENTE”, LA VERITÀ  NON È PER SEMPRE

di Agostino Spataro

1… Ogni qual volta si legge di un nuovo furto di cavi di rame (una vera piaga da estirpare al più presto), il pensiero corre alla fonte, al Cile primo produttore mondiale di rame il quale, grazie agli incrementi del prezzo internazionale del minerale realizzatisi nell’ultimo quindicennio, è riuscito a rilanciare la propria economia e a rafforzare la ritrovata democrazia, dopo 18 anni di sanguinosa dittatura militare di destra.

La forte crescita della domanda proveniente in particolare dalla Cina (+ 40%) e le nuove  applicazioni (specie nelle tecnologie informatiche), hanno trasformato il rame in un materiale strategico.
Sulla nuova realtà del mercato si appuntano gli appetiti delle grandi multinazionali Usa, canadesi, australiane, ecc. che mirano ad appropriarsi della produzione e della distribuzione su vasta scala. Un commercio florido quello del rame, in parte anche informale, clandestino dove operano anche  piccole bande di ladruncoli e di ricettatori che creano seri problemi alle imprese e ai servizi di trasporto e di rifornimento elettrico.

Come si ricorderà, in Cile per mettere le mani su questa ricchezza, fu dato incarico ai militari golpisti  di abbattere con la violenza sanguinaria il primo governo della sinistra eletto dal popolo e presieduto da Salvador Allende che aveva decretato la nazionalizzazione della produzione di rame.

Era l’11 settembre del 1973, il primo “9/11” di cui nessuno parla e/o scrive sui media a grande tiratura per far dimenticare il primo e tenere vivo il secondo (del 2001 a New York) del quale ancora si sconoscono (anche se molti li intuiscono) i responsabili effettivi, i mandanti e le finalità.

2… Dietro i golpisti cileni c’erano gli agenti della Cia che agirono sulla base dei piani elaborati dal dipartimento di stato Usa retto, a quel tempo, da Henri Kissinger, che di lì a poco sarebbe stato insignito (frettolosamente direi) del premio Nobel per la Pace.

Anche quest’affronto ha dovuto sopportare la Pace malferma, faticosamente preservata!

Ora, un altro Nobel per la Pace, il presidente Obama, ha deciso di volare in Argentina il prossimo 24 marzo a complimentarsi con Mauricio Macri per la sua striminzita (51%) e vindice vittoria elettorale.

B. Aires, Esma/ Museo della Memoria, foto di desaparecidos
B. Aires, Esma/ Museo della Memoria, foto di desaparecidos

Il 24 marzo non è un giorno qualsiasi, ma quello in cui cadrà il 40° anniversario del colpo di stato militare dei generali argentini (Videla e soci), attuato in base alle stesse direttive del “piano Condor”, che di vittime ne fece almeno 30 mila. 

Una decisione davvero sorprendente che non si capisce se dettata dall’imprevidenza, dalla mancata consultazione del calendario o se vorrebbe essere una provocazione, una sfida tremenda al dolore, ai lutti degli argentini vittime di quella dittatura.

Che dire? L’unica cosa è sperare che a Washington prevalga almeno il buon senso e sia risparmiato tale insulto alle madri, alle abuelas, agli orfani, ai popoli sud-americani e del mondo intero.

3… In quel tragico 11 settembre cileno si volle bloccare, liquidare un processo politico democratico, un governo unitario della sinistra che aveva fatto del rame un’arma politica e uno strumento di crescita economica. Inoltre, la vittoria di “Unidad popular” dimostrò  che era possibile compiere un’opzione di tipo socialista nella libertà e con il consenso elettorale. Senza i carri armati del Patto di Varsavia. Un esempio pericoloso, esportabile e pertanto da liquidare. Da qui il golpe, la massa degli oppositori ammazzati, imprigionati, i giovani scomparsi (ne mancano circa 5.000 all’appello, agli affetti dei congiunti), gli esuli dispersi per il mondo. 
Molti si rifugiarono in Italia, accolti a braccia aperte dai partiti della sinistra, dai sindacati, dalle associazioni umanitarie.

Dall’esilio si continuò a lottare, a sognare: il rame, il sole delle Ande, il canto potente degli Inti Illimani,  l’amore, il dolore, la speranza di tornare. Dopo 18 terribili anni, il mostro morì e la libertà rinacque.
Gli esuli tornarono e i cileni uscirono dall’incubo e dalla paura per ripristinare e rilanciare, d’intesa con l’ala progressista cattolica, la democrazia e l’economia in quel paese abbrutito dalla tirannia di Augusto Pinochet.

Michelle Bachelet, 2005, candidata (eletta) presidente della repubblica del Cile
Michelle Bachelet, 2005, candidata (eletta) presidente della repubblica del Cile

4… Fra gli esuli c’era (a Berlino- Est) l’attuale presidenta cilena Michelle Bachelet, figlia di un alto ufficiale vittima di quella dittatura, essa stessa tenace militante di sinistra e combattente antifascista, per la seconda volta rieletta alla carica che fu di Salvador Allende.

Oggi in centro e sud America si sta creando un clima pesante, torbido per sbaraccare tutte le esperienze di governo di sinistra e progressiste (come quella cilena in atto). C’è da sperare che anche la presidenta Bachelet alzi gli occhi in alto per vedere gli avvoltoi del Nord tornati a volteggiare negli splendidi cieli latinoamericani.

Ormai, il disegno è chiaro: si vogliono annullare le conquiste democratiche e i risultati positivi delle politiche d’inclusione sociale, frutto di dure lotte popolari e del lavoro, talvolta anche controverso, di legittimi governi progressisti.

Si vogliono ricacciare nel caos politico, nella rivolta sociale (e non solo) questi Paesi e i popoli nella miseria da cui, finalmente, erano usciti, stavano uscendo.

Popoli semplici ma di grande dignità, che adorano la Terra come loro Madre.
Oggi questa Madre (Pacha Mama) è minacciata, violata da presenze straniere e da interessi di rapina che la stanno sventrando nei suoi punti nevralgici, fin dentro la sacra “selva”, la foresta amazzonica, il polmone verde del mondo che consente di respirare anche a noi che fingiamo di non vedere lo scempio in atto.

Tutto ciò per mettere le mani sulle enormi risorse materiali del continente latino americano ossia una delle  regioni del mondo ancora vitale, pulsante che si è messa in cammino verso obiettivi di  sviluppo diffuso e compatibile. Una realtà che il mondo dovrebbe proteggere per un principio di umana giustizia, adottare come madre che fornisce all’umanità beni indispensabili alla sua sopravvivenza.

5… E qui mi fermo, per tornare al rame, alla miniera cilena più emblematica che visitai qualche anno fa. Da Santiago alla miniera “El Teniente”, allora considerata la più grande del mondo, vi sono circa 120 km, in gran parte in territorio pre-andino, arido e impervio.

La miniera porta questo nome in onore di un suo operaio antifascista caduto, combattendo col grado di “teniente”, nella guerra civile spagnola.

Tenevo molto a questa visita. Ricordo che mentre altri giornalisti correvano a Copiacò a riprendere la scena del dramma (molto televisivo) dei minatori imprigionati nelle viscere della mina San Josè, preferii recarmi a “El teniente” per avere un’idea della miniera simbolo dello scontro tragico fra il governo legittimo del presidente Salvador Allende e i monopolisti privati cileni e stranieri.

La miniera è stata, e resta, un nodo centrale dello scontro economico e politico, una bandiera della libertà, della democrazia, un punto di forza della classe operaia cilena.

Com’è noto, attorno a “El teniente” si svolse una memorabile lotta operaia, una battaglia politica, parlamentare e popolare per bloccare il disegno delle forze reazio­narie locali e internazionali (in particolare Usa) le quali prima tentarono d’impedirne la nazionalizzazione e poi di riprendersela col colpo di Stato del generale Pinochet.

In quel golpe cadde, combattendo, il presidente Allende che pagò con la vita la sua coraggiosa scelta politica. Anche il popolo cileno pagò, con 18 anni di feroce dittatura, il sostegno dato al governo legittimo della sinistra, il suo amore per la libertà.

2010- Scheda della miniera "El teniente"
2010- Scheda della miniera “El teniente”

6… Nonostante ciò, la miniera è rimasta di proprietà pubblica ed è ancora lassù, annidata fra le orride balze dei rilievi pre- andini, a produrre ricchezza per il Cile.
Per raggiungerla bisogna imboccare la “Carretera del Cobre” che s’inerpica lungo i pendii a strapiombo, affiancando il vecchio “ferrocarril” che porta fino alla spianata degli ingressi.

Tutt’intorno, si snoda la corona delle Ande, bellissime e incombenti, che cingono l’immensa piana, sulla quale si stende Santiago obbligata a degradare verso l’oceano Pacifico. In alto, sulle cime delle montagne, volteggiano coppie di condor, sovrani incontestati dei cieli più alti, i più acuti ed efficienti uccelli predatori del Pianeta.

Negli impianti di “El Teniente” lavorano diverse migliaia di persone che (nel 2014) hanno prodotto 470.000 tonnellate di ottimo rame. Gli otto livelli della miniera (profonda 1.800 metri) sono collegati da circa 6.000 km di strade sotterranee, di cui la metà in pieno eserci­zio.

Le riserve di rame accertate in questo bacino consentono uno sfruttamento per altri 100 anni.

Questa, in sintesi, la scheda (vedi foto) della miniera da cui si estrae il 30% della produzione mondiale di rame ossia buona parte della ricchezza di questo Paese, povero e bislungo.

4° livello, a tavola con i minatori
4° livello, a tavola con i minatori

7… Negli ultimi tempi, la domanda e i prezzi sono cresciuti oltre ogni pre­visione e il Cile ha intensificato la ricerca, la produzione e riattivato perfino molte vecchie mine dismesse.

Tuttavia, la miniera per antonomasia è “El Teniente”. Qui tutto è grande: i numeri della produzione, delle infrastrutture e anche la fatica degli uomini e delle donne che vi lavorano.

A bordo di agili minibus, scendiamo fino al 6° livello. Nel sottosuolo si aprono scenari davvero spettacolari, belli e orrendi al tempo stesso. La guida ci spiega che con la nazionalizzazione sono molto migliorate la sicurezza e le condizioni di lavoro.

Alla mensa del 4° livello mi siedo fra un gruppo di giovani operai che stanno pranzando. M’interessa sapere qualcosa di loro, della realtà di questa favolosa miniera progettata e messa in esercizio, nel 1901, da al­cuni ingegneri italiani.

Ovviamente, parliamo del loro duro lavoro, della storia economica e politica di “El Teniente” su cui mi ero un po’ documentato A un certo punto, mi accorgo che sono io a raccontare; loro non parlano, ascoltano…

Ci resto un pò male. Chiedo al più giovane cosa sa­pesse di quelle storie. Risponde che non molto. Solo qualcosa di Allende “el presidente”.

Eppure, da quei tragici eventi sono passate solo due generazioni. 

Come dire, la verità non è per sempre!

E in carenza o, peggio, in assenza di memoria, gli avvoltoi possono svolgere più agevolmente il loro sporco lavoro.

 

Fonte (7 marzo 2016)

*Le foto (mie) non sono granché. Perciò, accontentatevi o cercate di meglio. 

 

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