Latakia in Siria come Sigonella in Sicilia?

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di Salvo Barbagallo

 

L’antica città fenicia Loadigea, oggi Latakia e in arabo Lattakia in Siria è da alcuni giorni al centro dell’attenzione mondiale: i russi hanno dispiegato aerei e batterie di missili in grande quantità e ciò desta grande preoccupazione negli ambienti militari, principalmente per la situazione bellica che si vive quotidianamente in quel territorio tormentato. Davide Frattini su Corriere della Sera lunedì scorso (1 febbraio) scriveva: Il 26 gennaio il satellite israeliano Eros B (lanciato nell’aprile del 2006 dalla società ImageSat International anche per monitorare lo sviluppo del programma atomico in Iran) passa sopra al Medio Oriente in una delle sue orbite-sorveglianza di routine. Questa volta è in grado di scattare le immagini sopra alla base dell’aviazione militare russa a Latakia in Siria: il dispiegamento dei jet Sukhoi nei vari modelli, le batterie anti-missile, i nuovi hangar. Tutto sulle coste del Mediterraneo. Come spiega Tal Inbar del Fisher Institute for Air & Space Strategic Studies «è la prova che Mosca non è sbarcata in Siria per un’operazione temporanea in appoggio al presidente Bashar Assad. Il tipo di equipaggiamento e di armamenti dimostra che sono lì per rimanere e questo cambia la situazione strategica nella regione (…).

Latakia1In realtà una “preoccupazione” un po’ tardiva. Già nel settembre dello scorso anno sul quotidiano Il Giornale Alberto Bellotto informava: Secondo il sito di informazione saudita al-Hayat si sarebbe allargato il ruolo dell’esercito di Mosca nel complesso scacchiere siriano. Per il quotidiano panarabo, che cita fonti “vicine all’intelligence russa”, le truppe russe avrebbero assunto il controllo dell’aeroporto siriano di Latakia. La decisione di aumentare peso e potenza sul territorio da parte di Mosca, deriva dalle nuove minacce da parte di qaedisti e Isis alla zona di provenienza di Bashar al Assad e del gruppo alauita di cui fa parte lo stesso presidente. La città di Latakia si trova a soli 85 km dal porto di Tartous, unico approdo nel mediterraneo della flotta russa. Concesso in gestione a Mosca nel 1971, il porto ha pontili galleggianti di 100 metri di lunghezza e può ospitare fino a quattro navi di medie dimensioni (…). La novità delle ultime ore sarebbe, soltanto l’accresciuto dispiegamento delle forze russe. Tal Inbar spiega: Dopo che i turchi hanno abbattuto un jet russo alla fine dello scorso novembre, i russi hanno dispiegato nella base il sistema anti-aereo S-400: le foto scattate dal satellite mostrano le batterie missilistiche. È un sistema molto potente con raggio d’azione di 400 chilometri: significa che adesso Vladimir Putin è in grado, se lo decide, di limitare le azioni e i raid di qualunque aviazione in un bel pezzo di Mediterraneo, di poter tracciare e ingaggiare da terra gli aerei Nato. Anche noi israeliani dovremo tenerne conto (…).

La strategia politica-militare è fatta quasi sempre di iniziative che convengono e, ovviamente, è (quasi sempre) a senso unico. Come dire “quel che vale per te, non vale per me”.

Latakia, città ricca di storia, ha rappresentato sempre un punto focale nel bacino del Mediterraneo proprio per la sua posizione strategica: commercio e cultura e poi dominanza del territorio si sono intrecciate, appunto, sin dal tempo dei Fenici, dei Greci e dei Persiani. Oggi dovrebbe considerarsi sicuramente un approdo turistico ricercato, ma quanto accade in Siria da anni ha trasformato il capoluogo in una zona militare nevralgica. Latakia domina il Mediterraneo e i Paesi che vi si affacciano, oltre l’entroterra africano. La questione basilare resta la figura di Assad che in molti vorrebbero eliminare, non considerando che il principale alleato di Assad è Vladimir Putin, e quindi la Russia. In queste condizioni è da considerare “evento” eccezionale e allarmante che l’alleato russo schieri aerei e missili a difesa di Assad e di ciò che rappresenta? Sicuramente si, se si guarda con “occhio di parte”.

Difficile essere imparziali: bisognerebbe guardare sempre le due facce della medaglia. Per esempio…

sig4Per esempio guardiamo Catania: porto primario (anche se viene sottovalutato) nel Mediterraneo, con Sigonella accanto, installazione militare italiana con preminenza presenza autonoma militare degli Stati Uniti d’America. La Naval Air Station al suo interno (in territorio italiano!) ha Global Hawks, cacciabombardieri, aerei di trasporto e quant’altro armamentario (noto e ignoto) possa servire per un completo controllo dell’ex Mare Nostrum e dei Paesi che lì stanno da millenni. Inoltre c’è Augusta e quindi il MUOS di Niscemi e quindi Trapani-Birgi. Qualcuno si è mai allarmato per questa “presenza” dominante dalla Sicilia?

Si dirà: tutto sta nell’uso che della forza si fa. Sicuramente. Ma di certo (a nostro avviso, ma potremmo essere anche in errore) non dovrebbe essere applicato il concetto (non il “principio”) “quello che vale per te, non vale per me”…

Sigonella in Sicilia come Latakia in Siria? Possibile…

Scrivevamo l’11 settembre dello scorso anno…

L’EDITORIALE

sig1Quel che vale per te, non vale per me

di Salvo Barbagallo

Anche gli osservatori più sprovveduti o meno competenti e superficiali incominciano a rendersi conto che i giochi di potere internazionali, soprattutto quelli che portano avanti Stati Uniti d’America (e alleati) mirano esclusivamente (o quasi) alla leadership (politico-economica-militare) su territori non loro. E anche i più sprovveduti cittadini che seguono sui mass media gli attuali avvenimenti, spesso distorti perché di parte, incominciano a comprendere meglio il principio (diventato consuetudine) “quel che vale per te, non vale per me”.

sig3L’esodo dei migranti-profughi che bussano alla porta dell’Europa solo adesso sta mettendo in luce ciò che da tempo accade in Siria (e in diversi Paesi del Nord Africa): in Germania è esplosa l’esaltazione (?) della solidarietà verso i fuggitivi, in altre nazioni si sono alzate mura e posto reticolati per bloccare l’enorme flusso umano. L’attenzione è puntata principalmente su questa problematica, mentre non viene percepito pienamente cosa succede in Siria. Ma lo stesso discorso vale, per esempio, anche per quanto accade in Lìbia. In Siria i jet e i droni USA operano ufficialmente per combattere il Califfato jihadista e il terrorismo dei suoi militanti, così pure con la stessa finalità operano le moderne aviazioni di Gran Bretagna e Francia (ed altri alleati “locali”). Ora c’è preoccupazione perché sono scese in campo anche forze russe, dimenticando volutamente che Putin (da sempre) sostiene Bashar-al-Assad.

Opportuna ed esauriente (in teoria) è giunta la dichiarazione del portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova: “La Russia non ha mai fatto segreto della sua cooperazione tecnico-militare con la Siria. La Federazione russa sta prendendo in considerazione misure extra per intensificare gli sforzi nella lotta al terrorismo. Se saranno richieste misure aggiuntive da parte nostra per aumentare il sostegno alla lotta al terrorismo daremo un’adeguata valutazione alla questione ma, in ogni caso, sulla base del diritto internazionale e della legislazione russa”.

sigDi converso il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, in riferimento alla presenza russa in Siria, parla di “gesti inutili che non contribuiranno a risolvere il conflitto”. Pochi giorni addietro il cancelliere britannico George Osborne, ha espresso chiaramente cosa era necessario: “Un piano per una Siria più stabile e in pace deve prevedere la lotta contro la radice del problema, il malvagio regime di Bashar al-Assad e i terroristi dell’Isis”. Come dire apertamente che il primo obbiettivo è togliere di mezzo Bashar al-Assad. In precedenza il generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore delle forze armate Usa, era stato più esplicito: “La crisi siriana durerà vent’anni”, ma se si vuole risolvere in tempi brevi occorre “anche l’intervento della NATO”.

La presenza militare USA e quella degli alleati americani è giustificata dalla finalità comune: eliminare il terrorismo, eliminare contemporaneamente Assad. Putin concorda sull’eliminazione del terrorismo jihadista, ma non su quella di Bashar al-Assad, alleato della Russia: ecco il motivo della “preoccupazione” statunitense sull’intervento in Siria di troppe russe.

Giorni addietro in un articolo su questo giornale (titolato “Molti avvoltoi svolazzano sulla Siria”) affermavamo che questi avvenimenti odierni sono “déjà-vu” che ci riportano indietro di quattro anni, quando si dette il via all’intervento militare in Libia del 2011 (intervento iniziato il 19 marzo ad opera di alcuni Paesi aderenti all’Organizzazione delle Nazioni Unite, autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza) che da lì a poco avrebbe spazzato via il dittatore Mu’ammar Gheddafi. In quel caso l’intervento militare era motivato ufficialmente per tutelare l’incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste a Gheddafi e le forze ribelli nell’ambito della prima guerra civile libica. A distanza di anni tutti conoscono (o riconoscono) che la situazione in Libia è peggiorata paurosamente.

Oggi la posizione attuale di Putin sembra altrettanto chiara, in netto contrasto con Usa & soci: Assad non deve fare la stessa fine di Gheddafi.

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