Budapest, un debito d’amore

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di Agostino Spataro

1... L’età che avanza o la presunta saggezza inducono l’uomo a vedere, con occhi impertinenti, la vita attraversata, fino a raggiungere un livello di libertà praticamente illimitata che riesce a capovolgere valori e le gerarchie delle passioni convenzionali. Così, può capitare di scoprire che l’amore per le città conosciute, per i luoghi più cari prenda il sopravvento sull’intera gamma degli affetti sin qui coltivati.

D’altra parte, in questo tempo inquieto di rivolgimenti delle relazioni fra uomo e donna, dei confini naturali della famiglia, penso che nessuno si potrà scandalizzare se una persona dichiari la sua gratitudine ai luoghi visitati e/o vissuti, per l’accoglienza e per i doni ricevuti che- nel mio caso- i più belli sono stati: l’impegno per un socialismo umanitario, nella libertà e nell’uguaglianza, e l’incanto, il rispetto per la generosa bellezza di Madre Natura.

Conservatorismo rivoluzionario? Affatto. Chi lotta per cambiare questo mondo dominato da un potere iniquo non deve avere timore, imbarazzo nel volere conservare, per gli altri che verranno, i valori e le tante cose buone e giuste che sopravvivono in armonia con la Natura, con la vita dei popoli

2… Ma torniamo all’amore per le città, fra cui metto ai primi posti Budapest verso la quale- confesso- di avere accumulato, in 45 anni di frequentazione, come un debito d’amore.

 Un debito per la cara compagna qui incontrata, per quel senso di serenità, altrove smarrito, che questa metropoli riesce a infondere anche al forestiero, per lo spirito di comprensione dimostrato dalla gente anche nei momenti più aspri della sua vicenda politica e culturale, per la tenacia e l’intelligenza creativa che, alla fine, riescono a spuntarla sulle tante difficoltà della vita (anche attuale), per l’attaccamento (non perverso) alle radici…

Non è certo il migliore dei mondi possibili; i problemi non mancano soprattutto sul versante politico ed economico, tuttavia la città funziona, progetta, sperimenta, migliora a vista d’occhio.

Budapest meriterebbe una riflessione più ampia, articolata che, per il momento, non mi è dato svolgere. Accontentatevi, pertanto, di questa scarna nota e di alcune foto a corredo che spero possano rendere un’ idea di questa “Parigi” dell’ Est europeo.
Bella e gentile e, come sempre, un po’ civettuola, Budapest, di notte, è un incanto di luci che si riflettono nelle acque scintillanti del Danubio (Duna), padre fecondo di una fra le più fiorenti civiltà europee, sulle cui rive risplendono altre capitali rinomate e fascinose: Vienna, Bratislava, Belgrado e Bucarest, a esso collegata mediante un canale.

3… Gli antichi elevarono i fiumi a dignità divina perchè fonte di vita, di prosperità e di civilizzazione. Oggi, invece, li abbiamo trasformati in immense cloache, degradati da benefiche potenze idriche a corridoi immondi che, senza averne colpa, appestano le terre, avvelenano i mari. 

In questa contraddizione si annida uno dei più pericolosi equivoci della “modernità” che sta portando l’umanità verso la catastrofe.

Fra i grandi fiumi della Terra un posto di rilievo spetta al Danubio, un tempo baluardo naturale dell’Europa romana, che dalla Selva bavarese giunge al Mar Nero, al Mediterraneo. Le civiltà, le storie generate da questo grandioso corso d’acqua sono state, egregiamente, illustrate da Claudio Magris nel suo bel libro intitolato, appunto, “Danubio”, al quale rimando.

Storie esaltanti e terribili che raccontano alcune fra le più memorabili e sanguinose guerre di “civiltà” combattute, nei secoli trascorsi, da un capo all’altro dei suoi 2.960 chilometri di fecondo percorso.

La prima fra l’impero romano e i “barbari”, provenienti dagli altipiani e dai deserti asiatici, i quali,  vinsero le guerre, ma presto furono dai vinti “conquistati” e integrati, culturalmente.

La seconda fra i regni cristiani e il potente impero islamico degli ottomani che lasciò sul terreno milioni di morti e nelle menti atterrite sacche di odio, d’intolleranza che ancora tormentano la convivenza in alcune regioni dei Balcani.

4… Personalmene, aborrisco queste “civiltà” (ex)portate o imposte con la violenza, con la guerra, perchè disumane, ingiuste e meramente distruttive. Civiltà che passano, ma che lasciano il segno.

Come l’acqua che scorre sotto i ponti del Duna che non riesce a cancellare completamente gli odi antichi che covano sotto la cenere, pronti a infiammarsi ogni qual volta la miseria diventa insopportabile e spinge nella disperazione, nell’esodo milioni di uomini e di donne, popoli interi dominati da piccoli satrapi usciti dalle tenebre di un passato di morte e accecati dai bagliori della crisi del mondo.

Per quanto oggi se ne dica (talvolta a sproposito), in generale gli ungheresi si sono mostrati tolleranti perfino con il nemico invasore e oppressore, specie con gli ottomani dell’Islam guerresco e conquistatore. Cito un esempio, credo unico al mondo. Nella piazza principale di Pecs, una delle città più antiche e culturalmente raffinate d’ Ungheria, c’è una chiesa cristiana (già moschea che i turchi edificarono sopra le rovine della chiesa medievale di San Bartolomeo) la quale in cima alla cupola porta i segni della convivenza religiosa: una croce e una mezzaluna.

5... Io che, da non credente, da lungo tempo, mi batto in ogni sede (anche con i miei modesti scritti) a difesa dei giusti diritti di progresso e di libertà dei popoli arabi e delle legittime aspirazioni della religione dell’Islam (come di altre), sarei molto contento se in una qualsiasi città del mondo islamico ci fosse un esempio, così evidente, di amichevole reciprocità.
Sto ancora aspettando! Desidero dire ai tanti amici islamici che questa carenza di reciprocità fa pensare tanti in Europa, in Occidente; suscita timori per un presente incerto, talvolta anche minaccioso, che fa il gioco delle destre razziste e populiste ed evoca paure per un passato che non si riesce a dimenticare.
Anche a Budapest si avverte tale disagio di cui può considerarsi una spia eloquente un fatto, alquanto curioso: ancora oggi sulla dolce collina di Buda vi sono un grande, elegante quartiere e una lunga via denominati “Torokvesz”, letteralmente “pericolo turco”.Strano. In questa capitale, dove la toponomastica muta a ogni cambio di regime o di governo, il ricordo plurisecolare del “pericolo turco” resiste, insieme ai bagni d’epoca ottomana. Eppure, oggi, Budapest è “invasa” da una miriade di ristoranti e da flussi importanti di capitali turchi…

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