Sicilia colonia? No, territorio occupato militarmente

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di Salvo Barbagallo

Giulio Ambrosetti, giornalista palermitano di vecchia data, già redattore del quotidiano L’Ora, ripropone sul quotidiano online La Voce di New York nell’edizione di alcuni giorni addietro (13 gennaio) la tematica della “Sicilia colonia”. Una tematica che La Voce dell’Isola affronta da anni e che (probabilmente) continuerà a trattare, pur consapevoli coloro che scrivono in merito dell’antico proverbio “non c’è più sordo di chi non vuole sentire”. Riteniamo circostanza “normale” che governanti e politici non vogliano “ascoltare” argomentazioni “scomode”, la cosa grave è che, purtroppo, sullo stesso livello si pone la stragrande maggioranza degli stessi Siciliani. Disinteresse e indifferenza sovrastano qualsiasi iniziativa tendente a risvegliare una coscienza collettiva. Gli sparuti e contrapposti gruppi di “Sicilianisti” o “Indipendentisti” esistenti hanno dimostrato di non essere in grado di condurre un’azione omogenea efficace per eliminare proprio quella cappa di disinteresse e indifferenza che copre, quasi “complice” di governanti e politici, tutte le malefatte che si continuano a perpetrare a danno di questa Isola.

tisGiulio Ambrosetti afferma nel suo reportage: La Sicilia vive oggi una stagione paradossale: considerata importantissima dagli USA (Muos di Niscemi e base aerea e nucleare di Sigonella), dalla Russia di Putin e dalla Cina, conta quasi zero in Italia, dove viene calpestata dai governi nazionali. E’ un caso se Luttwak, oggi, parli di una Sicilia che deve puntare sull’Indipendenza? Dimenticando che, negli anni ’40 del secolo passato, furono proprio gli USA a decretare la fine del Separatismo per appoggiare la DC (e il PSDI). Puntando sul controllo sostanziale dell’Isola mediante Gladio (e sulla mafia che di Gladio, fino al 1992, è stata una quasi-estensione…).

Ambrosetti fa riferimento a Edward Luttwak, e noi rimandiamo a quanto scritto su queste stesse nostre pagine nel settembre dello scorso anno.

tis2“Da tempo ha casa a Bagheria e fa la spola con gli Stati Uniti d’America, ma in Sicilia (da tempo) è passato e passa (quasi) inosservato. Se non fosse stato per una (pseudo) polemica insorta con Pietrangelo Buttafuoco (lo confessiamo) non avremmo avuto modo di leggere un bel servizio di Enrico Deaglio sul “Venerdì” di Repubblica che parla del personaggio che “vive” in Sicilia e, soprattutto, perché “è, e resta” in Sicilia: parliamo di Edward Luttwak, un nome che (purtroppo) ai più non dice nulla. Chi è Edward Nicolae Luttwak? Basterebbe prendere le prime righe di Wikipedia per incominciare a darsi una risposta: Edward Nicolae Luttwak (Arad, 4 novembre 1942) è un economista, politologo e saggista romeno naturalizzato statunitense, conosciuto per le sue pubblicazioni sulla strategia militare e politica estera, esperto di politica internazionale e consulente strategico del Governo americano”. E noi non vorremmo andare oltre a parlare di questo personaggio che si dice “lavori” per la CIS, se non fosse per l’intervista di Deaglio nel corso della quale Luttwak afferma di “essere l’unico ad avere la ricetta per la Sicilia”, spiegando anche come uscire dal degrado dove si trova immersa l’Isola e i suoi abitanti. Cosa dice di “interessante” il politologo “made in Usa”? Ascoltate, ascoltate, o leggete (che è meglio) in cosa consiste la “ricetta” per i Siciliani: “E’ semplice. Rialzando con orgoglio il loro vessillo indipendentista sanguinante, i siciliani si riuniscono in assemblea e dichiarano la loro separazione da Roma. Non vogliono più un soldo da chi li ha asserviti e distrutti. Il loro capo – che vedrei bene indossare un elmetto – prima di tutto dichiara che in ogni caso non vorrà essere rieletto, poi procede al licenziamento di tutti i dipendenti pubblici della Regione. Sarà riassunto solo chi ha intenzione di lavorare. Viene dato spazio all’iniziativa privata, al commercio, al turismo, alla cultura. Viene incoraggiato il co-investimento. Vengono ristrutturati i porti eliminando la burocrazia, viene alacremente costruito un hub portuale internazionale nella piana di Enna. L’isola non sarà più governata dalla mafia, dalla politica, dal Calogero Sedera, ma dai siciliani veri, compresi i suoi nobili, come ai tempi di Federico II. E di nuovo stupirà il mondo”…

Abbiamo analizzato a fondo la “provocazione” di Edward Luttwak, interpretandola anche come un ambiguo messaggio rivolto a chissà chi. Luttwak è al “servizio” degli Stati Uniti d’America, e gli USA non hanno alcun interesse a “dare” l’indipendenza alla Sicilia, tenuto conto che la Sicilia hanno già occupato militarmente e in forma stabile, basti considerare i miliardi di dollari spesi (meglio dire: investiti) per le installazioni tipo Sigonella, MUOS o Augusta, eccetera. Quindi, a nostro avviso, Sicilia “non” colonia, ma più semplicemente territorio “occupato”. Per tutti gli usi (o abusi?) necessari.

Corrette le osservazioni e l’analisi retrospettiva di Giulio Ambrosetti: sono degne di nota, e riteniamo di fare cosa utile ai nostri lettori riportando per intero il suo reportage.

 

Voce-New-York

La Sicilia: strategica a livello internazionale, ma ‘ultima delle colonie’ in Italia

Giulio Ambrosetti

La Sicilia vive oggi una stagione paradossale: considerata importantissima dagli USA (Muos di Niscemi e base aerea e nucleare di Sigonella), dalla Russia di Putin e dalla Cina, conta quasi zero in Italia, dove viene calpestata dai governi nazionali. E’ un caso se Luttwak, oggi, parli di una Sicilia che deve puntare sull’Indipendenza? Dimenticando che, negli anni ’40 del secolo passato, furono proprio gli USA a decretare la fine del Separatismo per appoggiare la DC (e il PSDI). Puntando sul controllo sostanziale dell’Isola mediante Gladio (e sulla mafia che di Gladio, fino al 1992, è stata una quasi-estensione…).

tis3Quanto conta oggi la Sicilia nello scacchiere internazionale? Tanto, tantissimo. Il Muos di Niscemi, i droni e le armi nucleari di Sigonella lo stanno a dimostrare. E non mancano anche gli interessi dei russi e dei cinesi. Quanto conta, invece, la Sicilia nello scenario nazionale? Nulla. Da qui una terza domanda: come può un’Isola che è al centro del Mediterraneo, luogo strategico sotto il profilo militare, non contare niente in Italia? A cos’è funzionale una Regione che dovrebbe essere autonoma – quasi come uno Stato degli Stati Uniti d’America, a giudicare da quanto c’è scritto nel proprio Statuto – e che invece è il fanalino di coda del Belpaese, umiliata e bistrattata dai governi nazionali di turno ?

La Sicilia, con l’avvento della Repubblica italiana, non ha mai contato tanto. L’Italia repubblicana ha sempre mal visto l’Autonomia siciliana, conquistata dai siciliani nel 1946, quasi due anni prima dell’entrata in vigore della Costituzione del 1948. Da allora ad oggi l’Italia ha sempre provato a togliere alla Sicilia l’Autonomia, che è il frutto delle lotte del Movimento Separatista, in auge nel’Isola negli anni subito successivi alla Seconda guerra mondiale. In buona parte lo Stato italiano è riuscito a smantellare l’Autonomia siciliana, non abrogando lo Statuto, ma limitandosi a non applicarlo in molte sue parti, con la connivenza delle ‘presunte’ classi dirigenti siciliane. Oggi siamo alla resa dei conti, se è vero che il governo Renzi e il PD vogliono smantellare del tutto lo Statuto siciliano, dopo che la Corte Costituzionale – unico organo dello Stato che il Partito Democratico di Renzi non controlla – ha dato ragione alla Regione siciliana su alcune controversie finanziarie. Così lo Stato, per evitare, tra qualche anno, di dare alla Regione un bel gruzzolo di miliardi di Euro, vuole smantellare l’Autonomia siciliana.

Oggi proveremo a ripercorrere, per grandi linee, i rapporti tra Sicilia e Stato italiano, che, oggi più di ieri, rimangono due soggetti con interessi contrapposti. Per raccontare e cercare di capire quello che sta succedendo oggi dobbiamo partire da lontano: dagli accordi di Yalta. E’ nel corso di un vertice internazionale tenuto in questa città che, nel febbraio del 1945, Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin decidono che cosa sarebbe stato il mondo dopo la seconda guerra mondiale. E’ interessante, a tal proposito, un libro-intervista a Gianni De Michelis, Ministro degli esteri nella Prima Repubblica – L’ombra lunga di Yalta – dato alle stampe negli anni ’90 del secolo passato. De Michelis, che è stato un esponente di spicco del PSI di Bettino Craxi, racconta che a Yalta i potenti della terra decidono che l’Italia – che, non dimentichiamolo, aveva perso la guerra – non avrebbe fatto la fine della Germania. Non sarebbe stata divisa a metà tra russi da una parte e Occidente dall’altra parte. Sarebbe rimasto un Paese unito nel quale, però, americani e russi avrebbero esercitato una forte influenza: gli americani con i Dollari per sostenere una forza politica occidentale che poi sarebbe stata la DC (ma anche il PSDI, nato da una costola del PSI con i soldi degli americani); i russi con i Rubli, attraverso quello che sarebbe diventato uno dei più forti Partiti comunisti d’Occidente.

Apparentemente la tesi di De Michelis sembra un po’ strana, perché gli americani, in questa mancata spartizione in due dell’Italia, partivano avvantaggiati. In realtà, le cose non stavano così, per due motivi. Primo motivo: con i Rubli, come già accennato, i russi avrebbero creato in Italia uno tra i più forti Partiti comunisti d’Europa. Secondo motivo: Stalin era un grande statista e già nel 1945 sapeva cos’aveva in testa Tito: sapeva, cioè, che il leader comunista della Jugoslavia avrebbe detto addio all’Unione Sovietica (cosa che si è puntualmente verificata). E sapeva anche che se l’Italia fosse stata divisa in due come la Germania – metà all’Occidente e l’altra metà all’Unione Sovietica – la parte comunista del Belpaese avrebbe seguito Tito tra i Paesi non allineati con l’ ‘Impero’ comunista Sovietico.

tis4La Repubblica italiana del 1948, insomma, nasce con una Costituzione bellissima, ma si sostanzia, di fatto, in un Stato a sovranità limitata: un Paese che, fino alla caduta del Muro di Berlino, funzionerà con i Dollari degli americani ai partiti occidentali – DC in testa, ma non solo DC – e con i Rubli al PCI. Si trattava di finanziamento illecito della politica di cui tutti erano a conoscenza e che soltanto l’ipocrisia e la proverbiale disinformazione italiana ha volutamente ignorato. Lo stesso Craxi parlerà dei finanziamenti al Partito Comunista Italiano dopo l’esplosione di Tangentopoli, quando intuirà che la magistratura, vuoi perché imbeccata in una certa maniera, vuoi perché tradizionalmente vicina al PCI, puntava allo smantellamento della DC e del PSI. Prima di Tangentopoli al leader del PSI non sarebbe mai saltato in testa di smascherare un sistema di finanziamento illecito dei partiti nel quale i socialisti erano coinvolti assieme ad altre formazioni politiche.

Resta da capire che parte ha svolto la Sicilia da Yalta in poi, che è quello che ci interessa raccontare in questo articolo. L’argomento è importante, perché ci consente di provare a capire il perché, oggi, l’Isola, pur essendo strategica, non conta nulla in Italia. Il ruolo degli americani, in Sicilia, è stato centrale: e lo è tutt’ora, anche se con obiettivi diversi rispetto alla già citata Prima Repubblica. ‘Leggere’ i fatti di mafia – e soprattutto i grandi delitti di mafia – al di fuori dell’influenza che gli Stati Uniti, la Nato e, soprattutto, Gladio hanno esercitato in Sicilia, significa finire fuori strada. Tutti i passaggi importanti nella vita della mafia siciliana, dallo sbarco nell’Isola nell’estate del 1943 fino al 1992, sono stati se non mediati, di certo influenzati dagli americani e, in particolare, dalla già citata struttura nota come Gladio. Lo stesso giudice Giovanni Falcone verrà fatto saltare in aria con la moglie Francesca Morvillo e con la sua scorta dopo il suo rientro da un viaggio negli Stati Uniti.

Insomma, la mafia siciliana è stata fortemente influenzata dagli USA, o meglio, da Gladio. Le trentennali e in certi casi quarantennali latitanze assicurate a certi boss della mafia siciliana non sono stati certo il frutto di sole connivenze con parti dello Stato italiano ‘deviati’, ma anche, con molta probabilità, degli ‘interventi’ ‘esterni’ all’Italia.

E l’antimafia? Non è stata quasi mai una cosa seria (oggi, per certi versi, è addirittura ridotta a una sommatoria informe di comitati di affari). La lotta alla mafia del PCI è stata quasi sempre strumentale: fatta quasi mai per colpire la mafia e quasi sempre per eliminare avversari politici. E quei pochi dirigenti di questo partito che hanno provato a fare una vera lotta alla mafia, o sono stati messi da parte: è il di Girolamo Li Causi; o sono stati ammazzati: è il caso di Pio La Torre. Non è un caso che l’esperienza del governo siciliano di Silvio Milazzo, tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 del secolo passato – operazione politica mediata dalla mafia – abbia visto contrari sia Li Causi, sia La Torre, ovvero i due dirigenti che sono sempre stati contro la mafia non strumentalmente, ma seriamente. Li Causi e Pio La Torre erano contrari al coinvolgimento del PCI nel governo siciliano di Milazzo, anche se di questa esperienza il loro partito – il PCI – era l’anima assieme all’avvocato Vito Guarrasi, forse uno degli uomini più importanti nella storia della Sicilia che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino al 1992.

Lo stesso discorso vale per la Dc e per i tanti sindacalisti uccisi in Sicilia dalla fine del secondo conflitto mondiale sino alla fine degli anni ’60: chi si opponeva alla mafia veniva ammazzato, talvolta con il consenso degli americani, qualche altra volta – se il personaggio non era di peso – in autonomia dalla mafia siciliana. L’uccisione, avvenuta il 6 Gennaio del 1980, dell’allora presidente della Regione siciliana, è un chiaro delitto politico con legami in ‘alto’. Chi scrive è convinto che dietro questo delitto si stagli l’ombra di Vito Ciancimino: non soltanto per la tutela di equilibri siciliani – che nel caso di Piersanti Mattarella c’entrano, eccome! – ma anche perché Mattarella, come il suo maestro, Aldo Moro, avrebbe voluto aprire al PCI in un momento storico di grandi tensioni tra America e Russia, se è vero che, di lì a poco, gli americani avrebbero piazzato in Sicilia i missili Cruise, tra le proteste di oceaniche manifestazioni per la pace promosse da Pio La Torre: che non a caso, il 30 Aprile del 1982, verrà trucidato insieme con il suo autista, Rosario Di Salvo.

Va ricordato che Piersanti Mattarella – del quale in questi giorni è stato ricordato l’anniversario – guidava un governo regionale appoggiato all’esterno dal PCI. Un Partito Comunista che, già a metà 1979, premeva per entrare al governo della Regione. Moro – che era stato il punto di riferimento di Piersanti Mattarella nel suo partito, la DC – era già morto. Il presidente della Regione siciliana cercava un “sì” a Roma dal suo partito prima di varare il governo con il PCI. Ma il “sì” della DC non arrivò. I dirigenti del Partito Comunista, da parte loro, insistevano per entrare al governo della Sicilia, tant’è vero che avevano aperto la crisi alla Regione, togliendo l’appoggio a Piersanti Mattarella, di fatto indebolendolo. La morte, per Piersanti Mattarella, arriverà il 6 Gennaio del 1980, con il suo governo regionale in crisi, in un momento di grande debolezza politica. E di solitudine. Insomma, guardare alla storia della mafia al di fuori dallo strettissimo rapporto tra Sicilia e Stati Uniti – e perché non dirlo: al di fuori del rapporto tra Gladio e mafia – significa perdere di vista un riferimento fondamentale. La cosiddetta Pizza Connection – forse la più grande rete di distribuzione di stupefacenti messa su negli Stati Uniti tra la fine degli anni ’70 e i primi anni 80 – aveva teste e tasche in Sicilia. Tra l’incredulità delle forze di polizia americane, che all’inizio non ritenevano i mafiosi presenti in America capaci di tanto. Anche se è difficile credere che chi gestiva Gladio era disinformato sull’operazione Pizza Connection.

Già allora la Sicilia, presente con la mafia nell’operazione Pizza Connection, contava poco, sotto il profilo politico, in Italia. L’unico politico che aveva rilanciato per davvero l’Autonomia siciliana è stato il già citato Piersanti Mattarella, forse la figura più autorevole nella storia della politica siciliana dagli anni ’70 fino ai nostri giorni. Mattarella era troppo intelligente per non capire, dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, che il suo governo e il suo ‘stile’ politico sarebbero stati messi in discussione. Non si è arreso e ha tentato di andare avanti: ma non è stato aiutato: né all’interno del suo partito, né tra i suoi alleati – il PCI – che anzi l’aveva mollato.

Dopo Mattarella è il presidente della Regione Rino Nicolosi, nella seconda metà degli anni ’80, che prova a dare un po’ di lustro alla Sicilia. Ma si trova ad operare in un contesto già compromesso e forse già segnato dagli albori di Mafiopoli e Tangentopoli. La stagione delle stragi siciliane del 1992 segna, con molta probabilità, non soltanto la fine della Prima Repubblica, ma anche la fine di una certa mafia. La cattura di Totò Riina – avvolta per certi versi nel mistero (si pensi al mancato sopralluogo delle forze dell’ordine nel suo covo: una storia incredibile!) – e la breve gestione di Bernardo Provenzano segna una fase di debolezza e coincide con la debolezza di un’Italia, entrata intanto nell’Euro senza averne calcolato gli effetti, soprattutto in materia di debito pubblico controllato da investitori esterni al Belpaese.

Per la Sicilia gli anni che vanno dalle stragi del 1992 ai nostri giorni sono anche peggiori. Lo Stato, con la scusa dei fondi europei, taglia al Mezzogiorno le risorse ordinarie. E’ una truffa ai danni del Sud Italia, perché i fondi europei, per definizione, debbono essere aggiuntivi e non sostitutivi rispetto all’intervento dello Stato. Di questo raggiro avrebbe dovuto farsi carico l’Unione Europea, che invece glissa, di fatto abbandonando Mezzogiorno d’Italia e, soprattutto, la Sicilia al proprio destino di deindustrializzazione e, in generale, di desertificazione economica.

Nell’impoverimento del Sud e della Sicilia ha una grandissima responsabilità la Banca d’Italia guidata da Carlo Azeglio Ciampi e dai suoi successori. Sono questi signori che, per salvare alcune banche del Centro Nord Italia, decidono, tra i primi anni ’90 e il 2000, di togliere al Meridione ne banche. Così il Sud perde, in un solo colpo, il proprio sistema creditizio di riferimento. In Sicilia lo scippo, anzi la rapina, a tutti gli effetti, di Banco di Sicilia e Sicilcassa avviene in modo pesante, con una serie di forzature al limite del Codice penale.

Oggi la Sicilia, come detto all’inizio, non conta nulla in Italia. La trasformazione di una Regione che, negli anni, aveva mantenuto piccoli spazi di autonomia in una ‘colonia italiana’ coincide con il centrosinistra al potere: a Roma con il governo Renzi, ai vertici della Regione dal 2008 fino ai nostri giorni e in tanti Comuni dell’Isola. Al di là delle notizie interessate che si leggono qua e là, lo scenario economico, in Sicilia, è disastroso. A raccontarlo sono i numeri sull’occupazione.

La Sicilia è oggi la Regione europea con il più basso tasso di occupazione (42,4%) tra le persone la cui età varie da 20 a 64 anni. Se si fa un raffronto con Bolzano – che è l’area d’Italia con il più alto tasso di occupati (76,1%), ci si accorge che c’è una differenza di circa 34 punti! Non va meglio con l’occupazione femminile: a Bolzano il tasso di occupazione delle donne si attesta a quasi il 70%; in Sicilia si ferma al 29,6%! Anche tra i giovani cosiddetti Neet (ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non lavorano, non studiano e che non si preoccupano nemmeno di cercare un lavoro) la Sicilia detiene, se così si può dire. Il ‘record: a fronte di una media europea del 16,3% (in calo rispetto al picco del 17,1% del 2012), l’Isola registra una percentuale di Neet che supera il 40%, pari solo alla Calabria, altra Regione del Sud Italia.  e Sicilia.

A fronte di questi dati lo Stato italiano, invece di premurarsi per risollevare le sorti del Mezzogiorno, se ne fotte altamente. Anzi, continua a depredare risorse al Sud per portarle nel Centro Nord Italia. Questo ha fatto lo scorso anno il governo Renzi, che ha strappato al Meridione 12 miliardi di fondi nazionali e, soprattutto, europei (fondi PAC, sigla che sta per Piano di Azione e Coesione) non spesi per finanziare gli sgravi fiscali (cioè il Jobs Act) alle imprese, che nel 90 per cento dei casi hanno sede nel centro Nord Italia. Il miglioramento dell’occupazione – che riguarda il Centro Nord non il Sud – è il frutto dei soldi rubati alle Regioni del Mezzogiorno dal governo Renzi e trasferiti al Centro Nord.

Con questo modo goffo di governare l’Italia, Renzi e il PD s’illudono di salvare almeno il Centro Nord del Paese. Ma non sarà così, perché ormai l’Euro – cioè la moneta unica europea – va diventando ogni giorno più insostenibile. Se n’è accordo anche Giuliano Amato, che in un video che circola in questi giorni sulla rete, e che potete vedere qui sotto, dice a chiare lettere che l’Euro è stato un errore, una pretesa “faustiana”. Amato ammette che tanti economisti americani avevano avvertito l’Europa che una moneta, senza una vera banca centrale alle spalle, avrebbe creato rischi gravi. Perché anche un solo Paese in crisi, in assenza di strumenti di riequilibrio, avrebbe determinato problemi enormi. “Ci siamo illusi che coordinando le politiche economiche nazionali ce l’avremmo fatta”, ammette oggi l’ex capo del governo italiano. Ma è stato un disastro, anche perché non solo non ci sono strumenti di riequilibrio, ma i trattati firmati tra gli Stati dell’Unione Europea impediscono, addirittura, possibili azioni di riequilibrio.

Il risultato è che, oggi, nell’Eurozona, sono tanti i Paesi in difficoltà, dalla Grecia alla Finlandia, dall’Italia al Portogallo, fino alla Spagna. Mentre nei Paesi dell’Unione Europea che non hanno aderito all’Euro (dall’Inghilterra ad altri Paesi del Nord Europa), la crisi economica non è grave e, in alcuni casi, non c’è affatto. L’Euro esiste e resiste ancora per le pressioni massoniche e per volere della Germania. Ma adesso – complice anche l’incontrollata ondata di immigrati e il terrorismo – molte cose stanno cambiando.

In questa crisi dell’Euro la Sicilia è infognata fino al collo. E qui torniamo al paradosso che abbiamo sottolineato all’inizio di questo articolo: ininfluente nel Belpaese, dove la Sicilia è trattata come l’ultima delle colonie di un’Italia che è sempre più “un’espressione geografica” con un Centro Nord che deruba sistematicamente il Sud con la ‘regia’ del governo Renzi, l’Isola è invece sempre più strategica per le potenze mondiali. Gli americani hanno piazzato in Sicilia, dalle parti di Niscemi, il Muos, un mega radar con il quale si gestiscono guerre in mezzo mondo. I russi, ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, hanno messo un piede nell’Isola, rilevando una raffineria nel Siracusano che è diventata una base dove arriva benzina già raffinata venduta nei distributori con il marchio Lukoil. Anche i cinesi hanno tentato di arrivare in Sicilia proponendo la realizzazione di un aeroporto – che sarebbe dovuto diventare un hub internazionale – nella provincia Ennese. Progetto bloccato, sembra da altre potenze straniere (non dall’Italia, che ormai, a livello internazionale, conta quanto la Sicilia in Italia: quasi una nemesi storica…).

Che la Sicilia non conti nulla l’ha capito anche il politologo Edward Luttwak, che sostiene che l’Isola, oggi, dovrebbe riconquistare la propria indipendenza, per uscire fuori dall’Italia Magari per entrare nell’area del Dollaro, visto che l’Euro, come già ricordato, è sempre meno sostenibile?

Di fatto, anche in Sicilia, da qualche tempo a questa parte, è ricominciato a soffiare il vento dell’Indipendentismo. Saranno proprio gli americani, cioè coloro i quali, tra il 1946 e il 1947, decretarono l’eliminazione del Movimento separatista siciliano, puntando sulla DC e sui socialisti ‘addomesticati’ del PSDI di Saragat a rilanciare l’Indipendenza della Sicilia?

Di Luttwak abbiamo già detto. Tutto dipenderà dalla velocità con la quale finirà la disastrosa esperienza dell’Euro. E forse anche dagli scossoni che ormai scuotono la stessa Unione Europea. Perché a furia di insistere con la moneta unica europea, per un motivo o per un altro, sta fallendo anche l’Unione Europea, tra terrorismo e sostanziale abolizione del trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone.

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