Così l’Isis non si batte

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di Luigi Asero

All’indomani della tragedia di Parigi resta il tempo delle riflessioni, la gente cerca di comprendere cosa sia e chi sia Isis, o sedicente Califfato Islamico, o Stato Islamico o comunque si voglia chiamare l’accozzaglia di criminali (perché di questo si tratta) che sta spargendo terrore su e giù per il mondo. Minacciando anche la nostra Capitale.
Non intendiamo qui fare la storia di Isis, storia di cui tutti sembrano sapere tutto, tranne che chi finanzia esattamente, in quale modo e perché. Il punto della questione è innanzitutto culturale. Isis poggia le sue fondamenta sulle spalle di persone tradite dai loro ideali, o semplicemente dalla loro stessa voglia di vita. Infatti, chi qualcosa in più sa dire di Isis dice che “Isis è morte”. Per entrare nel merito della sua nascita bisognerebbe pensare ai suoi predecessori, la rete fondamentalista di Al Qaeda, questo spiegherebbe almeno il modo in cui Isis, come organizzazione, è nata. Che si proclami “Stato” poi è un aspetto semplicemente pittoresco della cosa in quanto di Stato, Isis non ha nulla. Né un unico popolo, né un’unica regione geografica, né tantomeno alcuna legittimazione internazionale. Legittimazione che certo non potrà mai arrivare fin quando Isis agisce come finora ha agito.

Eppure si fa sempre più radicata la convinzione che sia molto difficile battere la sua ideologia. Perché di ideologia (criminale per giunta) si tratta. Isis nasce dal sangue e col sangue si fa strada, terrorizzando chiunque si metta in mezzo nel suo cammino. Isis non è Islam, a riprova di ciò (e questo basterebbe) Isis ha ucciso migliaia di islamici, ha usato i suoi kamikaze all’interno e all’esterno di moschee musulmane. Dice di agire in nome di Allah, ma il nome di Allah lo fa soltanto per piegare ai suoi voleri persone che credono nell’Islam ma che sono ignoranti, o che temono ritorsioni nel caso in cui non si sottomettano.

Così facendo però il sedicente califfato è riuscito nell’intento di far comprendere al mondo esterno che Isis e Islam siano due facce della stessa medaglia. Così facendo ha portato il conflitto di potere al livello del ben più subdolo conflitto di religione. Dietro tutto ciò c’è ben di più dell’organizzazione di un pazzoide califfo, c’è una vera e propria organizzazione di marketing che ha fatto del web la sua principale fonte di diffusione delle informazioni e della propaganda. Raccattando (ci sembra il termine più adatto) gente che nella vita ha probabilmente un valore pari a zero, soggetti che si sentivano falliti prima di essere “integrati in una Causa” (quella di Allah a detta loro). Eppure è proprio su queste persone che si fonda poi la seconda linea della propaganda Isis: il terrore. Sono loro quelli pronti a immolarsi come kamikaze, sono quelli che probabilmente nella vita avrebbero vissuto da fantasmi, mai notati da nessuno o forse semplicemente col pensiero di non essere importanti per qualcuno. Sentire la loro propaganda e ascoltare parole come “lo faccio per mio figlio, da grande sarà orgoglioso di me che mi immolo per…” non è soltanto raccapricciante, è lo specchio di una persona che non ha valori nella vita, che nell’impossibilità di donargli vita al figlio “adorato” decide di donargli morte.

E questa morte, elargita a piene mani, è l’arma di ricatto verso quei musulmani moderati dai quali vorremmo sentire parole nette, chiare, decise contro il fondamentalismo jihadista. Parole che, invece, raramente sentiamo. A volte forse per tacita connivenza, altre (crediamo più spesso) per paura.

Quando il terrorismo riesce a infondere tale paura allora difficile diventa batterlo… Per molto tempo ancora, purtroppo, avremo a che fare con Isis.

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