Greta e Vanessa, quanto vale una vita?

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di Salvo Barbagallo

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Vicenda Greta e Vanessa: la polemica in Parlamento si protrarrà fino a nuovo argomento più attuale che subentrerà e la “verità” con molta probabilità non verrà a galla e presto non sarà più ricercata. Ma il fatto resta: vero o non vero che per “liberare” le due cooperanti Greta e Vanessa sequestrate dagli jihadisti in Siria è stato versato un riscatto di undici milioni di euro? Sembra ovvio che la Farnesina neghi il pagamento di un riscatto, così come ha sempre sostenuto il ministro Paolo Gentiloni: vero o non vero, chi dovrebbe o potrebbe “dimostrare” il contrario? La questione, dunque, è meramente accademica? A nostro avviso, certamente no: di “accademico” non c’è nulla, di “reale” tanto. E la domanda pressante è: quanto vale la vita di un essere umano? Cosa deve essere compiuto – di lecito o meno lecito – per salvare un essere umano? Il “caso” di Greta e Vanessa è, dunque, emblematico di una situazione complessa e complessiva che non si esaurisce, ma resta sempre latente.

van1Le due volontarie, si ricorderà, vennero rapite il 31 luglio dello scorso anno e poi liberate il 15 gennaio. Le prime indiscrezioni indicavano il pagamento di dodici milioni di dollari in cambio della libertà delle due giovani, ma proprio il giorno dopo la liberazione, il 16 gennaio scorso, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva smentito categoricamente: “In merito al tema dei riscatti ho letto indiscrezioni prive di reale fondamento e in qualche caso veicolate da gruppi terroristici. Solo illazioni: Italia contraria al pagamento”. Ora da Aleppo giungono informazioni opposte: uno degli individui coinvolti nel (presunto?) negoziato è stata condannato per essersi intascata circa metà del compenso dal “tribunale islamico” del Movimento Nureddin Zenki, una delle milizie indicate come coinvolta nel sequestro. L’uomo condannato è Hussam Atrash, ritenuto uno dei signori della guerra locali, capo del gruppo Ansar al Islam. Come riporta “Il Fatto Quotidiano”, l’Ansa ha ricevuto una copia digitale del testo della condanna emessa il 2 ottobre scorso dal tribunale Qasimiya del movimento Zenki nella provincia di Atareb. Secondo la condanna, Atrash, basato ad Abzimo, la località dove scomparvero Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, si è intascato 5 dei 12 milioni e mezzo di dollari, equivalenti a poco più di 11 milioni di euro. I restanti 7 milioni e mezzo – affermano fonti di Atareb interpellate dall’agenzia stampa – sono stati divisi tra i restanti signori della guerra locali.

La Farnesina, ovviamente, continua a negare e dichiara: “Non riteniamo di dover commentare supposte fonti giudiziarie di Aleppo o del sedicente tribunale islamico del movimento Nureddin Zenkin”, sostiene l’Unità di crisi del ministero degli Esteri, che afferma “In ogni caso non risulta nulla di quanto asserito”. Ora in un’interrogazione parlamentare, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (FI) chiede al governo “se ha versato soldi e finanziato i fondamentalisti islamici. Mi chiedo poi quali misure abbia assunto per impedire che si verifichino altri casi come quello delle due ragazze bresciane, partite con una missione i cui contorni restano sostanzialmente sconosciuti e di cui non abbiamo finora ancora compreso la portata. Ovviamente mi auguro ci sia una smentita. In caso contrario il messaggio sarebbe devastante”.

E’ stato o non è stato pagato il riscatto per Greta e Vanessa? Fuori discussione la necessità di “salvare” le due volontarie italiane che già dopo essere state riportate in patria volevano tornare là dove erano state tenute sequestrate (forse fin troppo simpatizzanti di un ideale “estraneo” alla loro terra e cultura), resta  comunque il dubbio su quei presunti milioni versati: saranno stati utilizzati per l’acquisto di armi dell’Isis? Cioè, saranno serviti per alimentare quella guerra dalla quale fuggono in migliaia e migliaia nella speranza di raggiungere anche l’Italia?

Di Greta e Vanessa non si parlava da tempo, così come poca attenzione oggi viene data alla sorte dei fuggitivi. E allora noi ci chiediamo: quanto vale la vita di quei migranti/profughi che continuano a solcare il Mediterraneo per raggiungere le coste della Sicilia? Che “valore” si deve dare alla vita di chi non riesce a sopravvivere?

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