Putin/Obama: le chiamano “prove” di dialogo

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di Salvo Barbagallo

Certo, in questo momento Putin e Obama si parlano, ed ecco che i mass media (nella maggior parte) concordano: sono “prove” di dialogo. I paradossi, ma soprattutto le ipocrisie, della cosiddetta politica internazionale sono pur sempre utili in special modo quando si devono affrontare situazioni che, nel momento storico che si vive, offrono poche soluzioni per una concreta distensione. Gianni Rosini su “Il Fatto Quotidiano” di ieri faceva opportunamente notare: “L’ideologia della Guerra Fredda è sempre presente” e voluta da alcuni attori internazionali. Le parole di Vladimir Putin descrivono la tensione tra il presidente russo e quello americano Barack Obama durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Siria, Medio Oriente, Ucraina e, sullo sfondo, l’accordo sul nucleare iraniano. È su questi campi che si gioca la partita tra i due leader mondiali. Il capo di Stato USA accusa indirettamente il Cremlino di “violare il diritto internazionale e sostenere tiranni come Assad“, anche se, parlando di Ucraina, puntualizza di non volere l’isolamento di Mosca. Putin risponde sostenendo che “lo Stato Islamico non è nato dal nulla. Chi arma i ribelli, gioca e manipola i terroristi sbaglia. Vi siete resi conto di quello che hanno combinato in Medio Oriente e Nord Africa?”. Questa è una faccia della realtà, difficile da disconoscere.

Alla base di quasi tutti gli avvenimenti geopolitici e militari degli ultimi anni – volente o nolente – sono proprio gli errori commessi dal presidente americano, e se ora – da ricordare da chi proviene la sollecitazione – Obama e Putin “discutono” sulla possibilità di una “lotta” comune contro il Califfato jihadista, si accantona la memoria per quanto riguarda la nascita dell’Isis e del terrorismo, da parte non si mettono le divergenze su Bashar Al Assad. E il nodo – sempre volente o nolente – è questo: l’interesse primario degli USA in Siria è Assad, ritenuto (a ragione o a torto) il “dittatore” da eliminare. Questione fuori discussione per Putin, che non a caso (quando gli capita) riporta a galla quanto accaduto in Libia quattro anni addietro con la fine dell’altro “dittatore”, Muammar Gheddafi, a capo di quel Paese e con ciò che quella “eliminazione” ha comportato a livello di tragiche conseguenze.

L’agernzia di stampa ANSA riporta: “Il colloquio con Obama e’ stato sorprendentemente franco, costruttivo. Possiamo lavorare insieme”, ha detto Putin in conferenza stampa. Ma – ha ribadito – i raid aerei in Siria sono illegali perché non c’è l’autorizzazione dell’Onu. Obama e Hollande non sono cittadini siriani. Non possono decidere sul futuro del Paese”. Mentre la Russia è aperta alla possibilità di partecipare alla campagna aerea contro l’Isis in Siria (“solo se in linea con con il diritto internazionale”), Putin esclude che le truppe russe, già schierate nel Paese, attaccheranno sul terreno.

Nel suo intervento all’ONU Putin è stato estremamente chiaro: E’ un errore – ha sostenuto – non cooperare con il governo siriano di Bashar al Assad. Ed è irresponsabile – ha aggiunto, riferendosi alla politica di Obama in Siria –  manipolare gruppi estremisti: è pericoloso dare le armi ai ribelli e giocare con i terroristi. Per combattere l’Isis – ha detto – occorre una coalizione internazionale come quella che si creò contro Hitler durante la Seconda Guerra mondiale. L’Isis non è nato dal nulla. E’ stato finanziato e sostenuto. Non possiamo permettere a questi criminali che hanno le mani sporche di sangue di continuare a perpetrare il male”.

L’analista Iam Bremmer, fondatore e presidente di Eurasia Group, think-tank di politica internazionale, in un’intervista sul “Corriere della Sera” di ieri, afferma: “…. è il trionfo del mondo senza più leadership (…). È una prospettiva abbastanza spaventosa. Lo è sicuramente per l’America che subisce una sconfitta bruciante, ma le conseguenze più pesanti le pagherà l’Europa perché in questa situazione il flusso dei rifugiati in fuga dal Medio Oriente in fiamme non potrà che aumentare (…). Oggi vince Putin – aggiunge – un vero trionfo geopolitico il suo. Ma alla lunga anche lui pagherà un prezzo molto alto (…). Non vedo come, in queste condizioni, si possa definire una vera strategia comune. Si andrà avanti in ordine sparso con intese legate soprattutto alla necessità di evitare incidenti. D’altra parte gli americani hanno lasciato un vuoto in Medio Oriente, e ora Putin lo occupa spiegando che, se non lo fa lui, in quel buco si infilerà l’Isis”.

Noi, a differenza di Bremmer, non diremmo che “gli americani hanno lasciato un vuoto in Medio Oriente”: innanzitutto perché in Medio Oriente ci stanno ancora, poi perché quello che si ritrovano oggi è la conseguenza di azioni che possono considerarsi sconsiderate provocate principalmente da loro.

Resta pur sempre la stessa conclusione: “Quel che vale per te, non vale per me”, e le “prove di dialogo” che ora si decantano, fra qualche giorno potranno presentare uno scenario diverso e magari non ipotizzato.

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