Terrorismo è radice guerra globale

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Controllo della Libia per fermare l’ISIS

di Carlo Barbagallo

Lo sostengono da tempo in molti: se si vuole fermare l’avanzata del Califfato nero dell’Isis occorre avere il controllo della Libia e, soprattutto, dell’area di Tripoli. Molti Paesi concordano su questo punto, ma il via ad un’operazione mirata non viene dato, anche se tutto sembra predisposto.

La Libia e Tripoli da tempo non sono  “terra incantata”, ma non lo erano neppure nel marzo del 2011 quando venne portato avanti l’attacco militare da Paesi (Italia compresa) aderenti all’ONU autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza per togliere di mezzo Muammar Gheddafi. Basti ricordare che l’intervento armato venne “inaugurato” dalla Francia con un attacco aereo diretto contro le forze terrestri di Gheddafi attorno a Bengasi, seguito, dal lancio “Tomahawk” da navi militari statunitensi e britanniche su obiettivi strategici in tutta la Libia.

Mesi addietro Gian Paolo Rossi attribuiva il “disastro Libia” a tre personaggi: Nicolas Sarkozy, Hillary Clinton e Giorgio Napolitano. Sarkozy perché sostenne con tutta la forza l’abbattimento del regime di Gheddafi nella convinzione che la Francia avrebbe recuperato la sua “grandeur”: fu lui a guidare le potenze occidentali al riconoscimento di un governo libico d’insorti e fu lui ad imporre, ad un recalcitrante Obama, i bombardamenti contro l’esercito di Gheddafi che portarono la Nato ad entrare in una guerra civile schierandosi con uno dei contendenti. Hillary Clinton perché trascinò di malavoglia l’amministrazione Obama nella guerra “francese” in nome della difesa di diritti umani che in Libia erano violati più dai ribelli che dai lealisti di Gheddafi; e lo fece applicando un principio del tutto nuovo, quello della guerra umanitaria preventiva. Giorgio Napolitano perché spinse l’Italia nella guerra facendola aderire alla coalizione che doveva applicare la risoluzione Onu, ma di fatto con lo scopo di abbattere il regime libico per non lasciare calpestare il Risorgimento arabo. A distanza di oltre quattro anni andare a ricercare le responsabilità significa soltanto fare dietrologia, però è opportuno ricordare come si inneggiava alla “Primavera araba” in maniera incondizionata, mentre ora c’è più consapevolezza del significato di quel “fenomeno” che fenomeno non era.

Ora si ritiene necessario tornare a intervenire in Libia, ora (forse) si comprende il “pericolo ISIS” e lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella afferma “Il terrorismo alimentato anche da fanatiche distorsioni della fede in Dio sta cercando di introdurre nel Mediterraneo, in Medio Oriente, in Africa i germi di una terza guerra mondiale. Sta alla nostra responsabilità fermarla”. Insomma, oggi ci sono condizioni di pericolo che possono giustificare un possibile intervento armato in Libia. Se ancora questo intervento non viene attuato è, probabilmente, perché si sta valutando attentamente chi potrebbe usufruire di questo eventuale intervento, cioè chi, alla fine, ne trarrà vantaggio.

Nella prospettiva di un’azione militare con obbiettivo Libia, l’Italia e la Sicilia in primo piano – come, purtroppo, è consueto – sono in prima linea. la prima fase delle operazioni militari della coalizione anti-Isis potrebbe partire dalle basi aeree siciliane di Sigonella e Trapani, e da Amendola in Puglia.

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