Verità e realtà confinate: dove sconfinano?

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polizia-expodi Guido Di Stefano

Apriamo con quesiti di bruciante attualità.

     Si conoscerà mai tutta la verità sui disordini di Milano contro l’esposizione? Chi e perché  ha ordinato la soccombenza dell’ordine pubblico alla violenza? Perché tanta “malcelata” tolleranza verso professionisti del caos e della violenza? Non sarà anche perché finora in Italia nessun potente ha subito personalmente  l’esuberante veemenza (o violenza allo stato puro) dei volti mascherati? Tanto un risultato è incontrovertibile: a pagare è sempre e comunque il povero suddito (cittadino?) già legalmente tartassato. E se urlassimo “a casa i colpevoli” cosa succederebbe? Verremmo assordati da vuoti discorsi e accecati con fumose e nebbiose verità. Alla fine forse verrebbe individuato il “capro espiatorio” di turno, vittima senz’altro e non “necessariamente” colpevole.

    Civilmente possiamo criticare la realizzazione di questa “esposizione” (o fiera?) universale. Consideriamo ad esempio il “padiglione” e l’area destinati alla Sicilia e alle undici nazioni associate nel progetto Bio-Mediterraneo. Le notizie concordano nel sottolineare l’infelice ubicazione e la più infelice esecuzione della struttura, dal costo spropositato. Ma un grande turbamento, quasi un “magone”, si è impadronito di noi a leggere il termine “Cluster”, che richiama immediatamente alla mente le bombe a grappolo, di truce memoria e fabbricazione. Ha anche significati pacifici il termine cluster; ma allora a scanso di fraintendimenti si poteva optare per gruppo (non certo ammasso, mazzo, sciame),  oppure  aggregazione, collaborazione  o meglio ancora  unione, solidarietà, fratellanza. Forse qualcuno pensava di potersi fare poi vanto di un grande “botto”, con cui “cluster” avrebbe avuto affinità e sintonia? Finora resta la perplessità. I popoli del Mediterraneo esistono “da sempre”, da migliaia di anni prima che nascessero  “Albione , lo zio Sam e la loro lingua universale” e dialogavano, si incontravano e si scontravano per poi riavvicinarsi: alle italiche parole si poteva anche associare qualche termine “mediterraneo”.

     Sono piccole verità a noi negate e destinate a essere confinate nel limbo dell’oblio.

D’altra parte in Italia sono vissuti e vivono i maestri dell’oblio. Si cancella semplicemente non comunicando, sfumando le notizie, seppellendole nel segreto di stato. Già con il segreto di stato si occultano a tempo  notizie che nell’immediato potrebbero essere nocive o controproducenti per la nazione e i suoi cittadini . Da noi prevale il segreto protratto “ad libitum” (a piacere), anche in eterno.  L’eternità dei nostri segreti di stato ci porta a pensare che “stranamente e assurdamente” le verità nascoste non siano solo riferite a i fatti pregressi ma nascondano  anche intenzioni e volontà (e forse “raggruppamenti” di potere o potenti) in perenne presenza e progressione.

      La storiografia ufficiale praticamente nulla ci ha detto e ci dirà a partire dal 1860 su:  reale composizione delle truppe di liberazione, costo della spedizione, fulminee vittorie ed evitate sconfitte, oro e tesori dei banche di Palermo e Napoli, morte di Rosolino Pilo, naufragio di Ippolito Nievo e documenti contabili in suo possesso, massacri ed espatri massicci, ripensamenti anche di Garibaldi, rivolta di Palermo del 1866 domata col fuoco di cannoni caricati a mitraglia e non a palla (a mitraglia si uccidono le persone, a palla si demolisce qualche edificio), prima guerra mondiale e disfatta di Caporetto, seconda guerra mondiale, sbarco in Sicilia e collaudo degli scudi umani, persone a lutto fucilate come “fascisti”, altre pacifiche rivolte spente con il sangue, negata resistenza siciliana, indipendentismo soffocato con i morti di Murazzorotto (per cui alcuni parlano di strage di stato), statuto violato, pagamenti negati e/o sottratti, e tanti altre morti, spesso dimenticate o peggio strumentalizzate: morti singole, multiple, di gruppo.

     E la storiografia ufficiale non ricorda nemmeno qualche “non siciliano liberamente pensante” che in pieno clima di trionfo per l’unità (non certo dell’unificazione) osò scrivere che la “Sicilia aveva tutte le carte in regola per essere una nazione indipendente”. Ci riferiamo a un grande pensatore (sociologo e filosofo) piemontese (mai menzionato dai regimi e crediamo bandito dai testi scolastici) che preferì fregiarsi del cognome materno piuttosto che di quello paterno, rinnegando in certo senso i suoi fratelli, legati alla casa e ai governi sabaudi: parliamo di Luigi Taparelli, gesuita, che mai si vantò come Cosimo D’Azeglio!

    E, caso strano, i segreti di stato relativi alla Sicilia sono per lo più dichiarati “persi per sempre” anche all’estero.

    Cos’è dunque per noi Siciliani  il segreto di stato? Nella migliore delle ipotesi una inviolabile cassaforte che nessuno vuole aprire; nella peggiore l’inferno in cui tutto brucia e sparisce.

     Come realtà confinata citiamo solamente la Corte Penale Internazionale. Avrebbe dovuto operare sulle orme, sull’esempio del tribunale internazionale di Norimberga: contro tutti i rei (persone fisiche e giuridiche?).

Dovrebbe perseguire i genocidi, crimini contro l’umanità, crimini di guerra (alias crimina iuris gentium) e forse in futuro (dal  2017 si sogna) crimini di aggressione: in ogni caso con effetti extra-temporali come fu a Norimberga si auspica. E dovrebbero essere sempre applicati i principi dell’obbligatorietà dell’azione penale, della ricerca delle complicità internazionali e delle istigazioni al reato, nonché dell’equiparazione  delle  aggressioni e dei crimini finanziarie a quelli “militari”!

    Forse sogniamo un mondo che non è e non sarà.  E  ci tuffiamo nel mare delle leggende metropolitane in cui sconfinano   le genti alla incessante ricerca di  spiegazioni, conforto, giustizia: e le ascoltiamo perché, false o infondate o assurde o verosimili  che siano, toccano la Sicilia così come i fatti su cui sono imbastite impattano violentemente contro la Sicilia.

E così dopo quella di Ustica ve ne sottoponiamo un’altra che come quella precedente non poggia su nessuna documentazione e pertanto (aprioristicamente) da classare come non vera: il  sottosuolo libico sarebbe ricco di minerali di uranio, che Gheddafi non era disposto a cedere o a condividere.

     Leggende, solo leggende con cui si confortano i popoli nel disperato anelito di luminose verità e giuste realtà, nella vera libertà fuori da ogni condizionamento e confinamento.

     E sogniamo anche una realtà non turbata dai canti trionfalistici che accompagnano anche il semplice spostamento di una foglia quando la foresta brucia.

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