Indipendenza sì, indipendenza no

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spadafora (104189)di Guido Di Stefano

   “La Sicilia ha tutte le carte in regola per essere una nazione indipendente”: questo pensiero espresse il gesuita piemontese Luigi Taparelli (ovvero Cosimo D’Azeglio fratello del più noto Massimo) quando in Italia molti vivevano l’esaltazione della raggiunta (o imposta?) unità, rischiando la vita.

   E sembra una nemesi storica che proprio un oriundo genovese, siciliano di nascita,   Antonio Canepa (già allievo dei gesuiti a Palermo) diede la vita per restituire alla Sicilia il suo “status” di nazione indipendente.

   Ma ancora più incredibile sono alcune situazioni locali. Per esempio nella Sicilia orientale “giuridicamente” esistono due “donazioni” (con  pari diritti istituzionali a quelli di S. Marino) che a loro volta dovrebbero costituire due piccoli stati indipendenti all’interno dell’indipendente Sicilia.

   Ciò premesso procediamo con un veloce excursus storico, con chiusura (diciamo) commentata.

   Sorvoliamo sulle epoche preistoriche, essendo esaustive le testimonianze storiche sullo spirito indipendentistico e sulle capacità di autogoverno della Sicilia.

   Già nel V secolo avanti Cristo i  figli delle terre di Sicilia guidati da Ducezio re dei Siculi ed      Ermocrate di Siracusa lottarono contro i Greci e contro tutti per autogovernarsi.

Nel III secolo avanti Cristo i conquistatori Romani  dovettero affrontare i Cartaginesi (che avevano organizzato un’autonoma amministrazione della Sicilia) e l’indipendente Siracusa, inizialmente legata a Roma da un trattato di pace.

   Vinsero i Romani e l’isola maggiore e tutte le isole minori che la adornano (Malta compresa) furono la prima conquista della repubblica di Roma esterna alla penisola.

   E i fieri vincitori, maestri del governo e dell’amministrazione, riconobbero alla Sicilia il suo rango di nazione, sperimentando in essa una nuova istituzione, la “provincia” retta dal “praetor provincialis” prima e dal proconsole dopo (o governatore); ma non un a provincia qualsiasi ma una “PROVINCIA PUBLICA”: praticamente senza dislocamento di truppe, cioè esattamente l’opposto di ora!  Forse i rudi Romani avevano percepito la tolleranza, la fratellanza , la pacificità di base di quell’antica nazione multietnica e industriosa per cui erano sufficienti buon governo ed equa amministrazione per restare sull’isola?

    E’ certo che la Roma di allora vigilò sulla sana conduzione dell’isola, intervenendo con fermezza e rigore contro i malversatori: Cicerone “distrusse” il proconsole Verre, incline alle vessazioni e alle ruberie!

     E’ il caso di evidenziarlo: i Romani occuparono la Sicilia ma la rispettarono e tutelarono; presero ma  ringraziarono il loro granaio; mai si sognarono di demonizzarla e dichiararla un peso, come continuano a fare discendenti di capi e popolazioni (forse) non Latini.

    Anche sotto l’impero mantenne una condizione privilegiata: come provincia a se stante fece parte della Diocesis Italiciana prima e, successivamente,  della prefettura del pretorio d’Italia e della diocesi dell’Italia Suburbicaria.

    Con la caduta dell’impero romano d’occidente seguì  per l’isola un periodo tormentato tra invasioni e occupazioni varie: ma tutti diedero oltre che prendere.

   Arabi e Bizantini si contesero le terre, prima di essere soppiantati dai  Normanni. Con gli Altavilla fu proclamata Regno: regno contrastato  aspramente   da Bernardo di Chiaravalle, Luigi VI di Francia, Enrico I d’Inghilterra e Lotario III imperatore del Sacro Romano Impero. Insomma già da allora tutto l’occidente osteggiava la Sicilia, forse perché più avanzato e più “capace” (in tutto l’occidente senz’altro)..

   Intanto nell’estate del 1140 Ruggero II (che si beccò la sua rituale scomunica) promulgò, in Ariano Irpino, la prima carta costituzionale di cui si ha notizia storica: le Assise di Ariano, vero e proprio corpus giuridico della costituzione  del Regno di Sicilia. Per inciso si ricorda che la Magna Charta d’Inghilterra fu promulgata da Giovanni senza terra 75 anni dopo.

    Applicò genialmente il principio del “rapporto fiduciario”, senza pregiudizi razziali-religiosi-ideologici, circondandosi delle più grandi menti ed eruditi dell’epoca e destinandoli secondo le competenze possedute ai vari rami dello stato: grandi erano e come grandi sono ricordati.

 regno-normanno   Fece della Sicilia la potenza egemone del Mediterraneo: costruì anche il Regno normanno d’Africa, quale protettorato della Sicilia. Fu il massimo splendore come da cartografia.

    Con gli Svevi alti rimasero onore, potenza e lungimiranza della Sicilia.

Federico II (pluriscomunicato) fu l’unico sovrano occidentale stimato e rispettato nel nord-Africa e nel medio Oriente: la sua parola era un trattato internazionale.

     Lo “Stupor mundi” codificò lo stato moderno nel 1231 con la promulgazione (dal castello di Melfi assistito dal siciliano Pier delle Vigne) delle Constitutiones Augustales, pregevole sintesi (o meglio sincretismo) del diritto romano e del diritto normanno.

    A parte il breve periodo Angioino (per noi una vessazione del papato) anche successivamente il Regno di Sicilia spiccò tra le nazioni potenti. Sorvoliamo sulla disfida di  Barletta (1503). A  Lepanto (1571) c’era anche la nostra flotta; a Vienna (1683) c’erano anche i nostri soldati. Noi c’eravamo ed abbiamo vinto: ma qualche stato occidentale (anche cattolicissimo) mancava o addirittura “brigava” con gli ottomani.

    Citiamo come fatto interno (ma importante) la donazione di Federico III, all’inizio del XIV secolo, a favore del “miles fidelis” Ruggero Spadafora le terre di Maletto e Roccella. Tra le prerogative iniziali godeva dei diritti di esigere tributi in oro e tenere armati. Per le successive prerogative alleghiamo un “diploma” del 1804.

     La tempesta napoleonica portò l’etnia del “oui” più vicina all’etnia del “yes”  nella visione degli equilibri geopolitici e del bene dell’umanità.

     Così, passata la tempesta, la Sicilia fu trattata come premio e/o merce di scambio. I nuovi potenti occidentali la assegnarono, come in un vorticoso valzer, nell’ordine ai Piemontesi, agli Asburgo, ai Borbone. Il titolo regale era legato alla Sicilia.

     Con i regnanti Borbone godette di una buona prosperità, anche se politicamente fu nel tempo ridotta a una appendice di Napoli.

     E un Borbone attuò la seconda donazione sicula a favore di Orazio Nelson: duca di Bonte, con le terre della passata Abbazia di S. Maria di Maniace. Pensate un poco: il duca aveva l’obbligo di correre con armati suoi in difesa del re, alla bisogna.

     Poi la catastrofe per noi!

La Sicilia fu liberata e unita all’Italia. E abbiamo pagato: con l’oro del banco di Palermo prima e con i tesori e le terre di monasteri e conventi poi; con tanti morti e fuggitivi (migranti dagli orrori della liberazione dai Borbone); con la demonizzazione; con le ingiurie e le derisioni subite da allora in poi. Eccome se abbiamo pagato. Dove è finita la contabilità della liberazione spontanea? In fondo al mare con Ippolito Nievo o in qualche archivio occidentale? E perché la ducea (Bronte-Maniace) e il principato (Maletto …) non hanno votato separatamente per l’annessione o meno? E perché ai Siciliani tutti non è stato chiesto se volevano l’annessione o il ripristino del loro vetusto regno di Sicilia (non il regno di Napoli)?

     Poi venne la seconda liberazione con gli alleati e risorse la voglia di indipendenza: stroncata subito con l’uccisione di Antonio Canepa, a nostro avviso rimasta impunita, mentre gli occidentali del “yes” e del “oui” giocavano con le nostre vite e le nostre aspettative! Certo la loro geopolitica e i loro affari mal si conciliano con una Sicilia nazione sovrana: può ritornare grande e influente.

    Ci hanno gabbati con uno statuto speciale, dannato fin dall’inizio alla non applicazione. E i trattati internazionali (non bilaterali!), che volevano la Sicilia smilitarizzata (“INSULA PUBLICA”) sono stati spudoramente disattesi e violati: già perché le etnie (d’oltre stretto) del “si” si sono chinate (senza interpellarci come da trattato tra nazioni qual è lo statuto) ai voleri delle etnie del “oui” e del “yes”. Poderosa già a vista è la militarizzazione della Sicilia da parte degli USA. Speriamo almeno che le leggende metropolitane sugli armamenti dislocati qui non siano assolutamente vere: altrimenti potrebbe non esserci scampo e speranza per la conservazione del primato di più grande isola del Mediterraneo.

      Quali speranze di bene per il genere umano con queste Etnie che appiccano (o assecondano) spontaneamente o meno incendi nel Mediterraneo, in Africa, in Asia, in Europa, nel mondo intero per un potere effimero e qualche superfluo lingotto in più?

   Quale fiducia si può avere in chi è capace di trasformare in arma di ritorsione e prevaricazione il cibo, lo sport, la salute, la (dis)informazione, la (non) conservazione della memoria e dell’identità dei popoli …?

    Siamo stati un costante e indistruttibile esempio di coesistenza, integrazione e fratellanza di popoli e religioni: noi, i Siciliani. E dobbiamo sottostare a chi, non condividendo  i nostri eterni valori vuole, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi alleato (anche “nostrano), allontanarci da essi e cancellare la nostra identità?

     “Mia è la vendetta” ricorda il Creatore: noi gli chiediamo libertà, verità e giustizia!

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