Democrazia diversa

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democracydi Guido Di Stefano

   Nelle nazioni, ove in qualche modo si vota per le elezioni (non nomine) dei rappresentanti del popolo, la formazione dell’esecutivo è diritto e dovere della “guida” (nota dall’inizio ai cittadini) dello schieramento vincente, che adempie da solo  o  con altre “guide”. E la “rovinosa” caduta di un governo porta a nuove elezioni o peggio.

    Non abbiamo notizia di altre “democrazie” dove la longevità politica di tanti personaggi trascende il tempo e lo spazio, impedendo spesso il ricambio generazionale: con tanti “nostri” possono competere  qualche volta (raramente invero) pochi potenti nella storia passata e recente dell’umanità. Già perché la “democrazia” ha destinato “un posto al sole” a molti fortunati, che dalla politica tutto hanno avuto senza il “patema” del pane quotidiano: non di sole cariche elettive vive il professionista della “politica” ma anche di ogni incarico di “sottogoverno”  guadagnato. E citiamo appena incarichi, cariche e prebende “altruisticamente” (per il bene comune) accumulati da tanti: nemmeno se avessero il dono dell’ubiquità potrebbero (personalmente) degnamente affrontarli!

    Né ci risulta che tanti quanti in Italia siano stati altrove i rimpasti, salti sul carro del vincitore, governi tecnici, tecnici prestati alla politica. Governi tecnici o d’emergenza sono stati sovente chiamati: capaci di operare anche di notte (magari per attuare forzosi prelievi notturni dai conti correnti o per preparare stangate “sorprendenti”) e per lo più ricchi di un tecnicismo “bancario-finanziario” e sovente incuranti degli eventuali conflitti di interesse ipotizzabili per gli “stringenti”  legami bancari-finanziari di qualche “tecnico”.

   E noi Siciliani? Non conosciamo i profondi pensieri dei nostri rappresentanti a Roma e nel mondo; temiamo proprio di non conoscere bene nessuno dei nostri rappresentati anche qui in patria, in Sicilia.

    E gli esiti delle scelte nordiche ce li racconta la storia.

    Siamo stati coinvolti per volere degli statisti “nordici” in tutte le guerre e gli orrori del ventesimo secolo. Siamo stati “riconquistati” nel 1945 (morte di Antonio Canepa) e domati con lo Statuto speciale (da non applicarsi mai, a qualunque costo).

    Sempre noi Siciliani siamo stati sacrificati all’occupazione militare degli USA, con accordi bilaterali di dubbia (secondo noi) valenza internazionale, se hanno un qualche valore giuridico il trattato di Parigi, lo Statuto speciale e altri trattati successivi relativi agli armamenti. Siamo stati fagocitati da NATO, UE, Euro. Chissà perché diversi popoli europei vogliono tirarsi fuori dalle trappole comunitarie: forse i nostri tecnici hanno commesso e perseverano negli errori di valutazione?

    Siamo circondati da un Mediterraneo  in fiamme. Ci troviamo esclusi da virtuosi sbocchi commerciali verso oriente perché i signori del nord (o meglio al di là dello stretto) accettano (osiamo dire) decisioni e  imposizioni  anche per noi. Dobbiamo fermare le mire espansionistiche di Mosca ci urlano i nostri rappresentanti (specie se nominati) tutti i giorni! Ma la storia non ricorda proprio nessuna  guerra russa mirante all’ espansione territoriale. All’origine di tanta acredine verso la Federazione russa non ci sarà per caso la sua voglia di assoluta indipendenza dai poteri economici-finanziari-bancari occidentali (in particolare d’oltre oceano)?

    Non un cenno alle ricchezze prelevate in Sicilia; non un grazie per tutti i morti “dedicati” alla patria comune; non un riconoscimento per la nostra “resistenza”  e il nostro eroismo; mai una sincera lode per il nostro valore; mai un privilegio per la tolleranza e l’altruismo con cui arricchiamo il mondo: siamo trattati come microscopici e invisibili nel bene, ciclopici e accecanti nei mali, in quei mali comuni a tutta l’Italia dal sud (per tradizione, è l’accusa) al nord (per vocazione, forse è il caso di dire).

   E in aggiunta ai tanti tormenti che ci affliggono ora risentiamo il gelido vento di un passato liberticida: cosa significano, per i nostri al di là dello stretto, le espressioni “nuovo ordine mondiali”, “partito nazionale unico”, “sindacato unito”?

   E che dire delle leggi “perfette” imposte ai parlamenti (di Roma e di Palermo) da un singolo (o una elite)? Dov’è finito il potere legislativo “riservato” ai parlamenti?

   La nostra idea di democrazia è diversa perché è “libera”: vede la rappresentanza del popolo, accetta il pluralismo (non imponendo l’unicità) e il civile dissenso (libertà di pensiero, espressione, azione) e rispetta la dignità umana. E soprattutto è cosciente: nessuno è perfetto e giusto, nessuno può ergersi a giudice infallibile, nessuno può sostituirsi al Creatore.

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