Il “blocco” del MUOS

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LIBIA: DA SIGONELLA PRONTI A PARTIRE SEI CACCIA DANESIDi Salvo Barbagallo

Il quotidiano “Corriere della sera” nell’edizione di ieri (sabato 4 aprile) apre la sua prima pagina con un editoriale a firma del politologo Angelo Panebianco dal titolo “Il Paese nelle mani del Tar”, in riferimento al “blocco” dell’impianto di comunicazione satellitare MUOS in territorio di Niscemi in Sicilia.

Panebianco definisce subito come “una barzelletta inventata da qualcuno che ce l’ha con gli italiani” la sentenza del Tar e il sequestro della stazione statunitense da parte della Procura della Repubblica di Caltagirone, lamentando anche “il silenzio delle autorità nazionali”. Noi diciamo subito che ci stupisce questa sua “difesa d’ufficio” che riteniamo – è nostra opinione, pardon – non possa considerarsi a favore degli Italiani e (neanche a pensarlo…) dei Siciliani, ma (forse…) solo a favore degli Stati Uniti d’America che per questo marchingegno, pericoloso e aggressivo militarmente parlando, hanno speso miliardi di dollari.

Giorni prima di questo accalorato articolo di Panebianco, su questo giornale, noi abbiamo sottolineato il “quasi silenzio” da parte dei mass media sulla delicata vicenda, ben conoscendo le “ragioni” del silenzio assoluto delle competenti Autorità nazionali, ministero degli Esteri e ministero della Difesa: far passare sotto traccia un provvedimento inaspettato e, soprattutto, “inedito” in Italia, la presa di posizione di una Procura, che parte integrante è degli Organismi dello Stato, contro una struttura che italiana non è, ma “straniera” su terra italiana. Un episodio mai verificatosi che potrebbe avere conseguenze devastanti, con effetto “domino” incalcolabile.

Panebianco parla di “sicurezza nazionale” e di “impegni con l’alleato” (gli USA), e preferiamo pensare – non volendo fare torto al politologo, docente universitario e saggista – che gli sia sfuggito il ricordo del “Trattato di pace fra l’Italia e le Potenze Alleate ed Associate” di Parigi del 10 febbraio 1947, che all’articolo 50 comma 4 specifica “In Sicilia e Sardegna è vietato all’Italia di costruire alcuna installazione o fortificazione navale, militare o per l’aeronautica militare, fatta eccezione per quelle opere destinate agli alloggiamenti di quelle forze di sicurezza, che fossero necessarie per compiti d’ordine interno”. Quel Trattato, quell’articolo 50 (ovviamente…) sono stati disattesi sia dall’Italia che dagli Stati Uniti d’America, che li hanno considerati superati a seguito dei successivi Accordi e Protocolli bilaterali USA-Italia. Inutile chiedersi a cosa possano servire i Trattati se poi, a convenienza, non si tengono nel rispetto di ciò che è stato sancito e sottoscritto dalle parti in causa. Probabilmente Panebianco ha considerato marginale questo aspetto, probabilmente non ne ha tenuto conto perché – a suo avviso – andrebbe a discapito (o in discussione) la “sicurezza nazionale”.

muosbPer Panebianco sono tutti da dimostrare i “rischi per la salute” che potrebbe comportare il MUOS, in special modo ”proprio in una fase in cui si profilano minacce gravissime per la vita (e dunque – si suppone – anche per la salute) degli italiani, in una fase in cui andrebbero accresciuti, e non indeboliti , tutti gli strumenti possibili di difesa, nonché la capacità di un partner affidabile per i suoi alleati militari”. Dopo quest’osservazione, ci vediamo costretti a chiederci: ma Angelo Panebianco conosce la reale portata della presenza statunitense in Sicilia, avviata sin da lontano 1950? Angelo Panebianco conosce il numero delle installazioni militari USA in Sicilia? Angelo Panebianco è consapevole che la Sicilia in oltre mezzo secolo è stata trasformata nell’arsenale più avanzato degli Stati Uniti d’America nell’area del Mediterraneo e oltre? E non si tratta di “arsenale difensivo”. Ci chiediamo ancora: Panebianco conosce cosa sono Sigonella, Augusta e la stessa Niscemi prima ancora del MUOS? Soprattutto, nel caso in specie: conosce cosa sia veramente il MUOS, o è convinto che sia esclusivamente un “sistema di difesa”?

Noi, in questa sede, non intendiamo rispolverare il folcloristico leit motiv della “non” applicata Autonomia della Sicilia, né ritenere corretti quanti si trincerano dietro alla circostanza occasionale, altrettanto folcloristica, che le basi militari esistenti in Sicilia siano Nato (oltreché italiane). Il MUOS, così come Sigonella (e altre installazioni) sono statunitensi a tutti gli effetti. Occorre ricordare che Sigonella – base italiana – “ospita” la Naval Air Station della VI Flotta Usa nel Mediterraneo, all’interno della quale insistono, nella massima autonomia, alti Comandi statunitensi e Global Hawks non di “pertinenza” italiana, né NATO, e armamenti e munizioni non noti. Non ci risulta poi (in merito agli Accordi bilaterali) che negli Stati Uniti d’America ci siano basi militari italiane. A quanto pare, gli Accordi e i Trattati USA-Italia sono stati sempre a senso unico, a discapito dell’Italia, da una punta all’altra dello stivale.

Siamo convinti – e lo abbiamo scritto innumerevoli volte – che il MUOS a Niscemi non sarà smantellato: è già realizzato e operativo in fase di collaudo. Non sarà il Tar, né la Procura di Caltagirone a mettere la parola “fine” a questa storia, e non solo per i miliardi di dollari spesi per gli impianti, ma in quanto gli USA hanno estrema necessità di avere a disposizione (magari quando potrà essere necessario) questa temibile “arma”. E se dovesse cadere il MUOS di Niscemi, fallirebbe l’intero sistema. Un sistema ideato e messo in atto (da una parte all’altra del globo) non certo per difendere gli Italiani (o i Siciliani) dall’ISIS e dal terrorismo.

Non poniamo alibi di sorta, dunque. La progressiva militarizzazione statunitense della Sicilia è sotto gli occhi di tutti.

Infine: alla “difesa” del “patrio suol” non dovrebbe pensarci lo Stato italiano? Oppure dobbiamo ritenere che il Paese Italia per sopravvivere ha necessariamente bisogno di un “tutor”?

Avremmo tante altre cose da dire sull’articolo di Panebianco: non mancheranno occasioni.

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