Massima allerta, rischio “emulazione” attentati

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Land_Rover_Discovery_III_Serie_RMPSDi Salvo Barbagallo

Ora in Italia è stato di massima allerta, con la mobilitazione di servizi e forze di polizia, dopo l’attentato dei jihadisti al museo di Tunisi: si teme un effetto domino, si teme, in pratica, che qualche (possibile) cellula dormiente voglia emulare i tragici eventi tunisini. Il Dipartimento di Pubblica Sicurezza ha emanato una circolare con la quale si invitano gli organismi di sicurezza a “sensibilizzare ulteriormente” le misure di vigilanza a sedi diplomatiche tunisine e ai siti nazionali sensibili. Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia e da febbraio anche coordinatore delle indagini antiterrorismo, ha fatto presente alle commissioni di Camera e Senato e al Csm, che “Non ci possono essere gelosie delle informazioni, né troppi timori di interferenze: per contrastare il terrorismo in modo efficace magistratura e intelligence devono lavorare stabilendo un canale di collegamento”. Non è, infatti, inpresa facile prevenire le azioni dei terroristi e se manca una collaborazione diretta fra i vari organismi internazionali preposti alla sicurezza nei singoli Paesi, nessun attacco può essere sventato. Franco Roberti – in una intervista rilasciata al quotidiano Il Giornale – ribadisce che “Nessuno si può tirare indietro di fronte alla sfida del terrorismo. Nel corso delle indagini ci dev’essere rispetto delle diverse sfere di competenza: noi non vogliamo interferire sulle attività dei servizi, né loro possono farlo sull’autorità giudiziaria”.

E’ lo stesso procuratore nazionale antimafia che sottolinea la complessità della situazione: “Abbiamo visto negli ultimi anni un’evoluzione del fenomeno jihadista, diventato più molecolare: formato da piccoli gruppi, con pochissimi soggetti, addestrati e con grande mobilità sul territorio. Sono gruppi non isolati ma in contatto tra loro, con un’ideologia in comune. Non direi, però, che obbediscono a un’unica regia”, il che rende ancora più grave lo stato delle cose.

E’ un problema che non si può risolvere dall’oggi all’indomani, e quanti sollecitano interventi armati da parte di coalizioni anti Isis sono già contrastati da quanti ritengono che queste misure non risolverebbero nulla, se non inasprire maggiormente la situazione. E’ questa una delle ragioni per le quali i Paesi europei mostrano incertezza nell’agire, allungando a dismisura i tempi per l’adozione (quale che sia) di una soluzione decisiva. Il “che fare?” si è trasformato in una continua riflessione, mentre risalta un denominatore comune: “fare presto”.

Per la sicurezza del territorio nazionale s’incomincia ad alzare qualche voce: la riproposta dell’Operazione “Vespri Siciliani”, messa in moto nel corso del Governo Amato dodici anni addietro, sollecitata dall’allora ministro della Difesa Salvo Andò. Quell’operazione scaturì dall’attacco della mafia alle Istituzioni con una serie di attentati: oggi ci si chiede se quegli attentati, quel “terrorismo” sia stato meno tragico da quello che il Califatto jihadista ha messo in campo.

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