Terrorismo: frontiere colabrodo

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Esercito
Immagine storica dell’operazione Vespri Siciliani

Di Salvo Barbagallo

Come è possibile che quando si vuol parlare di “pericolo” terrorismo via mare collegato all’argomento “immigrazione” si corre subito il rischio di essere accusati di “allarmismo ingiustificato”? Eppure è quanto accade quotidianamente: evidenziare già solo la “potenzialità” del pericolo mette chi lo fa in una posizione scomoda ed essere considerato “depistatore” di una realtà che queste “potenzialità di pericolo” non presenta. Indubbiamente è vero che il terrorismo ha “trasformato” le sue forme aggressive, ma è altrettanto vero che questa condizione di “trasformazione” era più che prevedibile: lo hanno compreso anche i cosiddetti ”non addetti ai lavori”, figurarsi se non lo abbiano potuto capire coloro che sono addetti alla sicurezza di un Paese che si avvalgono di strumenti di intelligence che l’uomo della strada sicuramente non ha. Ci sarebbe da chiedere subito, in prima istanza, a cosa servono tanti e tanti analisti specializzati nella complessa materia, e a cosa servono gli uomini dei servizi segreti che operano direttamente sul campo se i risultati (almeno apparentemente) sono scarni.

Il terrorismo – lo sosteniamo da tempo – è stato, è, e sarà sempre imprevedibile nelle sue azioni; abbiamo anche sostenuto che è estremamente difficile fronteggiare ciò che è imprevedibile. Questa è una delle ragioni che giustifica il lavoro (spesso, purtroppo, a vuoto) degli analisti che utilizzano le informazioni degli agenti operativi: formare degli scenari che non escludano nulla, che non lascino zone buie o zone d’ombra. Chi non ha  strumenti idonei per costruirsi una opinione che sia, quantomeno, “vicina” agli avvenimenti che si vivono – ed è pure il nostro caso – può fare uso solo della sua “ragione” per cercare di comprendere ciò che accade. Razionalmente discutendo, si può dire che il “problema terrorismo” va visto principalmente sotto due aspetti cardine: situazione esterna al Paese (cioè, terroristi che penetrano o tentano di penetrare nel territorio); situazione interna al Paese (cellule di insospettati già radicate nel tessuto sociale). All’interno di queste due esemplificazioni, una miriade di elementi che rendono complesse le indagini degli organismi preposti alla sicurezza del Paese.

Per quanto concerne la situazione esterna: si guarda con particolare attenzione al “fenomeno” immigrazione in quanto questo “canale” – visto l’enorme flusso di persone che raggiungono le coste nazionali – è quello che presenta più incognite nella individuazione di eventuali infiltrati fra le migliaia di disperati che cercano solo un luogo tranquillo dove potere continuare la propria esistenza. Ovviamente l’immigrazione via mare Mediterraneo dalle sponde della Libia o di altra nazione non è l’unica via per raggiungere l’Italia: le frontiere nazionali possono essere attraversate (con facilità) in mille modi: via terra, via aerea, via ferroviaria, eccetera. Paradossalmente possono essere più efficaci i controlli via mare, disponendo l’Italia di mezzi navali e aerei a sufficienza per individuare i barconi, che si dirigono principalmente verso la Sicilia: i barconi potrebbero essere bloccati e il loro carico umano sottoposto a “verifica” prima che tocchi terra. Il risultato dei centri di accoglienza, è cosa risaputa, è estremamente negativo, e non solo per le speculazioni che sono state fatte (e forse continuano a farsi) sulla pelle dei clandestini. Dai centri di accoglienza i migranti si allontanano quando e come vogliono, e una volta dispersi non si può conoscere quali siano le loro mete perché (con una frase fatta) diventano “invisibili”.

Per quanto riguarda la situazione interna, gli aspetti sono ancora più complessi: non sappiamo fino a che punto è valido (e se c’è) l’effettivo censimento dei migranti che si sono stabilmente (o provvisoriamente) stanziati in Italia. Ma questo discorso non è riferibile solo ai migranti che provengono dall’altra sponda del Mediterraneo, ma a tutte le presenze “straniere” (dai cinesi, ai pakistani, ai russi). Un “controllo” concreto comporterebbe da parte dello Stato un impiego di personale e di mezzi economici incalcolabile che oggi, comunque, non esiste.

Pericolo attentati e strumenti di contrasto. Essere in fase di “massima allerta” è già un livello preventivo importante, ma non è la panacea che può scongiurare la possibilità che venga posta in atto un’azione criminale. Vigilare sugli “obbiettivi sensibili” significa ben poco. Tutto ciò che è sul territorio nazionale è un “obbiettivo sensibile”: dal supermercato, alla discoteca, al parco urbano, ad una comune arteria cittadina, a un mezzo pubblico o privato, a una galleria d’arte, a un negozio, eccetera. Impossibile mettere in sicurezza ogni cosa contro l’insidia di un atto terroristico che può colpire ovunque. In articoli precedenti abbiamo fatto riferimento alla “Operazione Vespri Siciliani”, quando l’Esercito venne mobilitato sulle strade dell’Isola: di certo non si pensava di riuscire a sconfiggere la mafia, ma si riteneva (a buon conto, e così è stato) che potesse essere un deterrente contro la criminalità organizzata. Ora non si tratta di riprendere e riproporre moduli “difensivi” del passato e con altre finalità: si tratta di mettere in atto nuovi “deterrenti”, quali che siano e che non sta a noi suggerire.

La sicurezza di un Paese, la sicurezza dei cittadini dovrebbe essere questione primaria per un Governo che rappresenta l’intera collettività. Indispensabile un Governo che non mostri falle, così come accade continuamente, ma che abbia prontezza di ciò che va fatto. Nel settore “sicurezza” il Governo attuale si pone con incertezze: il decisionismo che il premier Matteo Renzi ha attuato per altre questioni, nel caso specifico fa acqua da tutte le parti. Altrettanto dicasi per i responsabili dei dicasteri più importanti, gli Interni e la Difesa. Le misure adottate sino ad ora sono qualcosa. Poca cosa, a fronte di ciò che è necessario.

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