Sicilia, porta dell’Eldorado o porta dell’inferno?

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la_comunicazione-efficaceDi Salvo Barbagallo

 

Troppo presi (forse) dai problemi del quotidiano, per i Siciliani è diventato un “fatto” scontato la presenza di centinaia e centinaia di migranti che provengono da Paesi in guerra al di là del Mediterraneo. In Sicilia la questione dell’integrazione fra le genti non si è mai (o quasi mai) posta sin dai tempi antichi. In Sicilia non si è posta mai (o quasi mai) una “questione” di “incompatibilità” di religioni che potesse sfociare in scontri o “guerre sante” (da una parte o dall’altra). Anzi, se si va indietro nel tempo, al periodo in cui regnò Federico II di Svevia, si ricorda che l’Isola era il punto d’incontro di religioni e cultura e di etnie diverse, tutte armonizzate in una convivenza pacifica e laboriosa. Le radici della “tolleranza” dei Siciliani affondano in un humus che è difficile annullare. Pur tuttavia il continuo e inarrestabile flusso di migranti pone sul tappeto problematiche che spesso sono ignorate, ignorate specialmente da chi dovrebbe avere chiara una situazione estremamente difficile da gestire. Situazione che (in buona fede o in malafede, o per superficialità) viene ignorata da chi governa il Paese e da chi governa questo territorio, ultima periferia a sud dell’Europa.

Per i migranti la Sicilia è la porta di un Eldorado che può essere varcata: la necessità di fuggire dagli orrori delle varie guerre che insanguinano quei luoghi dove è stata dimenticata la “pace”; la speranza di conquistare un futuro negato a milioni di persone; la speranza di poter cambiare il proprio destino, tutti questi fattori per i migranti annullano il pericolo di poter perdere tutto strada facendo. Le centinaia di vittime che le acque del Mediterraneo hanno accolto ne sono una dimostrazione pratica.

I migranti (forse) non sanno che sulla loro pelle c’è chi scientificamente ci specula: se ne rendono conto (forse) solo quando vengono ammassati nei cosiddetti centri di accoglienza sparsi nell’isola.

Dopo i tragici fatti di Parigi i migranti dovranno affrontare un nuovo rischio: l’inevitabile diffidenza con la quale saranno accolti quando varcheranno quella che hanno considerato la frontiera della speranza. Fra di loro si saranno infiltrati “combattenti” di quegli eserciti che predicano la “guerra santa” contro l’Occidente? Diffidenza, fra l’altro, più che giustificata, non più per i tanti “proclami” degli islamici integralisti, ma quanto per le minacce che si sono trasformate in tragica realtà. Un nuovo inferno per i migranti: dovranno (o dovrebbero) essere passati a setaccio, posti sotto microscopi o lenti di ingrandimento (a secondo dei casi): l’Italia, la Sicilia, l’Europa intera non potranno più fare a meno di adottare misure di sicurezza adeguate per impedire che la “guerra santa” sbarchi nell’isola per poi allargarsi a macchia d’olio in tutta Europa. Si darebbe ragione agli esponenti della Lega quando accusano il governo di connivenza con il “nemico”.

Molte le voci, dopo i fatti di Parigi, che hanno sottolineato che “Siamo in guerra!”: non si possono ignorare le parole di chi denuncia apertamente uno stato di cose che è a tutti visibile. Non si tratta più di avere “tolleranza”, ma di adottare forti misure di cautela e prevenzione per cercare (per tentare, almeno) di evitare il peggio. Certo, non può essere cancellato il “dialogo”, ma c’è da rilevare che il termine “dialogo” ha  perduto il suo reale significato: con chi si dovrebbe dialogare se l’interlocutore persegue finalità non condivisibili o cerca di imporre con la violenza la propria linea di pensiero e di operatività che è estranea e opposta allo stesso principio di dialogo? Comprensione non può significare “condivisione”: i tentativi di “dialogo” sono falliti – o sono destinati a fallire – poiché la comprensione, nella migliore delle ipotesi, è a senso unico e quasi mai c’è corrispondenza ed eguale reciprocità d’intenti in chi si professa “disponibile”.

Così è, se ci pare…

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