EuropaMediterraneo: Quanto “pesano” i morti in mare?

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45025127di Marco Di Salvo

Questo articolo lo cominciamo con un numero: 3419.
Ora vi invitiamo a lasciarlo per un attimo da parte e diamo un’occhiata ai quotidiani di oggi (dopo aver “subìto” i telegiornali, i canali allnews e i siti di informazione online tutta la giornata di ieri).
La notizia del giorno è certamente il naufragio del traghetto Norman.
Nel momento in cui scriviamo, dei 478 passeggeri che erano a bordo, sono ancora in attesa di essere salvati in poco meno di 150 (e, dopo più di ventiquattr’ore dall’evento, mi sembra un numero più che rilevante e su cui fare inchieste e approfondimenti per capire, al di là delle condizioni climatiche, i perchè di tali ritardi. Ma tant’è). Di morti accertati dalla Marina Militare italiana pare essercene solo 1. Tutto questo non impedisce alle testate di informazione nazionali e locali di fare paragoni con il Titanic (“peccato” che in quel naufragio di poco più di un secolo fa persero la vita 1.518 dei 2.223 passeggeri imbarcati compresi gli 800 uomini dell’equipaggio e solo 705 persone riuscirono a salvarsi).
Ora torniamo a quel numero messo all’inizio dell’articolo:3419. Sono i morti delle traversate nel Mediterraneo compiuti dai disperati che dall’Africa partono alla volta dell’Europa in cerca di un futuro migliore. Sono dati computati fino all’inizio di dicembre 2014 secondo le stime dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati.
Di questi morti sappiamo solo di sponda, quando lo sappiamo. Di fatto sono morti invisibili, che affondano nella nostra indifferenza esattamente come sparirono nei fondali del Mediterraneo, poco meno di vent’anni fa, la notte di Natale del 1996, i 283 migranti provenienti da India, Pakistan e Sri Lanka che annegarono al largo di Porto Palo.
Spesso preferiamo concentrarci sui vivi, su quelli che ce la fanno. E magari lo facciamo solo per preoccuparcene, ma non per occuparcene. Per farne l’esempio dell’ “uomo nero”, del pericolo di “invasione” prossima ventura. Per farne carne da cannone per campagne elettorali a base di paure represse, per disorientare dai veri motivi dei malesseri contemporanei (e dai veri responsabili degli stessi).
Perchè accade ciò? Nel mondo anglosassone, dove, come si sa da tempo, tendono a standardizzare e regolamentare tutto, si sono inventati i cosiddetti “valori notizia”. In pratica ci sono una serie di parametri che aiutano il malcapitato giornalista a capire cosa sia o non sia “notiziabile”. Ad esempio, negli USA si usava dire che un “morto americano” vale 10 morti canadesi, 30 europei, 100 russi, 1000 cinesi. I nostri colleghi in questi giorni stanno alzando le quotazioni dei morti italiani, pare. Che sia una buona notizia, di fronte allo sfacelo circostante?

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