Dopo la “Primavera araba” arriverà la “Primavera europea”?

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merkel-putinDi Salvo Barbagallo

C’è un’atmosfera strana in questa Estate che sembra essere agli sgoccioli, controversa anche metereologicamente (mal tempo al nord, bel tempo al sud): invece di un naturale Autunno è possibile che si vada incontro a una “Primavera” che i più non hanno messo in conto e nemmeno ipotizzato. Sembra che ci sia una qualche entità misteriosa che voglia premere sul pedale e riproporre in Europa il fenomeno (di certo innaturale) di quanto è già accaduto non tanto tempo addietro nel profondo Sud, quando all’improvviso esplose quella che in Occidente venne chiamata (o definita) “Primavera araba”. C’è chi prepara una “Primavera europea”? A volere interpretare certi allarmanti segnali – e le teorie del “complottiamo nulla hanno a che farci con queste osservazioni – verrebbe da pensare che sono stati avviati i primi passi per coinvolgere i Paesi di questa Europa claudicante in qualcosa che le è poco congeniale: una forte e pesante tensione economica, movimenti bellici all’Est, possono provocare, a vari livelli, situazioni parossistiche difficilmente controllabili.

Sul tappeto ci sono questioni che stanno scuotendo il mondo, ma non sappiamo da cosa e da chi sono provocati gli squilibri che tutti notiamo. Queste questioni influiscono sia nel microcosmo del territorio in cui si vive, sia al di fuori. A nostro avviso l’unica chiave per tentare di comprendere cosa sta accadendo nel mondo è quella di “recepire” gli avvenimenti per porli nella loro reale connotazione, unendo i vari pezzi sparsi, nel tentativo di individuare un quadro d’insieme.  Comprendere cosa accade in un Paese, in un territorio circoscritto, non è facile: tra la disinformazione pilotata ben orchestrata e il veloce susseguirsi degli avvenimenti, spesso si è portati a dare una interpretazione errata di ciò che accade.

D’altra parte i conflitti in atto si mostrano nella brutalità più evidente della necessità del controllo delle materie prime: allo scontro, negli scorsi decenni vestito dei caduchi panni dell’ideologia, si è sostituita la lotta per “la democrazia”, veicolo di un riposizionamento delle influenze delle potenze militari maggiori, nel tentativo di instaurare nuovi regimi più controllabili. Tutto ciò porta da un lato a dilatare gli accordi di libera circolazione delle merci e dei capitali, dall’altro alla necessità di innestare di continuo elementi di destabilizzazione degli assetti di intere aree, quasi che da una visione ecumenica della globalizzazione (la pace mondiale, la non proliferazione e la de-nucrealizzazione, l’ONU come garante super partes ecc.) i gruppi economico-politici più rilevanti sul piano globale stiano optando per scelte di creazione e di governo della instabilità, che alimentino, in maniera più o meno occulta, le correnti sotterranee foriere di cambiamento-indebolimento nelle aree d’interesse. A tutto ciò non sembra estraneo il mutare delle condizioni di accesso alle fonti d’energia, con gli USA passati al ruolo di esportatori potenziali dalla dipendenza dal petrolio del medio oriente, l’indebolimento della facilità di approvvigionamento dei Paesi dell’area euro a causa delle dinamiche innestate nel nord africa, delle più difficili condizioni di dialogo con la Russia per la crisi Ucraina (per altro dall’oleodotto che attraversa questo paese transita l’enorme quantità di gas siberiano indispensabile per l’area euro), dalla “evoluzione” della condizione dell’Iraq, ormai prossimo al controllo jaidista e la conseguente fibrillazione prevedibile per l’intero medio oriente.

L’instabilità non può che creare nuova instabilità. Il mondo che si presenta oggi ai nostri occhi è ancora più instabile di quanto ci si potesse aspettare e ciò che pare profilarsi al nostro orizzonte è forse più complicato di quanto si potesse immaginare.

Sempre più va configurando un assetto globale di tipo mutilpolare, certamente prodotto dalla globalizzazione: è questo il contraltare del venir meno del ruolo degli USA come “unica” potenza mondiale, con ruoli sempre più decisivi attribuiti a Russia e Cina. In tale ambito si delinea una crisi crescente del ruolo delle istituzioni internazionali, quali l’ONU, oramai mera cassa di risonanza di interessi particolaristici, e quindi sostanzialmente incapaci di essere barriera per il mantenimento della pace.

In parallelo, lo scenario mondiale vede il consolidarsi dell’egemonia di gruppi di potere transnazionali, dotati di inimmaginabili concentrazioni di capitali finanziari, la cui unica missione è quella di creare ulteriori occasioni di profitto, anche in conflitto con gli interessi dei singoli stati nazionali.

L’Europa, priva di qualsiasi parvenza di unità, si limita a proiettare la propria potenza solo  nell’euro, con un correlato tripudio di interessi particolari tale da renderla mera espressione di interessi economici.

Conflitti regionali sono possibili, originati dalle potenze egemoni in genere per precisi interessi economici; ne è un esempio eclatante il caso delle così dette “Primavere arabe”, trionfo dell’instabilità, della violenza tribale, dei rigurgiti di tutti gli estremismi religiosi, del terrorismo: una  tragedia di cui la sponda nord del Mediterraneo fa le spese, visto come è legata al ribollire di territori in guerra, con aumento vertiginoso dei disperati che fuggono dalle zone di conflitto.

Se questo è il quadro complessivo, l’analisi della condizione dell’Europa ora fornisce, se possibile, ancora più motivi di apprensione: dove porterebbe una “Primavera europea” ricca di conflitti “locali” e sollecitata da pressanti spinte indipendentiste?

C’è già chi rimpiange i tempi della nefasta “guerra fredda”, quando almeno si conoscevano i due “blocchi” dominanti e i reciproci interessi che portavano avanti.

Così è, se vi pare…

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