Lo scandalo Provenzano

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BERNARDO-PROVENZANO-facebookDi Valter Vecellio

Non si scriverà, oggi, in questa nota, delle vicende relative a Silvio Berlusconi. Ne parlano e scrivono tutti, non c’è bisogno di unirsi al coro. Cercheremo invece di sollevare una questione scandalosa, che quasi nessuno, osa trattare: lo scandalo Provenzano. Proprio lui, il boss di Cosa Nostra, sodale – fino a un certo punto, almeno – di Totò Riina e Leoluca Bagarella. Provenzano, arrestato da tempo, si trova ora sottoposto al regime del 41bis, nonostante le sue conclamate gravissime condizioni di salute. Più volte i radicali hanno sollevato il suo caso. E ora meritoriamente interviene anche l’Unione delle Camere Penali. Una nota, è da prevedere, che sarà in larga misura ignorato. Vediamo dunque di che cosa si tratta.

Ci sono nomi“, si legge nel comunicato, “che da soli e più di altri, evocano vicende criminose e gravissimi delitti, cui corrisponde il pianto di molte vittime. Spesso si tratta di persone di cui le sentenze passate in giudicato hanno già tracciato il percorso giudiziario, definendo intrecci e scenari delle loro condotte. Fra questi vi è sicuramente Provenzano che da sette anni è detenuto in uno dei tanti penitenziari di massima sicurezza italiani, dopo oltre 40 anni di latitanza durante i quali si sono svolti diversi processi che hanno definito le sue gravissime responsabilità rispetto ad un fenomeno, quello mafioso, che ha segnato la storia italiana. Le cronache giornalistiche, di recente, sono tornate ad occuparsi ancora di lui, a più riprese, con notizie che coinvolgono aspetti non secondari del trattamento delle persone che sono nelle mani dello Stato. Provenzano è imputato nel processo sulla cd. trattativa Stato/Mafia, ma la sua posizione è stata stralciata perché gli esperti nominati dal Giudice hanno accertato che lo stesso non può validamente partecipare al processo né essere giudicato perché le sue condizioni di salute fisica e mentale non lo consentono. Egli è infatti ormai ridotto ad uno stato quasi vegetativo: affetto dal morbo di Parkinson e da altre patologie si trova costretto costantemente in un letto, nutrito artificialmente, incapace di attendere agli atti più elementari di vita quotidiana. Il suo grave stato psicofisico si è potuto verificare anche attraverso i video ripresi in carcere che, in diverse occasioni, i media hanno trasmesso.
L’evidente contraddizione fra il riconoscimento del grave stato di salute dell’imputato, che non gli consente di partecipare validamente al processo, e il suo mantenimento in stato di detenzione, per di più in un regime inumano, non è stata fin qui meritevole di alcuna attenzione, neppure tra coloro che, d’abitudine, si indignano per le violazioni dei diritti fondamentali…

Se una Autorità Giudiziaria ha accertato l’irreversibile processo degenerativo fisico e psichico di uomo, al punto da rendere impossibile la sua partecipazione ad un processo, ciò significa evidentemente che egli è incompatibile con ogni forma di detenzione, figurarsi il regime del “carcere duro”, di cui all’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Un regime che mira a condizionare il comportamento processuale dei detenuti – di cui i penalisti sono tra i pochi a denunciare la vera natura di “tortura legalizzata” – sempre ingiusto anche nei confronti di persone in buone condizioni ma che svela la propria intollerabile natura vessatoria rispetto a chi non è più in possesso delle proprie facoltà fisiche e mentali. Questa situazione, dunque, richiede l’intervento immediato dei magistrati competenti, del DAP, ma anche della Ministro della Giustizia, se veramente si vuole dimostrare di aver voltato pagina rispetto ai diritti dei detenuti, specialmente quelli in condizioni di salute estreme: senza distinzioni, senza discriminazioni, senza privilegi. Non lo impone solo il senso di umanità, o il rispetto delle Convenzioni e della Costituzione, ma anche e soprattutto il fatto che lo Stato deve dimostrare che è proprio il rispetto della legalità a renderlo più forte della criminalità”.

E questo è quanto.

 

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