Catania ricorda Serafino Famà

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FamàOggi vorremmo ricordare una persona perbene che ha perso la vita per la ferocia, per la crudele stupidità, di un mafioso sanguinario che nel lontano 1995 decise di farlo uccidere, esclusivamente per sfogare la rabbia accumulata in galera per la impossibilità di riconquistare la sua libertà. Quell’uomo era lo stimatissimo avvocato Serafino Famà e la sua colpa fu solo quella di aver fatto il suo lavoro fino in fondo, con la professionalità che lo contraddistingueva, sempre con il sorriso sulle labbra e con quella dignità e stile che sono naturali nelle persone oneste.
La sua unica colpa fu quella di aver incrociato, anche se in maniera assolutamente indiretta, cosa purtroppo normale per un avvocato penalista, i destini di una persona spietata , il boss Di Giacomo, che sentenziò la sua morte dal carcere per placare l’ira legata alla sua incarcerazione e agli sviluppi dei dibattimenti processuali del tempo che ne aggravavano la sua posizione, come è facile desumere nelle memorie dei Pm Ignazio Fonzo e Agata Santonocito scritte in occasione del processo contro i suoi assassini.
Nei giorni immediatamente successivi al triste evento ( 9 Novembre 1995 ), ricordiamo perfettamente, che non si trovò subito chiara risposta al motivo del feroce delitto nel piazzale di via Raffello Sanzio, e, come sempre accade in questi frangenti, si susseguirono varie ipotesi, dalle più strampalate alle più calunniose, che male ricostruivano la vera natura dei fatti che il processo ha poi ricostruito chiaramente. Sebbene nessun pentito, o alcuna voce di alcun titolo avesse mai fatto subodorare alcun legame dell’avv.Famà con il potere mafioso, come purtroppo accade per un morto ammazzato, le voci di un possibile legame del bravo e retto avvocato catanese con la mafia si susseguirono alla rinfusa.
Visto che l’esercizio della sua professione lo portò ad assistere, come penso la quasi totalità dei penalisti del Sud Italia, alcuni signori di Cosa nostra, si alimentò a dismisura il dubbio di un nesso diretto tra la sua morte e un suo coinvolgimento mafioso,ed anche adesso qualcuno ancora ritorna su quella strada sbagliata, anche se le dichiarazioni di tutti gli uomini del settore erano chiaramente schierate su un fronte opposto, comprese quelle del procuratore Alicata che dichiarò testualmente, come riportato sul Corriere della sera di quei giorni, :” E un fatto gravissimo. Perche’ si tratta di un rappresentante della classe forense che si batteva con tenacia, onesta’ e bravura. Ma prima di emettere giudizi dobbiamo andare avanti con le indagini”.
La verità dopo anni ed anni è venuta a galla ed adesso, oltre a sperare, permetteteci di ricordare, il vivo esempio di una persona che con la sua rettitudine lasciò un impronta in tutti coloro che lo avevano incrociato, conosciuto nei tribunali o nei campi di calcio ( che lo vedevano protagonista diretto di tante partite ) una storia che lascia ancora l’amaro in bocca, specialmente nel saper essere stata uccisa in quel modo. Ma nella terra di mafia questo purtroppo può accadere, ma ogni tanto ricordare fa bene per le speranze di chi vorrà, dopo di noi, prendere spunto dall’esempio di tanti onesti cittadini catanesi che hanno onorato la loro vita con l’esempio della loro esistenza anche se il lento defluire del tempo ne cancella sempre più la memoria.
Il penalista e’ stato ricordato questo mattina, in un convegno organizzato dai figli al Monastero dei Benedettini a Catania. “Verità e giustizia”, questo il titolo del dibattito. Tra i relatori, la figlia Flavia Famà, Luciano Granozzi, docente di storia contemporanea all’Università di Catania, Giovanni Tizian, scrittore e giornalista L’Espresso, Luciano Mirone, scrittore e giornalista La Repubblica, ha moderato l’avvocato Goffredo D’Antona, collega e amico del penalista assassinato.

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