L'Europa a nord di Lampedusa

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viaggioalampedusaDi Maria Beatrice Scibetta

In un’epoca post-ideologica, dove la politica deve trovare risposte concrete alle tragedie quotidiane collettive e personali dei cittadini, deve prevalere la ragione per perseguire l’obiettivo comune della giustizia sociale. In questo clima la parentesi italiana rappresenta una macchietta risibile: un quadro a fosche tinte permeato ancora da personalismi, dibattiti sterili su passate etichette, immobilismo economico e politico suffragato dalla logica escludente di una legge elettorale che premia soltanto i “nominati”, servi dei capi di turno senza tenere conto della rappresentanza popolare.

Per questo ci deridono, ci tacciano di incoerenza e ci dettano regole strutturali e comportamentali per “restare al passo con l’Europa”. Il teatrino degli ultimi giorni tra falchi, colombe e fiducia sfiduciante certamente non aiuta.

Ma all’indomani dell’ultima tragedia di Lampedusa è doveroso porre all’Europa e a tutte le potenze principali, un tema che segna da secoli le pagine più tristi della nostra storia che è quella dell’accoglienza (e susseguente integrazione).

Quell’Europa forte che crea economia, che fa aumentare il Pil dei paesi virtuosi, che detta legge in materie di relazioni internazionali e monetarie; quella stessa Europa che rivendica i sacrifici di ogni stato in nome di un interesse comune: dove si colloca al cospetto di una tale tragedia umana e sociale?

“Tra color che son sospesi”, tra gli “ignavi” di dantesca memoria, tra chi si bea di grandi parole di cordoglio senza agire. È questa oggi l’Europa agli occhi delle persone disperate che hanno perso tutto a Lampedusa. Hanno lasciato tutto a casa loro per sperare in un futuro migliore, hanno perso ogni cosa compresi i loro amati annegati, mogli, mariti, amici e figli.

Allora oggi, con la consapevolezza colpevole di chi non sa dare a queste persone neanche una risposta sul loro futuro, dobbiamo da italiani alzare la testa e pretendere una vera coesione internazionale.

Cara Europa, si può essere razionali nella gestione delle risorse, e nella loro allocazione, nella scelta di determinate politiche e nella stipulazione di trattati. Ma quando il mare nasconde alla nostra terra centinaia di corpi senza vita, non esiste uno schema prefissato che possa funzionare per risolvere il “problema”. Perché le storie e le vite di quelle persone non sono voci di bilancio. Non sono “costi” da dividere ne “imposte da pagare all’etica pubblica”, ma risorse umane da integrare nella visione di una cittadinanza che è mondiale prima che nazionale. Non è il colore del passaporto che può creare giudizi o pregiudizi, perché solo dalla fusione di tutti i colori nasce un orizzonte libero. Guardate i corpi che vengono sepolti a Lampedusa (e forse dovremmo mandarli a voi per risvegliare l’umanità) e aprite gli occhi all’evidenza. Solo dalle sensazioni più vere nascono le migliori scelte razionali.

Perché forse noi siamo “ridicoli” o senza cervello. Ma questa Europa immobile è senza cuore.

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