Gas shale: per Obama nuova patata bollente

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Barack-ObamaIl Presidente Statunitense, favorevole all’aumento delle esportazioni di gas non convenzionale, deve fronteggiare la minoranza interna ai democratici USA spaventata da ambiente ed effetto dumping. Concordi con l’Amministrazione Presidenziale democratica anche la minoranza repubblicana

Una questione prioritaria per l’interesse nazionale, rinviata per troppo tempo, con il nuovo anno ha da essere risolta dalla Casa Bianca. Come riportato dalla Reuters, oltre al Fiscal Cliff una delle questioni dirimenti che il Presidente USA, Barack Obama, e chiamato a risolvere in questi giorni e quella legata al gas shale.

Secondo stime ufficiali, con l’avvio dello sfruttamento dello shale – gas non convenzionale ubicato in rocce porose a bassa profondità, estratto con sofisticate tecniche di fracking – gli USA hanno incrementato le esportazioni di gas nel mondo, affermandosi sopratutto nel mercato dell’Asia.

Nel listino del costo dell’energia mondiale, lo shale USA ha un prezzo fisso di 130 Dollari per mille metri cubi, ed e di gran lunga più conveniente rispetto a quello imposto dalla Russia per l’esportazione di gas naturale agli acquirenti europei.

La difficoltà della scelta di Obama e dettata dalla divisione interna al campo democratico. Se la maggioranza, tra cui lo stesso Presidente Obama, e favorevole all’aumento delle esportazioni del gas shale liquefatto nel mondo per rafforzare la posizione geopolitica degli USA, una fetta dei Democrats e contraria, in quanto teme un effetto dumping nel mercato interno.

Come riportato dal Presidente della Commissione Energia del Senato, Ron Wyden, l’ipotesi di un incremento del costo del carburante per la popolazione, attuato per bilanciare il basso costo dello shale esportato in nuovi mercati, e un’ipotesi verosimile che danneggerebbe non poco il già fortemente colpito dalla crisi economica popolo USA.

Differente è la posizione della minoranza repubblicana, che si è detta a più riprese compatta a favore dell’incremento dell’esportazione dello shale nel mondo.

Come dichiarato dal senatore Richard Lugar, l’esportazione dello shale deve essere finalizzata a contrastare il monopolio della Russia nel settore dell’energia dell’UE, e consentire a Bruxelles, e, più in generale, a tutti i Paesi NATO, di diversificare le fonti di approvvigionamento di oro blu.

Oltre che il dibattito politico, a porre un ostacolo all’aumento delle esportazioni di gas shale per gli USA e l’aspetto burocratico.

Ad oggi, Washington può esportare lo shale liquefatto solo con 18 Paesi con cui è stato sottoscritto l’accordo di libero scambio, tra cui Corea del Sud, Singapore ed India.

L’estensione della lista ad altri Paesi, tra cui quelli membri UE, richiede passaggi istituzionali che devono essere avviati presso il Dipartimento dell’Energia.

Resta inoltre anche un aspetto tecnico: solo due terzi delle imprese energetiche USA possiede strutture in grado di esportare lo shale.

Tale situazione è dovuta al fatto che in pochi negli Stati Uniti d’America puntavano sull’incremento esponenziale delle esportazioni di gas dovuto all’avvio dello sfruttamento del carburante non convenzionale a Washington.

Nelle mani di Obama c’è anche la situazione energetica UE

La decisione degli USA sullo shale e dunque fondamentale per determinare i nuovi equilibri energetici del mondo.

Se Obama opterà per il sì, Washington nel 2018 supererà la Russia nel rating dei Paesi esportatori di gas.

Soprattutto in Europa, gli USA possono contrastare concretamente lo strapotere di Mosca che, come rivelatosi negli ultimi anni in più di un’occasione, è pronta ad avvalersi dell’arma energetica per scopi politici.

Matteo Cazzulani

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