Sigonella al centro di un ambizioso programma NATO

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di Corrado Rubino

La Nato si doterà entro il 2017 del nuovo sistema di sorveglianza terrestre, l’AGS (Alliance Ground Surveillance) e il suo centro di comando e controllo verrà installato nella base siciliana di Sigonella. Sono 13 i Paesi che contribuiranno a quello che si preannuncia come uno dei più costosi programmi della storia dell’Alleanza atlantica.

Oltre a Stati Uniti e Italia, Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Romania, Slovacchia e Slovenia. Un contributo operativo specifico verrà comunque da Francia e Gran Bretagna che metteranno a disposizione i propri sistemi French Heron Tp (coprodotti con Israele) e Uk Sentinel.

L’Italia ospiterà il sistema AGS con i cinque Global Hawk, velivoli senza pilota del tipo RQ-4 “Block 30” che la Nato acquisterà dalla statunitense Northrop Grumman.

Il segretario generale Nato, Anders Fogh Rasmussen ha dichiarato: «L’accordo è un passo fondamentale verso un sistema di sorveglianza dell’Alleanza in grado di dare ai comandanti una fotografia precisa di qual è la situazione sul terreno… e la recente operazione in Libia ha dimostrato quanto importante sia questa capacità».

Durante i mesi del conflitto libico, proprio a Sigonella l’US Air Force aveva schierato due “Global Hawk” e un imprecisato numero di droni MQ-1 Predator, utilizzati in particolare per individuare gli obiettivi e dirigere i bombardamenti dei caccia della coalizione a guida Nato.

Nei programmi del Pentagono, la base siciliana è destinata a fare da vera e propria capitale mondiale dei velivoli senza pilota: entro il 2015 dovrà ospitare un reparto di US Air Force con 4-5 “Global Hawk”, più altri 4 droni in via di acquisizione della Marina USA.

L’accordo di massima per la trasformazione di Sigonella in «principale base operativa» del sistema AGS era stato raggiunto durante il vertice dei ministri della difesa della NATO tenutosi a Cracovia nel lontano 2009. L’allora capo di stato maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini, in quella occasione, ebbe a dichiarare «Abbiamo scelto questa struttura dopo un’attenta valutazione e per la sua centralità strategica nel Mediterraneo che le consentirà di concentrare in quella zona le forze d’intelligence italiane, della Nato e internazionali». Il vicesegretario generale per gli investimenti alla Difesa dell’Alleanza, Peter C. W. Flory fu ancora più esplicito: «L’AGS è essenziale per accrescere la capacità di pronto intervento in supporto delle forze Nato per tutta le loro possibili future operazioni».

Quindi si tratta di un sistema destinato non solo alle attività d’intelligence o alla raccolta ed elaborazione dati, ma a consentire la realizzazione dei futuri piani di «guerra preventiva» e di first strike in Africa, est Europa e Medio oriente.

Però qualche ombra si profila per il tipo di Global Hawk che opereranno in Italia.

La sorte degli RQ-4 “Block 30” era stata messa in discussione dall’Amministrazione Obama che, a febbraio scorso, aveva chiesto al Congresso l’autorizzazione a ritirare dal servizio questa serie di Global Hawks, in quanto la US Air Force s’era resa conto che i costi di mantenimento di questi RQ-4, nati a suo tempo proprio per rimpiazzare la flotta degli ormai vetusti ma validissimi Lockheed Martin “U2”, erano non solo insostenibili, ma perfino che la qualità della ricognizione a lungo raggio e ad alta quota offerta dai Global Hawks serie 30 era decisamente inferiore a quella dei predecessori pilotati, in quanto gli “U2” sono equipaggiati con sensori di migliore qualità e di maggior portata di quelli forniti sui Global Hawks.

La lobby che fa capo alla Northrop Grumman ha fatto in modo che la richiesta dall’Amministrazione Obama non passasse e così ha potuto diramare il comunicato che «Northrop Grumman è compiaciuta che le Commissione per le Forze armate abbia proposto una soluzione che permetterà ai “Global Hawk Block 30” di continuare a provvedere alla sorveglianza ed alla ricognizione tattica che sono essenziali per i Comandanti delle Forze di terra».

E contemporaneamente ha tenuto a precisare che «la produzione di altri modelli di Global Hawk, compresi quelli del “Block 40” [che saranno dotati di differenti sensori – ndr] e dei MQ- 4C per la sorveglianza marittima a largo raggio destinati alla US Navy, rimane inalterata».

Peccato che solo il modello “Block 30” è stata acquistato dalle Forze armate di diversi Paesi europei, facenti parte della NATO e che hanno base anche in Sicilia. Qualcuno ricorderà che il 13 gennaio 2010 un aereo Predator A-Plus, durante un volo addestrativo sulla Puglia è precipitato, era stato perso il controllo. Fortunatamente il relitto fu avvistato in mare.

Ma al peggio non c’è fine. Da indiscrezioni della stampa statunitense si ha notizia che tra i vari progetti avanzati per il futuro di una parte ben definita dell’aviazione militare degli USA, quello degli aerei-spia, meglio conosciuti dall’opinione pubblica come “aereo-drone”, vi sarebbe anche quello di un progetto di un UAV (o APR in italiano) propulso da energia nucleare.

Questa prospettiva è stata definita “terrificante” da circoli qualificati di Washington, guidati primariamente da Chris Coles dell’associazione “Drone Wars UK – Guerre di aeromobili senza pilota a bordo”, gruppo decisamente contrario alla tecnologia UAV sia per usi militari che civili il quale ha testualmente espresso le seguenti considerazioni: «Una prospettiva davvero terrificante. I droni sono molto meno sicuri degli aeroplani e tendono a “precipitare spesso”. C’è una fortissima spinta industriale nell’utilizzo di questi velivoli e sia i governi che il pubblico stanno sopportando tutte le implicazioni che ne conseguono».

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