Capaci, 23 maggio. Facciamo che non sia solo una data da commemorare

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Si approssima la data del 23 maggio. Sono trascorsi vent’anni dalla strage di Capaci.

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Su Wikipedia è scritto: Giovanni Falcone (Palermo, 20 maggio 1939 – Palermo, 23 maggio 1992) è stato un magistrato italiano. Assassinato insieme alla moglie e alla scorta dalla mafia, è considerato un eroe italiano, come Paolo Borsellino, di cui fu amico e collega.

Già… “…è considerato un eroe italiano…”. Ci torna in mente la frase di Bertolt Brecht “Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi“. Lo stesso Falcone ebbe a dire: «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni» (Giovanni Falcone, in un’intervista a Raitre, luglio 1992).

La battaglia, anzi la guerra, è ancora in corso e tanti altri, dopo Falcone e Borsellino, sono stati i caduti fra le fila degli uomini delle istituzioni. È una guerra sporca dove i traditori si insinuano nelle istituzioni per ammaliare, avvelenare, depistare, corrompere, comprare uomini come fossero broccoli al mercato.

Noi, nell’approssimarsi di questa dolorosa data, vogliamo dare spazio ad un articolo di Pippo Giordano che ci sembra una giusta riflessione. Pippo Giordano è un Ispettore di polizia in pensione che ha fatto parte della Dia. Prese parte agli ultimi interrogatori del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, condotti insieme al giudice Paolo Borsellino. Tra questi soprattutto l’ultimo, che si tenne venerdì 17 luglio 1992, due giorni prima della strage di via D’Amelio.

(L’articolo è tratto dal sito di Socialsicilia.it)

Sepolcri imbiancati: state lontano da Capaci e via D’Amelio

di Pippo Giordano

Caleranno a flotte, teste canute, rampanti e giovani politici, commensali che si sono cibati del potere mafioso e che ora sfoderano la rinnovata verginità istituzionale.

Si recheranno sul luogo simbolo del più oscuro pomeriggio della nostra Repubblica e da lì afflitti, con volto istituzionalmente triste, interpreteranno la parte del mesto pellegrinaggio.

E poi, terminata la cerimonia, agneddru e sucu e finiu u vattiu, (agnello col sugo ed è finito il battesimo), ovvero, ritorneranno in quegli ambulacri di potere, che ancora oggi non si riescono ad aprire per saziarci di verità: arrivederci al prossimo anno ed intanto calerà il buio.

Un film, già mandato in onda per 19 anni consecutivi, ma che quest’anno sarà trasmesso in digitale terrestre sul canale dell’ipocrisia.

E sì! Ricorre il ventesimo anno della strage di Capaci e quindi la partecipazione mediatica è d’obbligo per poter avere i cinque minuti di visibilità.

Ed io, avendo conosciuto sia Falcone che sua moglie Francesca, mi sento di dire a lor signori, non corone ad oltraggiarne la memoria, ma verità: solo verità!

È questo che vogliono le persone oneste, e questo che serve ai nostri martiri per riposare in pace. E, mentre tutti si affanneranno ad urlare, che lo Stato ha vinto, che lo Stato è presente, ci si dimentica che proprio lo Stato, era assente ingiustificato e che dalle sue propaggine collusive, è stato possibile, realizzare il dramma che ha colpito il Popolo italiano, ossia la morte del Giudice Giovanni Falcone, di sua moglie e dei miei colleghi di scorta.

I valori e l’onestà del Giudice Falcone, nella commemorazione saranno ampiamente magnificati, dimenticandosi dei giorni terribili, colmi di solitudine e dal svolazzare del “Corvo”, sino agli amici traditori che accompagnarono l’esistenza di Falcone: un vero Galantuomo Siciliano che l’Italia non meritava di perdere.

Qualche giorno fa ho detto ad un collega, mentre rivangavamo il nostro rapporto di lavoro col Giudice Falcone, che “la mia vita è colma di tanta gioia per averlo conosciuto, ma è altrettanto gonfia di dolore per averlo perduto”.

Il 23 maggio, l’autostrada del dolore, sarà anche percorsa da migliaia di ragazzi, di uomini, donne provenienti da ogni parte del Paese e che si fermeranno a rendere, dal profondo del loro cuore, omaggio a Giovanni, Francesca, Vito, Rocco ed Antonio.

Intanto, a pochi chilometri di distanza, a Partinico, una piccola ma grande televisione sarà costretta a chiudere in ossequio ad un’ingiusta norma. Sì, la televisione di Pino Maniaci, Telejato, scomparirà per essere inghiottita dall’abnorme legge di mercato.

La sua chiusura non è altro che lo stridente contrasto dell’auspicio di lotta senza quartiere alla mafia e che segnerà la vittoria di chi vent’anni fa ha commesso la strage di Capaci. Strage, che non ha colpito la sola vita degli abitanti di Capaci, ma che ha lacerato l’esistenza di un Popolo: nulla sarà come prima.

Gli uomini di Cosa nostra hanno tappato per sempre la bocca a Falcone, ma non sono riusciti a strapparcelo dai nostri cuori, ed appunto per questi motivi che invito i personaggi in premessa a recarsi al mare piuttosto che posare corone prive di significato. Lasciate che siano inermi cittadini a portare quel fresco profumo di libertà e a rappresentare quello Stato che vent’anni fa ha girato le spalle a Falcone.

Chi scrive, ha i capelli bianchi, molto bianchi ed ha visto sin da quand’era picciriddru, brutture di ogni genere commesse da uomini di Cosa nostra. Ha visto anche in faccia i traditori di Falcone e dei miei colleghi assassinati, e tuttavia vivo nel ricordo del loro sorriso: vivo e tento di trasmettere i loro ideali di giustizia e lo faccio 365 giorni all’anno e non solo il 23 maggio. Non corone di fiori, ma date a Giovanni, Francesca, Vito, Rocco, Antonio e al Popolo italiano, quella giustizia che aspettano da oltre vent’anni.

Ma, un altro ancor più cupo pomeriggio domenicale ha frantumato la speranza dei cittadini onesti. In via D’Amelio, vent’anni fa è stata compiuta la più grave tragedia che la mente umana potesse mai concepire, talché si è voluto eliminare il Giudice Paolo Borsellino, col fine di avere ampia libertà nella presunta trattativa tra personaggi istituzionali e Cosa nostra. Di via D’Amelio e delle stragi di Milano, Firenze e Roma rimarcherò gli eventi con un altro scritto. E, purtuttavia già adesso invito i sepolcri imbiancati a non presenziare le commemorazioni.

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2 Thoughts to “Capaci, 23 maggio. Facciamo che non sia solo una data da commemorare”

  1. Francesca Motisi

    «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni» (Giovanni Falcone, in un’intervista a Raitre, luglio 1992).
    Giovanni Falcone è morto il 23 maggio 1992. Questa intervista risale al 1988….
    Ma chi scrive, ricontrolla i propri articoli?
    (Su wikipedia questa intervista non è datata)

  2. Redazione

    Gentile lettrice, chi scrive controlla ciò che scrive e mi creda, sa ciò che scrive. La sua segnalazione è corretta ma forse Lei non si è accorta che si tratta di due articoli postati sulla rubrica “segnalazioni”, cioè articoli provenienti da altre fonti e ritenuti comunque -nella sostanza- condivisibili. Che poi queste parole, come bene ci segnala siano state pronunciate nel 1988 piuttosto che nel 1992 come i colleghi di Socialsicilia.it (certamente per una svista e nulla più) hanno scritto ci appare irrilevante. Se non altro per il fatto che queste sono ormai parole eterne. Che segnano la storia.
    A tal proposito specifichiamo che questa rubrica ha il senso di dire che noi non pretendiamo di essere unica fonte di informazione e non abbiamo la presunzione di non ammettere la validità di altri articoli provenienti da fonti diverse. A differenza di qualche testata però, anziché fare copia e incolla appropriandoci del contenuto intellettuale altrui abbiamo invece creato la rubrica “Segnalazioni” dove riversiamo l’esatto contenuto senza -per scelta- approntare modifiche. Nel caso in oggetto l’errore però è una chiara svista per cui non ci sembra nemmeno opportuno additare i colleghi. Cordialità. (L.A.)

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