Flessibile il mercato del lavoro o precario chi ha il lavoro?

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Secondo i dati pubblicati nei giorni scorsi dalla Cgia di Mestre, sono più di 11.000 le aziende fallite nel 2011 e 50.000 i posti di lavoro persi. I numeri parlano chiaro: il Paese è in recessione e necessita di riforme strutturali. Questa performance negativa del settore industriale e di quello commerciale italiano è riconducibile a più fattori, tra i quali: il calo della domanda di beni da parte dei paesi occidentali, la stretta creditizia che nel 2011 è stata di 20 miliardi di euro, la mancanza di competitività nei mercati internazionali. A complicare il tutto si inseriscono altri dati: l’aumento dei prezzi delle materie prime, la crescente tassazione e l’inflazione galoppante, per non parlare poi del ritardo nei pagamenti sia tra soggetti privati che tra pubblico e privato.

Con il settore produttivo ingessato, un gap tecnologico da colmare rispetto ai competitori esteri e una corruzione dilagante, sembra strano che l’emergenza sia proprio l’art. 18, la cui eliminazione certamente non aumenterebbe la produttività. Una cosa è parlare di una riforma del lavoro per rendere più flessibile l’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani, per tutelare il lavoratore quando perde il posto di lavoro e per tenere in giusto conto l’esigenza della libertà delle imprese nell’esercizio dell’attività imprenditoriale; altra cosa è invece una riforma del lavoro che rende precario l’intero mercato del lavoro, che non mantiene un giusto equilibrio nei rapporti contrattuali tra gli attori coinvolti e che tendenzialmente nel medio periodo mette in concorrenza un lavoratore rispetto ad un altro.

Questa riforma  probabilmente provocherebbe un ridimensionamento del ruolo dei sindacati all’interno dello scenario nazionale.

Questa bozza di riforma non tutela quei lavoratori che operano in settori labor intensivi e altamente usuranti e che, raggiunta l’età di 57/60 anni, potrebbero essere facilmente licenziati perché, logorati dal lavoro,  “non sarebbero produttivi come prima”. Questo tipo di operazione verrebbe mascherata con legali licenziamenti per motivi economici.

La sensazione è che in nome dell’Europa e dei mercati si stia portando avanti un’operazione che mira a mantenere la struttura sociale invariata: le “masse” senza diritti e le “nicchie” con tanti privilegi.

Michele Cannavò

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