L’informazione rischia di chiudere. E anche di morire

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Proviamo a pensare cosa accade quando all’informazione libera si prova a togliere la libertà. Il concetto di libertà è troppo ampio per poter permettersi di disquisirne in poche righe, ma è chiaro a tutti che implica nel caso della stampa, la diffusione delle informazioni acquisite in vario modo al maggior numero possibile di utenti che desiderino –appunto- essere e sentirsi informati.

Certamente un posto di assoluto rilievo è ricoperto in tal senso dal servizio pubblico e dalla grande informazione specializzata costituita da quotidiani, settimanali, mensili o altri servizi più o meno legati a circuiti commerciali. È libera, e tale dev’essere, l’informazione delle tante piccole emittenti locali capaci di informare tempestivamente sulle notizie inerenti il proprio territorio. Servizi che hanno un costo, a volte compensato da introiti pubblicitari, talvolta resi solo per “amor di verità” in assoluta povertà di mezzi e fondi occorrenti.

Ma la bontà della notizia non si stabilisce in base alla sua confezione, quanto piuttosto sulla base della veridicità di quanto riportato.

In quest’ottica molte sono le piccole emittenti, i piccoli giornali, le piccole radio che cercano di fornire informazione di qualità pur se a basso costo.

Fra queste in Sicilia da anni è molto attiva sul fronte antimafia una piccola emittente tv “Telejato”, quella che Repubblica ha definito “la tv in tre stanze che si fa in un locale più piccolo di casa”, una tv che si regge prevalentemente sul lavoro di Pino Maniàci. I suoi puntuali (e a dir la verità piuttosto lunghi) resoconti sono dei tg della durata di circa 2 ore che nel tempo hanno collezionato circa 300 querele. Che a Maniàci sono costate più di un pestaggio, ben quattro costole rotte, l’incendio doloso dell’automobile. Malgrado tutto nulla di ciò è bastato a fermarlo.

Telejato è una delle piccole emittenti che lavorano su un territorio limitato, trasmette da Partinico (Pa) ed è visibile in circa 25 comuni del palermitano. Trasmette in modalità analogica e non ha la possibilità di entrare nel digitale terrestre. Pino Maniàci quindi, non fermato dalla mafia, verrà fermato dalla tecnologia. O meglio, dallo Stato. E forse a difenderlo non ci saranno giornalisti. Difficile difendere uno che non si considera collega, che fino a due anni fa non era neanche iscritto all’Ordine. E comunque difficile difendere uno che concretamente si occupa di mafia, in Sicilia…

Il bavaglio all’informazione però viene anche da più lontano, viene anche da quel decreto (firma Berlusconi, non revocato da Monti) che abolirebbe in nome delle liberalizzazioni l’Albo dei giornalisti pubblicisti a partire dal prossimo settembre. Liberalizzare vorrebbe dire quindi che tutti possono scrivere? No, più semplicemente che nessuno più potrà permettersi di farlo. Sempre che una redazione non lo assuma con regolare contratto e non lo prepari per affrontare un ipotetico esame di Stato, ancora non regolamentato.

Appare difficile questa soluzione per i circa 80.000 pubblicisti attualmente attivi, se non altro perché obbiettivamente la “new economy” non ha possibilità di regolarizzare nelle redazioni 80 mila persone e le piccole realtà, quelle che non hanno neanche raccolta pubblicitaria o finanziamento ministeriale, non possono regolarizzarne neanche uno.

Quindi si prepara un nuovo e più sottile bavaglio all’informazione: liberi tutti di pubblicare, ma senza una testata per farlo, senza alcuna tutela.

Nella sua piccola tv, nella sua Telejato, Pino Maniàci era già pronto, ha sempre agito così e pagato in prima persona la sua scelta. Ora forse dovrà fermarsi. Telejato con il digitale terrestre non potrà più trasmettere.

Disse Giovanni Falcone parlando di mafia: “Si muore generalmente perché si è soli”, senza la sua tv Pino sarà solo. La mafia si prepara a punirlo, quando dopo qualche periodo di silenzio la gente lo avrà dimenticato. Noi, traendo spunto da un articolo postato sul web-magazine “Lavika”, lanciamo l’appello. Speriamo che altri colleghi, altri giornali, sappiano farlo proprio e riaprire il tema della libera informazione con il governo Monti.

Luigi Asero

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