Pensiero della domenica: assedio alla toga

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Carissimi amici, iniziamo con il pensiero della Domenica. Ho voluto scegliere parole recentissime, dotate di una non consueta forza vibrante, pronunciate dal dr.  Di Matteo proprio ieri sera e che essendo state rese su una rete televisiva di servizio pubblico si sono fatte veicolo di un messaggio importante per tutti i cittadini della nostra Repubblica a cui dobbiamo sempre cercare di sentirci fieri di appartenere. L’occasione è stata suggerita dalla presentazione del libro “Assedio alla toga” scritto dal pm con Loris Mazzetti, di cui sono stati tracciati i contorni in una sorta di invito alla lettura. Il dott. Di Matteo, da vent’anni impegnato su quel filone giudiziario che ormai è conosciuto come “Trattativa Stato-mafia”, conduce una vita blindata che non ha sentore di normalità ed è in genere molto riservato ma dopo tanto riserbo ha deciso di venire più allo scoperto, 20 anni di processi per criminalità organizzata, in 2 Procure molto esposte, sono stati veicolo di numerose vicende umane che hanno meritato di essere portate a conoscenza.

La scelta di riversare la propria testimonianza diretta in un libro è stata dettata dalla forte necessità di spiegare il disagio e le preoccupazioni che i magistrati che credono nei principi della Costituzione, sulla quale hanno giurato, avvertono. Si sente parlare di una guerra tra politica e magistratura ma questa è una definizione impropria perché la contrapposizione non è stata reciproca ma unilaterale, a tratti violenta, sistematica e ben organizzata da una parte della politica che si è scagliata ripetutamente contro i magistrati che “osano” agire nel loro ufficio secondo il principio per cui la legge è uguale per tutti. Questa campagna è passata per varie fasi di delegittimazione sfociando nell’ultimo anno in un “attacco finale” che si è sostanziato nella presentazione di una serie di progetti di riforma della Giustizia e in primis quello costituzionale, che non deve preoccupare soltanto i magistrati, sicuramente quest’ultima è una riforma punitiva nei confronti della Magistratura, ma deve anche preoccupare tutti i cittadini perché incide su principi fondamentali della democrazia come il principio di separazione dei poteri e dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Il fatto che in occasione della conferenza stampa di presentazione si sia detto che “ con questa riforma non ci sarebbe stata Mani pulite” (quindi tutto il filone di indagini sulla corruzione) è emblematico, in quanto la corruzione ormai è molto diffusa ed è divenuta prerogativa di una politica che vuole esercitare il suo potere senza contrappesi e senza un controllo di legalità da parte della Magistratura. Questa espressione rappresenta l’essenza di un tentativo di riforma che va opportunamente vagliato. Il dott. Di Matteo ha continuato dicendo che non si sente un “magistrato politicizzato”. Ad ogni magistrato, così come ad ogni cittadino, non può essere preclusa la scelta di abbandonare la toga ed eventualmente candidarsi. Nella magistratura si sta cominciando a discutere anche animatamente sulla questione e si stanno profilando due condizioni essenziali: l’irreversibilità della scelta (anche quando non si viene eletti non si può più tornare indietro perché di fronte l’opinione pubblica si sarebbe persa l’immagine di imparzialità che ogni magistrato deve avere), è inoltre inaccettabile che un magistrato si candidi o peggio accetti incarichi politici di natura non elettiva nello stesso territorio presso il quale ha operato.

I magistrati politicizzati ci sono, ma non sono certo quelli che rilasciano dichiarazioni o che come il dott. Ingroia si definiscono giustamente “partigiani della Costituzione” denunciando con chiarezza ogni equivoca situazione. Semmai sono quelli che frequentano i salotti del potere che conta o i politici per ottenere incarichi, consulenze o benefici per la carriera di qualsiasi natura. Quelli che certa stampa definisce tali sono in realtà magistrati che hanno il diritto di esternare le loro opinioni e hanno il dovere etico di farlo per informare il cittadino sugli effetti dirompenti di certe riforme. I cittadini hanno il diritto e la giusta pretesa di conoscere. Stato e mafia devono correre su binari paralleli. Lo Stato non deve intrattenere alcun tipo di dialogo con Cosa Nostra, di questo si deve parlare, è un dovere etico da parte di chi crede ancora nei valori di giustizia consacrati nella Costituzione e questo anche per un motivo di opportunità perché se lo Stato scende a patti, perpetua, pur se per un fine nobile, il potere più subdolo di Cosa Nostra che è quello del ricatto.

Uno Stato del genere è, e sarà, perennemente ricattabile.

Il momento che stiamo vivendo è molto delicato e merita di essere fortemente attenzionato. Noi ci sentiamo di condividere e di eternare questo pensiero ed esprimiamo tutta la nostra ammirazione e vicinanza a professionisti della legalità di questo calibro cercando di informare con chiarezza e lucidità su quanto ci circonda.

Luciana Cusimano

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