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Il castello di Donnafugata tra arte, amore ed esoterismo

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Il Castello di Donnafugata tra arte, amori fugaci ed esoterismo.
Tutto è rimasto congelato nel tempo e nelle tradizioni.

di Gianni Tomaselli


Vi sono luoghi che, per misteriosa magia, mantengono intatte atmosfere e suggestioni proprie dei tempi passati, sfuggite alla polvere corrosiva dei secoli. E può accadere che l’anima del visitatore venga catturata da questo privilegio, e si trovi immersa in emozioni e sensazioni irreali, legate a cultura e arte, tra sublimali messaggi degni delle opere mistiche leonardiane.
Il castello di Donnafugata, è intriso di leggende che poi tanto leggende non sono. Il toponimo suggerisce suggestioni di donne in fuga o rapite per grandi amori. Ma la più vicina verità del nome dato al castello, può essere ricondotta alla libera interpretazione e trascrizione araba di Ayn as Jafat (Fonte della Salute) che in "siciliano" diviene Ronnafuata e poi il nome attuale.
L’origine del sito, ha genesi arabe e non riconducibili all’attuale Castello. Infatti, inizialmente era un caseggiato costruito dagli Arabi, innamorati del luogo salubre e dalla ricchezza di acqua del territorio. L’origini del Castello sembra dovuto ai Chiaramonte, conti diModicanel XIV secolo. Successivamente, la costruzione del feudo (ex Bellio-Cabrera di Donnafugata) fu acquistata nel 1648 da Vincenzo Arezzo-La Rocca, già barone di Serri o Serre, che ne fece una casina di campagna. La maggior parte della costruzione si deve però al discendente, il baroneCorrado Arezzo, eclettico uomo di studi e politico. Attraverso varie generazioni, giunse a Clementina Paternò Castello, vedova delvisconteGaetano Combes de Lestrade. Infine, dopo anni di incuria ed abbandono, nel 1982 venne acquistato dal comune di Ragusa che, dopo lunghi lavori di restauro lo ha reso nuovamente fruibileLa costruzione venne continuamente rimaneggiata fino agli inizi del XX sec, quando Corrado Arezzo trasforma la facciata come oggi possiamo vederla. L'aspetto esterno colpisce per l'elegante loggia in stile gotico-veneziano che troneggia al centro della facciata principale. Gli archi trilobati divengono il motivo ricorrente delle bifore di tutto l'edificio. È ricorrente la leggenda (spudoratamente anacronistica) che per le stanze del Castello si aggiri lo spirito di Bianca di Navarra, inseguita dal Conte di Cabrera folle d’amore; o il fantasma di Clementina Paternò, nipote del Barone, che scappò dal Castello in romantica fuga d’amore con il Visconte de Lestrade e venne raggiunta a Puntasecca e riportata a casa. Ma al di là delle fantasie poetiche e delle avventure raccontate dall’ultimo canta storie ragusano Giovanni Virgadavola, nel conturbante ma semplice arredo del Castello si celano messaggi sublimali che non temono verifica di rapporto con il puro esoterismo. Già dall’ingresso del portone principale, danno il benvenuto due grandi statue raffiguranti Ercole e la dea Minerva, simbolicamente la forza e la saggezza. Spingendoci al primo piano, molti affreschi sono rappresentati da melagrani, da squadre e compasso, dal ricorrente numero sette. Anche il parco circostante denota l’allegoria della vita con accenni al dualismo frenetico e scontato dei suoi aspetti di vita e di morte, di gioia e di tristezza; il labirinto formato da mura a secco, raffigura le difficoltà della vita; l’abbraccio del Fratello che sbuca dopo aver salito tre gradini del Coffee House, simboleggia la fede che viene in soccorso nei momenti di difficoltà; il tempietto stellato, di stile ionico, sorretto da 8 Colonne, richiama l’aspirazione alla Luce, propria in ognuno di noi. E ancora, una lunga grotta artificiale scavata a forma di U dove all’ingresso è mistificata la vita grezza dell’uomo delle caverne, più in avanti a destra una vasca d’acqua che rappresenta la purificazione dai peccati, ancora più in avanti nel percorso, si giunge in un luogo dove si apre nella volta uno spiraglio verso l’aria esterna e infine si giunge all’uscita dove una grossa pietra posta a terra, funge da basamento per fare ardere il fuoco.
Nel parco, due tombe fittizie, contornate da cipressi e alberi di acacia, furono costruite su desiderio del barone Corrado in memoria della figlia Vincenzina e della consorte.
Bello da vedere, da visitare, da godere nel suo melodico e armonioso contrasto tra il palese e il velato. Era costume del barone Corrado Arezzo intrattenere i suoi ospiti in criptati giochi, indovinelli, scherzi che rasentavano, già a quell’epoca, l’erotismo assoluto. Adesso è compito dei contemporanei comprenderne, raccoglierne e custodirne la ricchezza, i simboli, i messaggi, per proseguire l’eterno viaggio nel tempo.


19/09/2011 - G.T.


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