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Pag.2 - Golfo del Messico: un disastro annunciato?

In edicola > Articoli pubblicati > N°13-14 2010

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Cerchiamo di capire cosa si è veramente verificato nell’Oceano Atlantico
Golfo del Messico: disastro annunciato?
Quel che è accaduto era prevedibile

La BP aveva già avuto problemi per le grosse quantità di gas metano disciolte nel greggio. Il pozzo petrolifero da cui si è originata la perdita non è un pozzo “attivo”, ossia dal quale si stava procedendo all’estrazione di greggio: era stato trivellato per capire l’entità della riserva

di Sebania Libertino

Per quasi due settimane i quotidiani e i telegiornali hanno riportato giornalmente notizie sul disastro ambientale che il 20 aprile scorso si è verificato nel Golfo del Messico, poi la frequenza è scesa ed oggi non se ne parla quasi più. Ma cos'è realmente successo e cosa sta ancora succedendo?
I fatti: il 20 aprile una forte esplosione sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon causa la morte di 11 persone, il ferimento di altre 17 ed un incendio che in due giorni causa l'affondamento della piattaforma stessa. Altro problema che si evidenzia solo il giorno dopo l'esplosione: c'è una fuoriuscita di petrolio dal fondo del tubo di estrazione, a quasi 1500 metri di profondità. Ad oggi, a oltre due mesi dall'inizio, la fuoriuscita non è stata ancora fermata. I sistemi di sicurezza della piattaforma che avrebbero dovuto impedire la fuoriuscita di petrolio immediatamente dopo l'esplosione, a quanto pare, non hanno funzionato a dovere.
La Deepwater Horizon era di proprietà dell'azienda svizzera Transocean, la più grande compagnia del mondo nel settore delle perforazioni off-shore; affittata alla multinazionale British Petroleum (BP). Estraeva circa 8000 barili di petrolio al giorno, era grande quanto 2 campi da calcio, si trovava a circa 80 km dalla Louisiana e poteva ospitare circa 130 persone.
L'entità della perdita è a tutt'oggi ignota. Si è passati da una stima di 1000 barili (circa 160 mila litri) al giorno a 80 mila al giorno (oltre 12,7 milioni di litri al 3 luglio scorso).
Il governo Americano, nella persona del Presidente Obama ha più volte intimato alla BP di provvedere alla chiusura della falla, alla pulizia dell'Oceano e delle coste e a ripagare il governo e i cittadini americani di tutti i danni connessi con la fuoriuscita del petrolio. Dal canto suo, la BP ha più volte dichiarato, nella persona di Tony Hayward (direttore generale) che provvederà a ripagare i danni (forse temendo la revoca di tutte le licenze di trivellazione concesse alla BP dagli Usa?) sia personali che patrimoniali arrecati agli americani, ad oggi ha già speso 2,65 miliardi di dollari. Ma le cose più interessano al momento l'opinione pubblica sono che cosa comporta realmente all'ambiente, e alle persone, questo disastro e cosa si sta facendo e si è fatto per fermarlo.
Per cominciare vediamo la parte che potrebbe essere "divertente" se non implicasse il perdurare di un disastro ambientale di dimensioni mai viste prima: i tentativi, in alcuni casi goffi, della BP di chiudere il pozzo! Prima di descrivere i tentativi, è necessario fare un passo indietro e cercare di capire quali sono le condizioni in cui si opera. Purtroppo, non tutti i fatti sono noti e in alcuni casi possiamo solo riportare indiscrezioni. Il pozzo petrolifero da cui si è originata la perdita non è un pozzo "attivo" ossia dal quale si stava procedendo all'estrazione di greggio. Era stato trivellato per capire l'entità della riserva in modo da cominciare le estrazioni quando si fosse esaurito il pozzo che al momento stavano sfruttando. Questo, se possibile complica la situazione. Infatti, stiamo parlando di un pozzo con una riserva pari a 50 milioni di barili e un flusso di circa 60.000 barili al giorno. Non essendo ancora cominciate le estrazioni la pressione interna del pozzo era al suo massimo valore e, quindi, la fuoriuscita di greggio è la massima possibile. A complicare la situazione ci sono alcune voci, che sembrerebbero confermate da alcuni documenti inviati segretamente dalla BP al Minerals Management Service e che sono stati scoperti dagli investigatori del Congresso Americano. La BP aveva già avuto problemi con questo pozzo, in particolare sembrerebbe che all'interno del pozzo vi fossero grosse quantità di gas metano disciolte nel greggio. Ora, se si riduce la pressione il gas disciolto ritorna in forma gassosa. E' come quando apriamo la bottiglia dello spumante dopo averla sbattuta. Finché la bottiglia è chiusa la forte pressione mantiene il gas disciolto nel liquido. Appena apriamo il tappo il gas ritorna aeriforme e tende ad uscire rapidamente dalla bottiglia. Ebbene sembrerebbe che in febbraio la BP abbia avuto grossi problemi a chiudere alcune crepe formatesi nel pozzo proprio a causa della presenza di gas (soprattutto metano) in elevate quantità nel pozzo stesso. Altre aperture nella roccia circostante avrebbero continuato a complicare le operazioni di trivellazione anche nelle successive settimane. Ma il pozzo è uno dei più ricchi fino ad ora scoperti nel Golfo del Messico e, com'è noto, davanti al Dio denaro tutto, anche la vita umana, perde di significato, per cui hanno continuato con le trivellazioni. Secondo la notizia riportata da Bloomberg ( www.bloomberg.com), all'inizio del mese di marzo, la BP aveva tentato in gran segreto di trovare una soluzione per tenere sotto controllo alcune fuoriuscite di gas, che molto probabilmente sono all'origine dell'esplosione che ha causato la distruzione della piattaforma. Ci si potrebbe chiedere se questi "si dice" siano tutte illazioni, ma a supporto di questa teoria vi sono le analisi condotte da John Kessler, un oceanografo della Texas A&M University. Egli ha misurato la quantità di metano disciolta nel greggio fuoriuscito nel golfo del Messico ed ha trovato un valore di circa il 40%, ben 8 volte superiore al valore tipico del 5% che si trova nei giacimenti petroliferi. I primi di giugno, un altro gruppo di scienziati, diretto da Samantha Joye dell'istituto di ricerca sottomarina e tecnologia dell'Università della Georgia ha analizzato una chiazza lunga 15-miglia e trovato concentrazioni di metano fino a 10.000 volte al di sopra della media, con livelli di ossigeno ridotti al 40% del valore normale. Infine, ulteriore conferma di quest'analisi si trova, purtroppo, nella notizia che molti pescatori assunti dalla BP per aiutare ad arginare la macchia petrolifera hanno sofferto di nausee, vertigini, mal di testa e dolori al petto. Per riassumere abbiamo un pozzo petrolifero a 1500 metri sotto il livello del mare, pieno di petrolio (massimo flusso di uscita) e di gas che possono esplodere non appena la pressione si riduce. Vediamo adesso, alla luce di queste informazioni, quali sono i tentativi fatti dalla BP di chiudere la falla ed arginare i danni.
La prima operazione messa in campo, all'indomani della tragedia è stato relativo al contenimento della chiazza petrolifera che stava spandendosi sulla superficie dell'oceano. Circa una settimana dopo sono cominciati i roghi, ossia hanno cominciato a bruciare le chiazze di greggio, causando un inquinamento atmosferico ancora non calcolato, specie se si considera anche l'elevata percentuale di metano presente nel greggio! Dopo 8 giorni di tentativi di arginare la chiazza, e di fallimenti nel fare funzionare le valvole che avrebbero dovuto chiudere la perdita alla base del pozzo (avete mai provato a rimettere il tappo alla bottiglia di spumante appena comincia ad uscire?), la BP ha cominciato a proporre le soluzioni più fantasiose. La prima è stata usare una speciale sega (usando solo robot dato che il tutto avviene a 1500 metri di profondità) per tagliare e sostituire il tubo da cui fuoriesce il greggio … ossia tagliare il collo della famosa bottiglia di spumante e sostituirlo, però facendo il tutto con una pinzetta telecomandata e da un'altra stanza. La seconda soluzione è stata quella di "metterci un tappo" di cemento, anche questa operazione mai provata a tali profondità. Il tappo grande poco più del tubo (come un anello al dito,per intenderci), doveva essere inserito sul tubo stesso … sempre mentre lo spumante usciva alla massima velocità e sempre usando la solita pinzetta telecomandata (ossia i robot) e comunque non avrebbe bloccato la perdita, ma solo ridotta di meno del 50% (si parlava di un 20-30%). Data la profondità delle acque e la bassa temperatura si è formato un addensamento di idrati di metano che ha intasato l'apertura da cui il petrolio avrebbe dovuto essere pompato in superficie. Per fortuna il metano è rimasto sottoforma di idrati (ossia solido) e non ha risalito il tubo che doveva servire a raccogliere il greggio. Se fosse successo, probabilmente avremmo assistito alla seconda esplosione nel giro di poche settimane. Non dimentichiamo che il metano sul fondo è alla pressione di 150 atmosfere e se risalisse il tubo avremmo in pochi secondi una bolla di metano (le cui dimensioni aumentano man mano che risale il tubo poiché intercetta e assorbe il metano disciolto nel greggio) a 150 atmosfere che arriva in superficie (a 1 atmosfera) il fenomeno è molto simile a quello da cui si originano i gayser, solo che per fortuna l'acqua non è infiammabile! L'esplosione sarebbe tremenda, forse come lo è stata quella che ha distrutto la piattaforma. E che succederebbe se si innestasse una sorta di reazione a catena che raggiungesse il pozzo?
A maggio la BP ha ottenuto l'autorizzazione a trapanare il fondale per creare una seconda apertura nella sorgente sottomarina e abbassare la pressione nella falla, una soluzione permanente realizzabile nel giro di qualche mese (dovrebbe essere operativa a fine agosto) ma mai sperimentata a un chilometro e mezzo di profondità.
Nel frattempo, sempre a maggio è stato fatto l'unico tentativo che abbia avuto un parziale successo. Nel tubo di pompaggio, al di sotto della falla, è stato inserito un braccio flessibile nel pozzo e serve per aspirare il petrolio e portarlo in superficie, limitando la perdita in mare. Secondo le stime della BP, da rivedere sempre al ribasso, esso aspira circa il 40% della perdita.
Altra operazione tentata e fallita è stata la famosa operazione "top kill". L'idea consisteva nel fermare il flusso di petrolio che fuoriesce dalla perdita delle tubature, sul fondo, con un forte getto di fango, 22 tonnellate di fango e liquidi densi riversati ad alta pressione, e alla fine sigillare il pozzo con un tappo in cemento. Dopo 3 giorni di tentativi, la BP ha dichiarato il fallimento dell'operazione.
Successivamente, tre settimane dopo il primo fallimento, è stato riproposto l'utilizzo di un tappo da posizionare sulla falla, collegato a un tubo con cui far arrivare il petrolio ad una nave appoggio in superficie. Secondo gli esperti della BP molti dei problemi che hanno causato il fallimento del precedente tentativo sono stati risolti e il nuovo tappo dovrebbe contenere la maggior parte della perdita, ma non tutta. Il nuovo tentativo sembra abbia avuto maggior successo, anche se si riescono a pompare in superficie solo 9000 barili circa al giorno (950 mila litri). E questo conclude i tentativi, ad oggi effettuati, dalla BP per fermare la perdita. E' di oggi (13 luglio) la notizia che la BP sta testando nei suoi laboratori un nuovo tappo cui sono collegati tre tubi, che dovrebbe, se supera i test di pressione, essere in grado di convogliare fino a 60.000 barili di greggio al giorno a tre navi appoggio. Questo ridurrebbe, finalmente, la fuoriuscita di petrolio da un flusso, quale è oggi, ad una "perdita" che potrebbe, ma il condizionale è d'obbligo, essere chiusa al più presto.
Infine, vale la pena di accennare ai risvolti politica della vicenda. Se negli Stati Uniti il presidente Obama minaccia guerre giudiziarie alla BP, blocca per 6 mesi le trivellazioni nel Golfo del Messico in attesa di varare norme per la trivellazione off-shore molto più severe, propone la tassa sull'ambiente ai petrolieri, blocca tutte le domande per nuove licenze sia nel golfo che nell'Artico e fa cadere le prime teste tra i suoi amministratori (Elizabeth Birnbaum, responsabile dell'Us Minerals Management Service) cosa succede in Italia? Nel gennaio 2009 il Ministero dello Sviluppo Economico ha rilasciato, alla San Leon Energy, un permesso di esplorazione in prospettiva di una concessione governativa per le trivellazioni presso l'arcipelago delle Egadi della Sicilia occidentale. Si potrebbe pensare che alla luce degli eventi ci abbiano ripensato, ma invece, poche settimane dopo il disastro si è appreso che erano in iter di approvazione presso il Ministero dello Sviluppo Economico almeno 30 richieste di permessi di esplorazione da parte di società specializzate in trivellazioni petrolifere. Infine, il ministero dell'ambiente, presieduto da Stefania Prestigiacomo, il 30 giugno 2010 ha comunicato, attraverso il sito ufficiale del ministero dell'ambiente, che "è stato introdotto il divieto assoluto di ricerca, prospezione e estrazione di idrocarburi all'interno delle aree marine e costiere protette e per una fascia di mare di 12 miglia attorno al perimetro esterno delle zone di mare e di costa protette". Peccato che le chiazze di petrolio, come il golfo del Messico insegna, possono raggiungere le coste anche da distanze superiori e non seguono certo i divieti ma solo le correnti e i venti. A questo punto vale la pena riprendere un osservazione fatta da più di un giornale americano: la Deepwater Horizon era una piattaforma modernissima, posizionata in una zona di mare riparata nella acque della nazione che vanta la flotta di risposta alle emergenze più grande e più avanzata al mondo. Se il disastro non è stato evitato lì, può essere evitato da altre parti?
E come dice una vecchia massima dei petrolieri "se si trapana, ci sarà una fuoriuscita" (if you drill, it will spill)!




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