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L'Autonomia e Babbo Natale: ci sono, nella fantasia...

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L'esempio più acclarato delle tante distorsioni di un sistema costituzionale (a parole) difeso da tutti

Il nostro (quello siciliano) è un modello di Autonomia sostanzialmente rimasto sulla carta, ma nello stesso tempo che resta in perenne attesa di una applicazione in quanto sempre formalmente legittimo

di Marco Di Salvo

Nella dissennata storia della Repubblica Italiana l'esempio più acclarato delle tante distorsioni di un sistema costituzionale (a parole) difeso e promosso da tutti sta nella storia della Statuto Siciliano, che sarebbe (il condizionale è d'obbligo) alla base della tanto (a parole) festeggiata (nelle ultime settimane) Autonomia.


Babbo Natale in giallo e rosso
La si festeggia come se fosse Natale, come se da un momento all'altro si attendesse il discendere di un simpatico signore dal camino (ben in carne, magari con la barba e un vestito di colore giallorosso di impronta sicula, in cambio di quello rosso imposto a Santa Claus dalle scelte di marketing della Coca Cola) che porti in dono questo o quel regalo, questa o quella prebenda. Peccato che Babbo Natale, come l'Autonomia siciliana, semplicemente non esista. E peccato (peccato davvero, per tutti quelli che ne cianciano tanto, sempre a parole) che dove e quando l'autonomia (l'indipendenza o, se il caso, la separazione) sono state, esse sono sempre state nella storia solo figlie di moti, di scelte politiche e non di regali venuti dall'alto. E il paradosso dell'Autonomia siciliana è proprio questo. Non dobbiamo conquistarla. Ce l'abbiamo, ma non la usiamo (non la usano i nostri rappresentanti istituzionali, se non, a volte, come spauracchio per alzare il prezzo in trattative di basso livello). Il nostro (finché non ce lo leveranno, magari mentre fanno il federalismo voluto da chi difende gli interessi di macroregioni padane di fatto mai esistite) è un modello di autonomia sostanzialmente restato sulla carta, ma nello stesso tempo che resta in perenne attesa di una applicazione in quanto sempre formalmente legittimo. Vi è quasi dell'incredibile nello scoprire che questa Autonomia, applicata alla lettera, sarebbe addirittura la "negazione dello spreco", con l'accollo di quasi tutti i servizi pubblici da parte della Regione e degli enti pubblici territoriali. Si scopre, e sembra incredibile, l'ignoranza in cui sono stati tenuti i diretti interessati, i cittadini, che la Sicilia è (o meglio "sarebbe") uno stato semi-sovrano appena confederato con la Repubblica Italiana, capace di creare un proprio ordinamento tributario, di partecipare all'emissione della moneta comune, in cui persino l'amministrazione periferica dello Stato (quella residua) sarebbe organizzata e disciplinata dallo Stato-Regione (ragion per cui il Presidente siederebbe nel Consiglio dei Ministri, non come rappresentante della Regione, ma come "Ministro della Repubblica per gli affari dello Stato italiano in Sicilia"). La "piccola costituzione siciliana" che dovrebbe regolare la vita dell'intera Regione, (dovrebbe), non è mai stata attuata del tutto anzi l'autonomia della Sicilia si riduce ad una carta formalmente legittima che è stata attuata solo per 10 anni (dal 1947 al 1957) e dopo dimenticata.

Sviluppo contro manodopera
Un'autonomia mai applicata o forse mai realmente voluta, soprattutto per ragioni economiche. Per fare un esempio: l'art. 38 del nostro Statuto "prevede fondi da parte dello Stato" da destinare ai lavori pubblici "a titolo di solidarietà nazionale". Fondi dovuti che furono versati per cinque anni, dal 1951 al 1956 e successivamente soppressi (e sostituiti con altri che invece di garantire l'autonomo sviluppo finirono nelle tasche e nello sviluppo di altre regioni del nostro Paese, contribuendo al miracolo economico). La Sicilia non ebbe più quei finanziamenti volti a favorire la progettazione generale di infrastrutture e servizi che avrebbero migliorato le condizioni territoriali regionali, tanto da poter raggiungere il livello di regioni più evolute (mentre anche allora si parlava del Ponte di Messina, naturalmente...). Le stesse verso le quali partirono i nostri padri e stanno, mestamente, ricominciando a partire i nostri figli negli ultimi anni. Tutto questo a fronte di uno Statuto, quello siciliano, volto a favorire, l'indipendenza, l'economia regionale ed un proprio ordinamento tributario portando l'Isola a sviluppare attività produttive senza più bisogno di elemosinare o dipendere dal governo centrale.

Un sogno durato undici anni
Dal 1957 il nostro Statuto non è stato più applicato esistendo solo nell'ombra. La Sicilia, dunque, vive continuamente nell'illegalità, remando contro la propria costituzione e spianando il terreno ad una classe dirigenziale (non solo politica) corrotta da gravi forme di clientelismo. Esempio massimo, a conferma di tutto ciò, la questione legata all'Alta Corte della Sicilia che rappresentava più di tutti il simbolo e l'organo di un'autonomia tradita e rifiutata. L'Alta Corte disciplina dall'art. 24 dello Statuto aveva il compito di "risolvere" i conflitti tra Stato e Regione, ma con un raggio di azione più grande. Era una sorta di "sindacato" di costituzionalità di tutte quelle norme che si devono applicare in Sicilia provenienti da qualunque fonte. Uno strumento di garanzia. Appunto. E, in quanto tale, soppresso. Con la sentenza n. 38 del 7 marzo 1957 che dispone così: "La competenza dell'Alta Corte per la Regione Siciliana è stata travolta dalla Costituzione; essa era competenza provvisoria ai sensi della VII disp. trans. della Cost., destinata a scomparire con l'entrata in funzione della Corte Costituzionale".

L'inganno della Corte Costituzionale
E invece non è così. Come ha sottolineato Massimo Costa in un libro dello scorso anno, l'obiettivo della sua istituzione, disciplinata dall'articolo 24 dello Statuto (è istituita in Roma un'Alta Corte con sei membri e due supplenti, oltre il Presidente ed il Procuratore generale nominati in pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della Regione, e scelti fra persone di speciale competenza in materia giuridica), era quello di creare un organo non con competenza limitata ai conflitti tra Stato e Regioni ma con un raggio di azione più vasto che arrivasse ad identificarla con un vero e proprio sindacato speciale di costituzionalità di tutte quelle norme che si devono applicare in Sicilia, qualunque sia la fonte. Infatti, secondo gli articoli 25 e 26 dello Statuto, l'organo giurisdizionale giudica sulla costituzionalità delle leggi emanate dall'Assemblea regionale; delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato, dei reati compiuti dal Presidente e dagli assessori regionali nell'esercizio delle funzioni di cui al presente Statuto, ed accusati dall'Assemblea regionale. Questa Corte, secondo Massimo Costa, "equamente costituita, avrebbe potuto agire come la paladina della nostra autonomia. E si capisce perché, sin dal suo inizio, sia stata fieramente boicottata". Nei suoi 10 anni di attività, dal 1947 fino alla sentenza del 1957 che ha stabilito l'assorbimento delle sue funzioni da parte della Corte costituzionale, nella giurisprudenza dell'Alta Corte deve essere menzionata una celebre sentenza, quella del luglio 1949, con la quale essa impedì che il Parlamento italiano modificasse con legge ordinaria lo Statuto siciliano. "In gran parte delle sentenze - osserva Massimo Costa - l'Alta Corte considerava l'autonomia siciliana un patto tra due entità paritetiche, nei rispettivi ambiti di sovranità riconosciuti. Un'autonomia che funzionava, continua Costa, nonostante la sempre più aperta ostilità dei poteri forti italiani, nonostante il freno a mano tirato dalla stessa Dc autonomista di allora, obbligata a ragioni di prudenza per non spiacere alle centrali politiche romane".

All'assorbimento delle funzioni dell'Alta Corte da parte della Corte Costituzionale si è arrivati, secondo Costa "per mezzo di una sentenza illegittima". Un giudizio, a dire il vero, che l'Alta Corte non ha mai avallato con propria sentenza. "L'autonomia, osserva Costa è stata scippata ai siciliani con un vero e proprio colpo di Stato, lasciandola nelle mani di un organo giurisdizionale (Corte costituzionale, ndr) che non è terzo e che dimostra quasi ad ogni sentenza la propria parzialità e il proprio centralismo, smantellando pezzo a pezzo l'autonomia siciliana a colpi di interpretazioni abrogative". Ma qual è stato il ruolo della Regione di fronte a questo "golpe" politico-giuridico? "La Regione - osserva Costa- avrebbe dovuto aprire una serissima crisi istituzionale ricusando la competenza della Corte Costituzionale. Ma chi è politicamente, culturalmente e psicologicamente subalterno non è in grado di assumere tale posizione." Da lì in poi ogni tanto un'abbaiata alla luna di qualche presidente della regione (in cambio di qualche elemosina in più) e poco altro. È proprio questo il punto: chi è subalterno riuscirà mai ad essere autonomo? E che senso ha festeggiare l'Autonomia che (di fatto) non c'è?

Pubblicato su "La Voce dell'Isola", n° 9/10 del 27/05/2010



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