In Sicilia 70 anni fa si è giocato il presente

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sbarco

Il 10 luglio di settant’anni fa in Sicilia si è giocato il nostro presente. Si è giocato appena gli eserciti d’invasione angloamericani quel 10 luglio del 1943 misero piede nell’isola e l’occuparono in men che non si dica, iniziando la risalita verso il Continente Italia-Europa. Si lo sbarco alleato, l’Operazione Husky, non fosse riuscita, non ci sarebbe stato mesi, e mesi e mesi dopo, lo sbarco in Normandia, ricordato come l’evento che dette inizio alla fine della Seconda guerra mondiale. Nel settembre del 1943 in Sicilia la guerra si concluse e continuò altrove: La Sicilia venne occupata e rimase sotto l’amministrazione angloamericana (con l’AMGOT) sino alla resa del Terzo Reich. Poi venne la pace, ma da allora, nella pratica, la Sicilia è rimasta “occupata” dagli americani che mantengono loro basi militari stabili (Sigonella, Niscemi, Augusta, eccetera) grazie ad accordi bilaterali Italia-USA che hanno disatteso quanto stabilito dal Trattato Internazionale di Parigi del 1947 che stabiliva che nell’Isola non dovevano esserci installazioni militari.

Tutto ebbe inizio quel 10 luglio del 1943…, una data che oggi si commemora…

 

Operazione-HuskyAlla fine del 1942, in ritardo su tutta l’attività svolta dai colleghi inglesi, i servizi spionistici americani considerano la concreta utilizzazione di uomini e mezzi in Sicilia per preparare e portare a buon fine, per quel che li riguarda, il piano d’invasione. La pubblicistica, enorme sui fatti italiani, per più di vent’anni ha individuato nel “Naval Intelligence Service” l’organismo statunitense che per primo si servì di siculo-americani per scopi informativi.
Ed in parte questo quadro corrisponde alla realtà, per quel che concerne almeno l’attività svolta nel territorio degli USA. Il “NIS” (appunto, Naval Intelligence Service), infatti, si era ampiamente servito degli immigrati per fronteggiare i numerosi atti di sabotaggio contro il naviglio che navigava lungo le coste americane, ad opera di commandos sbarcati da sottomarini tedeschi.
Al “NIS” era apparso chiaro che gli equipaggi germanici venivano aiutati da oriundi italo-tedeschi.
Nella fase iniziale della guerra gli USA avevano subito la perdita di un milione di tonnellate di naviglio, sotto i loro occhi,
nella zona di Long Island. I sabotaggi avevano raggiunto la fase culminante nel febbraio del 1942, con l’incendio del transatlantico francese “Normandie”, alla foce dell’Hudson. L’inchiesta per scoprire i sabotaggi era stata affidata al tenente di vascello Charles Radeliffe Haffenden. Questo ufficiale per neutralizzare spie e sabotatori si servì della collaborazione della malavita siciliana, che deteneva l’incontrastato dominio delle attività portuali. I sabotaggi hanno, così, termine.
Il “Naval Intellingence Service” torna a servirsi della malavita organizzata alla vigilia dello sbarco in Sicilia, a mezzo di Lucky Luciano, il quale presta l’opera richiesta ed in cambio ne ottiene, a guerra conclusa, il condono di una pena di cinquanta anni che stava scontando nel carcere di Clinton, a Dannemora. Certamente il contributo che Luciano ha dato al “NIS”, attraverso i personaggi ritenuti mafiosi, come Calogero Vizzini, sarà stato notevole ma, indubbiamente, mitizzato al di sopra di quello che realmente fu. È anche esatto affermare che la verità completa non si è mai conosciuta e, forse, mai si saprà. Gli americani solo da poco tempo a questa parte hanno incominciato ad aprire i loro archivi agli studiosi. Ed è proprio dalla conoscenza di queste prime fonti che si può, in parte, ridimensionare la figura di Luciano, per scoprire nuovi, a volte insospettati, protagonisti che hanno preso parte, dietro le quinte, alla Seconda Guerra Mondiale.

giornaleSi delinea il ruolo svolto dal Vaticano con Giovanbattista Montini (allora presso la Segreteria di Stato e divenuto poi Paolo VI) in contatto con un veterano della diplomazia clandestina americana, Earl Brennan, già diversi anni prima che l’Italia entrasse in guerra. Gli americani si muovono con difficoltà in quest’area già monopolizzata dagli inglesi attraverso i loro servizi segreti. È da rilevare, per inciso, che solo con la divisione delle sfere d’influenza e la progressiva decadenza della Gran Bretagna, si assisterà al predominio della rete americana su quella inglese. Si comprende a pieno che l’attività svolta dallo statunitense “OSS” (Office of Strategic Services) costituiva un vero e proprio superdipartimento di Stato attrezzato per la guerra, con una forza di tredicimila uomini in servizio permanente ed una disponibilità di mezzi economici il cui bilancio passava senza supervisione da parte del Congresso americano.
Le principali sezioni dell’OSS erano: “Fiel-Section”, “Office of the General Council”, “Office of Research and Development”, “Planning Staff”, “Field Photographic Branch”, “Secret Intelligence Branch”, “X-2 Branch”, “Research and Analysis”, “Special Operation”, “Psychological Staff”. Sezioni i cui compiti andavano dal coordinamento delle missioni sul campo, allo studio e ricerca di armi speciali, alla raccolta e distribuzione di informazioni segrete, ai legami con i gruppi clandestini all’estero.

truppe-USASezioni tutte con fondi autonomi.
Per dirigere la sezione di pronto impiego, la “SI” (Secret Intelligence) in Italia, Donovan chiama un uomo che ivi ha trascorso la sua infanzia e dove ha operato, in seguito, a livello diplomatico: Earl Brennan, che aveva avuto addirittura contatti con l’OVRA e con l’Ordine Massonico. Brennan, a quell’epoca, si trova in Canada, ed è in questo Paese che comincia il suo giro di contatti con i siciliani dell’Onorata Società espatriati li in seguito alle drastiche misure adottate da Mussolini per debellare il fenomeno criminoso.
È nella primavera del 1942 che Brennan inizia il suo reclutamento attivo attingendo alla comunità di Hartford e Meddletown, nel Connecticut. Passano alle sue dipendenze uomini come Vincent Scamporino (sindacalista laureato alla Boston University), l’avvocato Victor Anfuso, Philip Mangano, Felix Francolino, Vincent Lassowaky, ed il giovanissimo Max Corvo. Questi elementi sono ad Algeri all’inizio del 1943 sotto il comando di Max Corvo e di Vincent Scamporino, per strutturare la penetrazione politica della Sicilia in vista di un Governo Militare, dando per scontata la riuscita dell’invasione.
Inizia così un andirivieni di piccoli, medi e grossi calibri di una delle aggregazioni più potenti nell’Isola, appunto,  appartenenti all’Onorata Società: dalla Sicilia ad Algeri, negli Stati Uniti, e ritorno. Fra Onorata Società – non ancora mafia – e USA non ci fu soltanto un rapporto occasionale: la verità è che il Governo americano “arruolò” all’interno dei propri servizi questi uomini e di essi si servirà come strumento di indirizzo politico anche nell’immediato dopoguerra. A uomini di rispetto, tipo Calogero Vizzini, Genco Russo, Salvatore Malta, Dam Lumia, Vito Genovese, e tanti altri ritenuti antifascisti, si affidano Max Corvo e Vincent Scamporino, per scoprire innanzitutto la consistenza delle forze militari nazifasciste e delle opere di difesa esistenti in Sicilia. Ma lo scopo principale è quello di creare un clima adatto per una tranquilla convivenza della popolazione con le truppe d’occupazione.

È da notare la diversità del modus operandi dei due Servizi Segreti, quello inglese e quello americano, sia come tempi, che come territori sui quali agiscono, soprattutto per le conseguenze che si verificheranno nel periodo dell’occupazione militare. Gli inglesi svolgono il loro lavoro esclusivamente nelle zone della Sicilia orientale, da Messina a Catania, con sabotaggi alle attrezzature militari: Messina per i collegamenti con il continente, Catania per gli aeroporti ad essa collegati. Attività operativa iniziata ancora prima del 1942. Gli americani agiscono dall’Aprile del 1943 nella Sicilia Occidentale, con i collegamenti descritti. Obiettivo: neutralizzare in via indiretta i posti chiave militari, inducendo con una appropriata campagna psicologica la popolazione alla collaborazione in vista di una occupazione la cui durata non era possibile stabilire.

Di questi preparativi la gente comune non è che sappia granché. La popolazione conduce una vita animalesca, ed è succube di una serie di malattie infettive che mietono vittime più degli stessi bombardamenti cui è sottoposta da mesi. Un tubetto di chinino di Stato, che all’inizio della guerra costava appena pochi centesimi, nel 1943 si vende a cinquanta lire ed è reperibile solo al mercato nero. Per far fronte ai reati annonari Mussolini pensa di istituire campi di concentramento per i violatori della legge.

Affida tale compito al prefetto Temistocle Testa, nominandolo con Regio Decreto n. 149 del 23 Marzo 1943,  Commissario Straordinario Civile per la Sicilia. Con questo provvedimento si dà il via alla repressione più aspra operata dal regime nell’isola. Temistocle Testa ordina particolari e severe disposizioni per la trebbiatura, falciatura ed ammasso del grano, specificando che “in caso di infrazioni saranno considerati colpevoli di tradimento ai danni della Patria i contravventori, e pertanto tratti in arresto e deferiti al Tribunale speciale per la Difesa dello Stato, e sottoposti alla legge penale militare ed alla giurisdizione, nonché alle norme di disciplina in vigore per l’esercito”.

Il che equivale a dire, la pena di morte per i trasgressori colti in flagrante. D’altra parte il produttore di grano non aveva ragione di vendere il suo raccolto all’ammasso a prezzi irrilevanti, quando poteva guadagnare cento volte di più al mercato nero. In queste condizioni il contadino che non poteva permettersi il lusso di servirsi del mercato nero, si condannava automaticamente al suicidio. Ed al mercato nero era impossibile non ricorrere se si voleva continuare a vivere. In quell’anno la razione di pasta (teorica) pro capite è appena di 68 grammi; dieci grammi di carne ogni sei mesi. E non è che Mussolini sconoscesse la reale situazione, dal momento che aveva inviato, qualche mese prima, un funzionario del ministero della Cultura Popolare in missione, e dal quale aveva ricevuto un rapporto che spiegava dettagliatamente la gravità del momento.
La guerra psicologica condotta dai servizi specializzati anglo-aamericani trova, dunque, un terreno fertile: la popolazione attende con ansia l’arrivo dei liberatori. Sul territorio operano gia i gruppi clandestini armati di Antonio Canepa, i quali non si limitano ad attendere ma agiscono sempre più ogni giorno che si avvicina la data dello sbarco, con una serie di sabotaggi. Un insieme di sabotaggi alle linee ferroviarie, di ponti stradali e di aeroporti fa temere
ai tedeschi che si stia preparando un’invasione in Grecia.
Con questo timore immobilizzano nel Peloponneso, lontano dal vero fronte delle operazioni, un’intera divisione blindata.
Non sono solo queste azioni a distogliere l’attenzione dei tedeschi dalla Sicilia. C’è anche la storia del “maggiore Martin”, escogitata dagli inglesi per far credere ai nazisti che lo sbarco avverrà altrove. Il “maggiore Martin” era il cadavere di un giovane trentenne morto di polmonite e conservato in frigorifero fino al 19 Aprile 1943, giorno in cui indossatagli una divisa militare, ed allacciatagli al braccio con una catena una borsa contenente documenti creati per la circostanza (nei quali si indicava nella Sardegna il luogo della futura invasione) lo si trasporta a mezzo sottomarino nel Mediterraneo e lì scaricato. Una barca di innocenti pescatori lo trova impigliato nelle reti: i pescatori consegnano il cadavere alle autorità. Lo studio da parte degli esperti tedeschi di quei documenti rinvenuti con il cadavere, convince Hitler che l’invasione è prossima, ma che sarebbe avvenuta in Sardegna.

Dei sabotaggi compiuti dai gruppi di Canepa esistono solo frammentarie testimonianze verbali, fornite da partecipanti
alle azioni medesime. Due di queste possono considerarsi attendibili, una terza acquista un pastoso sapore di fantastoria, che riportiamo a livello di cronaca. Si parla di sabotaggi avvenuti nei giorni immediatamente precedenti lo sbarco delle forze angloamericane in Sicilia: la messa fuori uso di un treno armato; il brillamento dei depositi di munizioni e carburante dell’aeroporto di Gerbini; la caduta della roccaforte di Augusta.
Di treni armati in Sicilia, a quel tempo, ne erano di stanza quattro: uno nei pressi di Porto Empedocle; un altro a Carini, alla periferia di Palermo; il terzo a Targia, nelle vicinanze di Siracusa; il quarto veniva manovrato sulla linea ferroviaria costiera di Catania. È sul treno di Catania che operano gli uomini di Canepa. Il treno era denominato “Gruppo Mondiale n. 4”, ed era stato utilizzato in precedenza sul fronte occidentale in Francia. Era composto da quattro pezzi di artiglieria “149” prolungati, montati su quattro carri a quattro assi speciali con mozzi a tenaglia che si attaccavano al binario quando i cannoni entravano in funzione; da un carro Santa Barbara; da due carri bagagliaio-fureria; da tre carri dormitorio; da due locomotive trainanti. Il treno era servito da personale della Marina Militare: 104 uomini al comando di un tenente di vascello. Il “Gruppo Mondiale n. 4”, che sarebbe dovuto servire alla difesa del porto di Catania, fu immobilizzato il 7 Luglio del 1943. Molti ne attribuirono in seguito, l’inoperosità a questioni legate ai bombardamenti, senza però fornire alcuna spiegazione sul perché fosse rimasto intatto in tutte le sue parti.
Questa è la spiegazione data da un testimone, l’ingegnere Giuseppe Mignemi di Catania: il treno non poteva essere distrutto con cariche di dinamite, anche perché la sorveglianza, molto stretta, era affidata ai reparti tedeschi.
Canepa ebbe forniti dai servizi inglesi i piani di costruzione del Gruppo Mobile, e ne individuò il punto debole nella centrale di tiro di fabbricazione tedesca. Sarebbe stato sufficiente togliere la dinamo di eccitazione dell’alternatore che forniva l’energia elettrica ai motorini per il brandeggio dei pezzi. La dislocazione della stazione ferroviaria di Catania, a ridosso sul mare, su uno strapiombo di una ventina di metri, favorì l’avvicinamento al vagone dove era collegata la dinamo. Un elettricista riuscì a portare a termine il lavoro in un paio d’ore, staccando ed asportando la dinamo che venne precipitata in mare. Le sentinelle non s’avvidero di nulla poiché vigilavano dal lato terra, non preoccupandosi di badare al lato mare, convinti come erano che dagli strapiombi nessuna insidia potesse venire. L’operazione potè essere portata a termine dopo un mese di studi della scogliera dove di notte si sarebbe dovuto muovere il commando.
L’arma area italo-tedesca in Sicilia era stata ben presente con numerose squadriglie – dislocate in una miriade di piccoli aeroporti – sin dall’inizio della guerra. Dal giugno del 1940, terminate le ostilità con la Francia, l’attività bellica fu rivolta a tre scopi fondamentali: colpire con la massima efficacia e insistenza le basi areonavali di Malta; controllare la situazione ed i movimenti del naviglio a La Valletta con frequentissime ricognizioni; provvedere con la “caccia” alla difesa dei principali centri militari della Sicilia. Un anno dopo le squadriglie furono integrate dal “X C.T.A.” (Corpo Areo Tedesco) e inseguito dal “II C.T.A.”. Dalla Sicilia si portò avanti un’attività aerea di una certa consistenza, basti tenere presente che solo nel 1940 dall’isola contro Malta vennero complessivamente effettuati 7.410 voli per un totale di 11.200 ore di volo, con l’impiego di oltre mille bombardieri che sganciarono su Malta 553.000 chilogrammi di bombe. In Sicilia furono presenti, con vari avvicendamenti, numerosi stormi di bombardieri italiani “S 79” e tedeschi “JU 87”, squadriglie di aerosiluranti “S 84”, stormi di Caccia diurna e notturna, equipaggiati con “CR 42”, “MAC 2000”, “ME 109” e “RE 2005”. Le perdite complessive in tre anni di guerra dell’Aeronautica in Sicilia, furono di un centinaio di velivoli, altrettanti velivoli colpiti irrimediabilmente, duecento piloti perduti o dispersi.
Il grosso delle forze aree superstiti alla vigilia dello sbarco si trovava dislocato all’aeroporto di Gerbini, nella piana di Catania, con una consistenza di una cinquantina di caccia, tra “Macchi 2000”, “Messerchmit 109” e “Junkers 87” (i famosi Stukas).

Gerbini doveva essere reso inutilizzabile con una azione di commando, che sarebbe dovuta riuscire là dove i  bombardieri angloamericani non avevano ottenuto grandi risultati. In questa circostanza Antonio Canepa studia un
piano d’appoggio a due ufficiali inglesi sabotatori, paracadutati in giugno in Sicilia. Così viene raccontato l’episodio.
Canepa segue gli spostamenti degli affaticati piloti tedeschi che alloggiavano, nelle soste tra una missione e l’altra, in alberghi del centro storico di Catania, e le loro usanze per il rientro nella base. Si accorge che un gruppo si serve di un’automobile italiana con alla guida un’autista siciliano. Procura una vettura identica e, anticipando di un’ora il rientro dei militari, fa penetrare i due ufficiali inglesi (che parlavano correttamente il tedesco) ed un suo uomo di fiducia, nella base, senza destare alcun sospetto al posto di guardia dell’aeroporto, essendo i tre vestiti con divise d’ordinanza. Contemporaneamente Canepa, insieme ad un gruppo armato, si ferma a qualche chilometro di distanza, sulla carrozzabile, per fermare, eventualmente, la vera vettura dei tedeschi. Non si verificava alcun contrattempo poiché il commando agisce tempestivamente; i due inglesi dispongono le cariche all’interno dei depositi, dei quali conoscevano l’esatta ubicazione, e riescono a tornare indietro senza essere fermati dalle guardie del posto di blocco. Dopo trenta minuti i depositi di carburante e munizioni esplodono. Le colonne di fumo sprigionatesi rimarranno dense nell’aria, visibili a chilometri di distanza. La forza area italo-tedesca rimane in tal modo immobilizzata a terra ed a nulla vale l’estremo invio da Capodichino e da Capua della “362a Squadriglia” fornita di caccia “Reggiane 2005” per contrastare gli invasori, allorché mettono piede in terra siciliana.
Fantastoria, e almeno fino a quando precise documentazioni non ne comproveranno l’autenticità, è da considerarsi
l’episodio della caduta di Augusta, nella testimonianza che ne fa l’ingegnere Giuseppe Mignemi.
Per la caduta di Augusta, com’è noto, s’è parlato sempre di alto tradimento dei militari colà dislocati per la difesa
della roccaforte che, senza motivo apparente, misero fuori uso i grossi pezzi di artiglieria costiera ancora prima
di avvistare i convogli nemici che si approssimavano allo sbarco. Secondo la testimonianza di Mignemi, Canepa  possedeva i cifrati che servivano a decriptare i messaggi militari. Nelle ore precedenti l’invasione, Canepa si inserisce
nella linea di comunicazione del Comando Militare di Augusta, e trasmette un ordine, in cifrato, con il quale si disponeva la distruzione delle installazioni della base, per non farle cadere nelle mani del nemico, che già stava
sbarcando sulle spiagge del Siracusano. È da tenere presente che le installazioni di Augusta erano fisse, rivolte
solo verso il mare, e pertanto, se veramente il nemico fosse sbarcato alle spalle, non potevano essere di alcuna utilità
per contrastare l’avanzata o per difendere la base. Il Comando della piazza richiede conferma dell’ordine a mezzo corriere con messaggio scritto. Canepa va avanti nel suo bluff, ed invia un “vero” ufficiale dei Carabinieri, che faceva parte del suo gruppo, con un cifrato che conferma il messaggio telefonico. A seguito di questa riprova, il Comando di
Augusta decide di mettere fuori uso l’artiglieria.
Basterebbe questo episodio, se trovasse conferma ufficiale, a fare assumere alla lotta siciliana contro il nazifascismo quei valori e significati che la storiografia ufficiale non può concedere, o non vuole, nonostante altri innumerevoli
episodi – documentati – ne attestino in maniera incontrovertibile la validità. Sarebbe sufficiente ricordare il catenese
Emilio Zappalà che, arruolatosi nell’esercito britannico e inviato in Sicilia per compiervi opera di informazione  militare, scoperto fu fucilato il 27 Novembre 1942 per “intelligenza con il nemico”; oppure la ribellione, avvenuta
tre giorni prima dell’invasione, degli abitanti di Mascalucia contro le truppe naziste; e quella stessa di Castiglione di Catania che provocò, come reazione, un eccidio di civili inermi; o ancora l’attentato contro una colonna tedesca sulla strada da Palermo a Trapani, che provocò la distruzione di 28 camion e la morte di una quindicina di militari.
Se per Resistenza si intende lotta armata popolare al nazifascismo non possiamo essere del parere che essa ebbe inizio con le “Quattro giornate di Napoli”: la Resistenza italiana ha avuto inizio, anche se con forme del tutto particolari, in Sicilia.
L’invasione della Sicilia, iniziata il 10 Luglio, si completa il 16 Agosto 1943. Eisenhower individua il successo dell’Operazione Husky sulla “anticipazione di un mese dalla data dello sbarco e sulle perfette informazioni. Informazioni che hanno consentito di allenare sulle spiagge africane i reparti alleati a compiere gli stessi movimenti che avrebbero poi compiuto su quelle siciliane…”.
A distanza di oltre sessanta anni dallo sbarco alleato, molti esperti militari hanno giudicato “azzardata” l’operazione,
anche se poi (in ultima analisi) per gli “invasori” tutto è finito bene. Il piano “Husky”, così denso di dettagli
e previsioni, poteva risolversi in un grande fallimento che avrebbe potuto compromettere in maniera definitiva
il risultato della guerra. Alla riuscita dell’invasione (tutto sommato) contribuirono in maniera determinante le incertezze di Hitler e di Mussolini: se i due dittatori, infatti, avessero reagito con fermezza e decisione, inviando in Sicilia le truppe ed i mezzi necessari, l’invasione sicuramente sarebbe stata bloccata. A nulla, infatti, erano valsi i
colloqui che Rimmel – il 10 marzo del 1943 – ebbe con Hitler: Rommel chiedeva al fuhrer che le truppe “africane”
venissero trasferite in Italia e “riequipaggiate in modo da metterle in grado di difendere il fianco dell’Europa
meridionale. Rommel rimase inascoltato, e le situazioni in seguito si evolsero in modo tale da non potere più essere
fronteggiate. Con la cattura in Tunisia nel mese di aprile delle otto divisioni italo-tedesche, le isole italiane rimanevano scarsamente equipaggiate, cosa che sicuramente contribuì alla conquista della Sicilia. Neanche le insistenze del generale Westphal, capo di Stato maggiore del feldemaresciallo Kesserling (comandante in capo del Sud Italia) sortirono gli effetti sperati. Westphal chiedeva che fossero inviate dalla Germania in Italia truppe meccanizzate,
e Hitler sembrò convinto della richiesta, tanto che inviò a Mussolini un messaggio personale con il quale gli comunicava la sua disponibilità ad inviargli cinque divisioni.
Mussolini rispose che erano sufficienti tre divisioni, ed il risultato fu, all’atto pratico, che a disposizione si ebbe una divisione nuova, e due raccogliticce composte da contingenti di reclute che dovevano essere destinati in Africa. Ciò avveniva verso la metà di gennaio; quando si notò, in seguito, l’errore madornale commesso era già troppo tardi, nonostante che il nuovo comandante dello Stato maggiore dell’esercito, generale Roatta, riuscì ad ottenere altre divisioni tedesche, che fossero in ogni modo subordinate al comando italiano, per proteggere gli avamposti insulari.
Prima dello sbarco alleato la guarnigione italiana in Sicilia era composta da quattro divisioni da campagna e da sei divisioni territoriali adibite alla difesa costiera, inesistenti sul piano dell’equipaggiamento. Le truppe tedesche, provenienti dalla Tunisia, vennero riunite nella “15a Divisione Granatieri Corazzata”, fornita da una sola unità di carri armati. A fine giugno vennero inviati in Sicilia altri mezzi raccogliticci, che formarono la ricostituita “Hermann  Goering”.
Il piano di invasione della Sicilia – denominato “Husky”- venne stilato nella sua forma definitiva il 3 maggio, e approvato dieci giorni dopo, in pratica una settimana dopo che il fronte italo-tedesco aveva ceduto a Tunisi:
gli anglo- americani si apprestavano a compiere il primo assalto anfibio su grande scala mai operato prima.
Le divisioni che venivano impiegate erano otto; 470.000 complessivamente gli uomini in armi (250.000 inglesi, 228.000 americani). Gli sbarchi inglesi vennero effettuati su un fronte lungo sessantacinque chilometri (lato sud-orientale dell’isola), quelli americani su un tratto altrettanto lungo della costa meridionale. Tra l’ala di sbarco inglese e l’ala americana un “intervallo” di trentacinque chilometri. L’ammiraglio inglese Cunningham preparò e condusse l’operazione navale. La forza navale inglese- 795 unità con 720 mezzi da sbarco – era al comando dell’ammiraglio di divisione Bertram Ramsey. Comprendeva: la V Divisione, la L Divisione, la CCXXXI Brigata di fanteria, che sarebbero sbarcate tra Siracusa e Capo Passero; la LI Divisione, che sarebbe sbarcata sulla punta orientale dell’isola, la I  Divisione canadese, che sarebbe sbarcata a ovest di Capo Passero. La forza navale americana – 580 unità e 1124 mezzi da sbarco – era comandata dall’ammiraglio di Divisione H. Kent Hewitt. Era composta dalla 45a Divisione di fanteria, che sarebbe sbarcata a Scoglitti, dalla I Divisione di fanteria e dalla II Divisione corazzata a Gela, la III Divisione di fanteria a Licata. Le forze da sbarco venivano appoggiate da quattromila aerei (tra caccia e bombardieri) fronteggiati da 1.500 aerei (italiani e tedeschi di stanza in tutta la penisola).
Solamente quattro unità e due mezzi da sbarco (LST) americani andarono perduti nel corso dell’invasione a seguito di attacchi da parte di sottomarini tedeschi. Le forze da sbarco venivano affiancate dal lancio di truppe  aviotrasportate dalla Prima Divisione inglese e della 82a americana.
Il primo Agosto altre due divisioni vennero trasportate sul teatro bellico siciliano: la IX USA e la 78a inglese, mentre i tedeschi ricevettero di rinforzo la 12a Divisione Panzer Grenadier, e il comando della XIV corpo corazzato del generale Hube con lo scopo di evacuare le forze dell’Asse dalla Sicilia, e (in precedenza, subito dopo i primi giorni dell’invasione) la Prima e la Seconda Divisioni paracadutisti tedesche i cui uomini vennero utilizzati come truppe di terra, al comando del generale Student.
A partire dal 2 Luglio tutti i campi d’aviazione siciliani vennero sottoposti a massicci bombardamenti e attacchi a bassa quota, tanto da rendere inutilizzabili la maggior parte delle piste di volo, con la distruzione di quasi tutti i  depositi di carburante. Oltre duecento velivoli (tra italiani e tedeschi) vennero abbattuti, e il comando dell’Asse si vide
costretto a trasferire i caccia rimasti incolumi negli aeroporti della Sardegna, o in quelli della Calabria.
firmeIl 9 Luglio erano dislocati in Sicilia non più di ottanta caccia italo-tedeschi, quattro divisioni di manovra (Napoli, Livorno, Assietta, Aosta), più di tre divisioni tedesche (delle quali una corazzata); non meno di trecentomila uomini e 1.500 bocche da fuoco.
Oggi c’è chi sostiene che l’insieme delle forze poteva contrastare efficacemente l’invasione, e (addirittura) rigettare in mare gli angloamericani.
I conti sulla carta, in realtà, non corrisposero alla previsione dei generali che, probabilmente, non si rendevano conto dello scarso equipaggiamento e del morale basso degli stessi soldati che affrontavano un nemico fornito di mezzi e di supporti logistici in quantità tale che non trovavano riscontri.
Il comandante delle forze armate italo-tedesche in Sicilia, generale Guzzoni, assumendo l’incarico della difesa dell’isola il 30 maggio del 1943, si era ben presto reso conto della situazione in cui versavano sia le truppe che la popolazione stessa. Aveva previsto – come risulta da documentazioni ufficiali – anche il settore dove sarebbe potuto avvenire lo sbarco e (incredibile!) anche la data possibile nella quale poteva verificarsi (“…L’azione troverebbe fino al 10 luglio luna favorevole, cioè assente”, ebbe a scrivere in un rapporto).
Le ricognizioni aeree, inoltre, avevano segnalato che a Malta venivano concentrate ampie forze navali. I convogli in viaggio verso la Sicilia, infine, vennero avvisati alle ore 19 del 9 Luglio, tanto che i comandi dei reparti della difesa costiera vennero tenuti in allarme ancor prima delle ore 22 dello stesso giorno, cioè prima che venissero lanciati i paracadutisti inglesi e americani. Il generale Guzzoni, riteneva che obiettivo principale dello sbarco sarebbe stata la città di Messina, come a dire che prevedeva che l’attacco più massiccio si sarebbe avuto nella parte nella parte orientale dell’isola.
Per gli alleati giocarono a favore gli eventi meteorologici: nel pomeriggio del 9 Luglio, quando ormai era completato
il raggruppamento delle forze navali attorno a Malta, e quando si stava dando l’avvio alla partenza dei convogli verso gli obiettivi prestabiliti, si levò un forte vento, ingrossando improvvisamente il mare. I comandi alleati ritennero anche – ma l’ipotesi venne subito scartata – che potesse essere il caso di rinviare l’operazione, in quanto le imbarcazioni più piccole potevano correre seri rischi. Il piano, comunque, non ebbe intoppi e, se pure con il mare grosso, i convogli partirono per le loro mete, raggiungendole nei tempi previsti. Il vento diminuì d’intensità poco prima della mezzanotte.
La difesa italo-tedesca ritenne, erroneamente, che l’attacco con le condizioni atmosferiche proibitive in atto, sarebbe
stato rinviato. Così non avvenne.
A subire i maggiori danni dell’inclemenza del tempo furono le truppe aviotrasportate degli invasori, il cui lancio  doveva procedere lo sbarco anfibio. Si trattava del primo tentativo effettuato su grande scala, e di esperienze simili
non c’era riscontro.
I paracadutisti americani si dispersero su un’area di ottanta chilometri e i paracadutisti inglesi registrarono la perdita di 47 alianti su 134 che precipitarono in mare.
L’ammiraglio inglese Cunningham scrisse nel suo diario, commentando lo sbarco, che “gli italiani, stanchi per le tante notti trascorse all’erta, ringraziando il cielo, se ne andarono a letto dicendo: Questa notte comunque non  possono venire”.
In quel momento la disposizione delle truppe a difesa della Sicilia orientale era la seguente: Zona sud-orientale Divisione “Livorno”, Divisione “Goering”, Secondo e Terzo Gruppo della Divisione “Sizilien” (Quindicesima Divisione), due gruppi del Raggruppamento Semoventi 90- 53 (italiano); Zona occidentale, Primo e Terzo Raggruppamento della Divisione “Sizilien”, e un gruppo del Raggruppamento Semovente 90- 53.
Queste truppe (che comprendevano anche le divisioni costiere) erano raggruppate nel XVI corpo d’armata.
A qualche ora dallo sbarco il generale Guzzoni si rese conto della necessità di contenere il settore di Siracusa, che minacciava la piana di Catania e Messina: ordinò immediatamente l’impiego della Divisione “Napoli”, studiando l’opportunità di fare intervenire le Divisioni “Livorno” e “Goering” per una massiccia controffensiva nel settore di Gela (sferrata l’11 Luglio).
A conti fatti si mosse subito a est il gruppo “Ens” della divisione “Sizilien” il gruppo del Raggruppamento Semoventi, mentre il XII Corpo d’Armata rinforzava la difesa nel settore di Licata. Dalla Sicilia occidentale (da ovest verso est) si muovevano quindi le forze del XII corpo d’armata (“Aosta”, “Ossietta”, XV divisione tedesca) a coprire il lato  occidentale.
La mancanza di una forte opposizione iniziale all’invasione consentì agli angloamericani di sviluppare a fondo la loro azione sin dalle prime ore dello sbarco. L’assenza di reazione (sostengono molti esperti militari), fu dovuta non solamente allo scarso equipaggiamento, ma anche alla stanchezza fisica e morale dei soldati per una guerra che “molti non volevano”. 

Indubbiamente per i difensori dell’isola lo scenario che si presentò alle prime luci del 10 Luglio fu tale da scoraggiare e deprimere il tentativo di opporsi.
Questo il motivo principale per il quale le difese costiere caddero con estrema facilità (a prescindere da tutti i retroscena che avevano preparato l’invasione).
Il peso del contrattacco cadde sulle spalle delle improvvisate divisioni mobili: i tedeschi seppero reagire con una puntata della Divisione “Herman Goering”, la quale era stata collocata (fornita di un distaccamento dei temibili carri armati “Tigre” da 56 tonnellate) attorno a Caltagirone, a trenta chilometri dalla fascia montuosa che domina Gela, zone dello sbarco della Prima Divisione americana.
Questo contrattacco venne messo a segno, però,
solo nella seconda giornata dopo il “D Day”.

Salvo Barbagallo

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One Thought to “In Sicilia 70 anni fa si è giocato il presente”

  1. Bastava fermare gli alleati in Nord Africa. Non sarebbero sbarcati in Sicilia e neanche in Normandia.Meno male che gli Italiani non volevano la guerra ed erano stanchi. Si sarebbe cambiata la storia. Invece dell’Italiano si parlasse Tedesco O il Russo una volta occupato la Germania i Russi avrebbero fatto lo stesso con L’Italia.

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