Sequestro di beni all’editore Mario Ciancio. I perché della Procura. Video

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La Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Catania, su richiesta della Procura Distrettuale di Catania, ha disposto un decreto di confisca previo sequestro del compendio patrimoniale ritenuti ricondicubili all’editore Mario Ciancio Sanfilippo.

Secondo la ricostruzione, “il Giudice – il primo ad avere valutato nel merito gli elementi acquisiti nel corso delle indagini – ha ritenuto la pericolosità sociale qualificata del proposto per la sussistenza a suo carico di gravi indizi del rilevante contributo fornito da Mario Ciancio Sanfilippo al raggiungimento delle finalità perseguite dalla famiglia catanese di cosa nostra dagli anni Settanta dello scorso secolo sino al 2013”.

L’età avanzata dell’editore e il tempo risalente degli ultimi accertamenti 2013 hanno indotto il Tribunale – aggiunge il capo della Procura Carmelo Zuccaroa escludere l’attualità della pericolosità sociale, ma tale conclusione, per disposto di legge, non consente al soggetto ritenuto pericoloso di continuare a detenere il patrimonio acquisito in ragione delle illecite cointeressenze, sicché il Tribunale ne ha disposto la confisca”.

Durante la conferenza stampa, il capo della Procura ha ricordato due episodi: il famoso rimprovero, davanti al boss Giuseppe Ercolano, ad un giornalista che in un articolo lo aveva definito “noto boss mafioso” ed altri due, pubblicati rispettivamente il 18 e 19 dicembre del 1982.

Nel mirino della magistratura, ci sono depositi di conti correnti, anche presso banche svizzere, polizze assicurative, trentuno società interamente posseduto dal proposto, quote di partecipazione detenute in sette società e di beni immobili, il cui valore, secondo un prudente apprezzamento, non sarebbe inferiore a 150 milioni di euro.

L’Autorità giudiziaria ha sottoposto all’attenzione del Collegio gli elementi che dimostrerebbero la “pericolosità sociale qualificata di Ciancio e l’anomalo sviluppo del suo patrimonio”. Elementi  acquisiti nel corso delle indagini, eseguite dal ROS – Sezione Anticrimine di Catania, nonché gli esiti della consulenza patrimoniale elaborata dalla nota società PWC(Price Waterhouse Coopers) e il patrimonio conoscitivo dei collaboratori di giustizia. La Difesa, a sua volta, ha depositato documentazione ed ha interloquito nel corso della redazione della consulenza tecnica della PWC avvalendosi del proprio consulente di parte.

Nel faldone d’accusa, i presunti rapporti di Mario Ciancio Sanfilippo intrattenuti, secondo la ricostruzione, “con gli esponenti di vertice della famiglia catanese di Cosa Nostra sin da quando la stessa era diretta da Giuseppe Calderone, rapporti poi proseguiti ed anzi ulteriormente intensificati con l’avvento al potere di Benedetto Santapaola alla fine degli anni Settanta del secolo scorso ed al ruolo di canale di comunicazione svolto dallo stesso Ciancio per consentire ai vertici della famiglia mafiosa di venire a contatto con esponenti anche autorevoli delle Istituzioni”.

Secondo l’accusa la “linea editoriale imposta da Ciancio alla testata giornalistica che vanta il maggior numero di lettori nella Sicilia Orientale, linea editoriale improntata alla finalità di mantenere nell’ombra i rapporti tra la famiglia mafiosa e le imprese direttamente o per interposta persona controllate dalla medesima; di non porre all’attenzione dell’opinione pubblica gli esponenti mafiosi non ancora pubblicamente coinvolti dalle indagini giudiziarie e soprattutto l’ampia rete di connivenze e collusioni sulle quali questo sodalizio mafioso poteva contare per mantenere la propria influenza nella provincia catanese”.

Il capo della Procura Carmelo Zuccaro durante la conferenza stampa rispondendo alla domanda di un cronista che gli ha chiesto se non provasse imbarazzo per la giustizia catanese troppo lenta, ha risposto. “Si poteva fare molto di più. Non posso dire per quale motivo perché ovviamente non ho vissuto tutti quei quarant’anni. Si poteva fare molto di più. Se imbarazzo lei ha notato, più che imbarazzo è dispiacere per quello che si poteva forse fare anche prima e che non è stato fatto”. “Però oggi – ha sottolineato il capo della Procura – dobbiamo essere soddisfatti per un fatto: è stato conseguito un risultato molto importante e questo è il risultato di un lavoro molto importante dei magistrati della Procura di Catania, delle forze di polizia e di un tribunale di Catania che è all’altezza del delicato compito che deve svolgere in questa città”.

Ovviamente – ha aggiunto Zuccaro – non trascuro e non ometto tutte le difficoltà che si incontrano quando si fanno indagini di questo tipo. Molte volte le indagini giudiziarie si possono avviare quando anche il clima e la sensibilità del Paese lo consentono”. “Non vi è dubbio però, e lo dico con grande consapevolezza – che la magistratura di Catania – ha proseguito Zuccaro – ha delle responsabilità a cui oggi deve assolvere senza alcuna esitazione e senza alcuna remora”. “Se si vuole, una volta per tutte, debellare quelli che sono i fenomeni più perversi che affliggono il nostro Paese – ha concluso – non si possono assolutamente trascurare le reti di collusione, l’interfaccia che cosa nostra sa stabilire con tessuti ed esponenti importanti del tessuto economico e sociale. Questa indagine si scrive su questa linea, che è la linea che segue la Procura di Catania”.

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