Il terrorismo non fa più paura, né fa notizia

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È passata praticamente inosservata sui mass media nazionali la notizia dell’arresto in Tunisia di un gruppo di nove jihadisti che stavano per avviarsi alla volta della Sicilia su un barcone. Il barcone è stato intercettato dalla Guardia costiera e dalla squadra dell’antiterrorismo di Biserta, nel nord della Tunisia. I nove jihadisti, di età compresa tra i 21 e i 39 anni, sono stati consegnati all’Unità della Guardia nazionale che indaga su crimini di terrorismo. Nelle coste dell’Agrigentino gli sbarchi alla “spicciolata” continuano, molti clandestini riescono a fare perdere le loro tracce, qualche volta (come giorni addietro a Torre Salsa Siculiana) vengono intercettati dalle forze dell’ordine. Mesi addietro l’Interpol aveva segnalato che nel gennaio scorso almeno cinquanta i combattenti dell’Isis arrivati via mare in Europa, approdando in Sicilia. Ma l’argomento “pericolo jihadismo” (come dire, pericolo terrorismo) è fuori dalle diatribe estive ferragostane. Naturalmente le forze dell’ordine non abbassano la guardia, ma è l’indifferenza a predominare.

Vale la pena  proporre un articolo di Valter Vecellio pubblicato su “La Voce di New York” il 7 luglio scorso: utile per far riflettere, nonostante la dominante afa.

S. B.


di Valter Vecellio

 

L’autore della strage è il sintomo. E’ però la malattia che ci deve inquietare e va compresa, inquadrata, analizzata. Il fatto che il terrorismo sempre più è strumento di lotta, perseguimento e tutela di interessi molto concreti e molto poco fanatici: di stati e di potentati che vanno al di là dei confini e delle frontiere

Tocchiamo ferro e tutti gli amuleti disponibili, recitiamo tutti gli scongiuri a nostra conoscenza. Dopo questi “esercizi” che “non ci credo, ma non si sa mai”, la domanda: ma che fine hanno fatto la vecchia al-Qaeda e il più recente Isis o Daesh che dir si voglia? Certo in tante parti del mondo, almeno una volta la settimana, c’è una strage, un attentato di kamikaze si fa esplodere e causa morte in luoghi-simbolo: un luogo religioso, un mercato, una caserma… Ma sui giornali e nelle televisioni se ne parla e se ne scrive sempre meno. Fa più “notizia” un uragano, un incidente d’automobile…

Ma ricordate i raffinati filmati girati da professionisti e ad arte diffusi, con macabre esecuzioni di “infedeli” ed “apostati”? E vi ricordate del povero  Cantlie, il giornalista ostaggio occidentale,sequestrato dai jihadisti del cosiddetto Califfato, a lungo utilizzato come un’arma della propaganda jihadista, costretto a farsi portavoce della “verità” dell’Isis. Da tempo di lui non si sa più nulla. Comparso per la prima volta in video nel 2014, poco dopo una serie di video in cui l’Isis mostra al mondo la decapitazione di tre ostaggi occidentali (James Foley, Steven Sotloff e David Haines), il giornalista e fotoreporter britannico riappare dopo essere stato sequestrato a novembre 2012, dopo il suo ingresso in Siria. Pare sia morto, magari sotto le bombe della Coalizione anti-Isis. Di certo, da tempo, di lui non si sa più nulla. Di certo, con silenziosa azione di “liquidazione” le agenzie antiterrorismo occidentali hanno combattuto (e probabilmente ancora combattono) una “guerra” poco appariscente, silenziosa ma di una indubbia efficacia, e liquidano uno a uno i terroristi, le loro “menti”, i loro manovali.

Si tratta di azioni di contrasto e di smantellamento delle reti del terrore importanti; e di azioni condotte sul filo del rasoio, e richiedono perizia, pazienza, audacia, discrezione. Un lavoro fondamentale, ma non sufficiente. Occorre acquisire la consapevolezza che dietro ogni kamikaze ci sono migliaia di giovani che l’industria della predicazione estremista cerca senza sosta di indottrinare e arruolare in ogni parte del mondo. Forse oggi questa predicazione ha meno fascino, ammalia in misura minore. Ma di “cattivi maestri” e di “pessimi alunni” ce ne sono ancora tanti, in circolazione.

Ecco, questa incontestabile e semplice osservazione, va al di là della questione se i tanti attentati sono frutto e risultato di cosiddetti “lupi solitari” o il risultato di network di terroristi come le filiere franco-belga. Perché al di là e al di sopra dei singoli autori, c’è appunto “L’industria della predicazione estremista” che indottrina e arruola. Questo è il problema; l’autore della strage è il sintomo. E’ però la malattia che ci deve inquietare e va compresa, inquadrata, analizzata. Il fatto che il terrorismo sempre più è strumento di lotta, perseguimento e tutela di interessi molto concreti e molto poco fanatici: di stati e di potentati che vanno al di là dei confini e delle frontiere.

Von Clausewitz, nel suo celebre trattato “Della guerra”, ci ricorda che i conflitti non sono che “la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”.

Definizione che può benissimo attualizzare: “Il terrorismo non è che la continuazione della politica (e il perseguimento di interessi) con altri mezzi”, e si seguito il resto.

Non si deve smarrire la memoria del fatto che il terrorismo colpisce a Londra come a Orlando in (Florida), a Berlino come a Dacca, in Bangladesh E’ naturale che il massacro di bambini della Manchester Arena provochi choc; ma occorre essere consapevoli che drammi simili sono realtà quasi quotidiana per tanti popoli nemmeno tanto lontani da noi. Nella sola Siria, racconta l’Unicef, l’anno scorso sono stati uccisi almeno 652 bambini e altri 850 sono stati impiegati nei combattimenti. In Afghanistan, secondo le Nazioni Unite, ogni settimana 53 bambini vengono uccisi o feriti. In Iraq, nel 2016, su oltre 16.300 vittime civili, oltre 800 (più del 12 per cento) erano bambini, come testimonia Iraq Body Count. È la strage degli innocenti su scala industriale, in una quasi generale mancanza di reazioni emotive che diventa assuefazione.

L’abitudine all’orrore e al terrore: è questo che si deve scongiurare.

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