Sicilia: l’isola affoga. Di burocrazia

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di Luigi Asero

Cento possibili lavoratori in Sicilia non sbloccano nulla. Sarebbero però un segnale nell’isola dove la disoccupazione è fra i primi problemi. Accade però che un’azienda veneta, la trevigiana Fassa Bortolo, vorrebbe investire venticinque milioni di euro per riaprire la cava di calcare e minerali associati in località Santa Nicolella, nel territorio di Agira, in provincia di Enna. E accade che da oltre quattro anni e mezzo, per non meglio precisati rimpalli burocratici, non ne ottiene l’autorizzazione. Accade pure che l’azienda però non si rassegna e decide di interpellare il ministero dello Sviluppo Economico. Così anche il presidente della Regione, Nello Musumeci, cerca di capirci qualcosa e chiede lumi alla competente soprintendenza che dovrebbe fornire il parere sull’impatto paesaggistico.

L’anomalia, tutta italiana è che la cava esiste già. È chiusa da oltre 30 anni e nessuna opera di recupero ambientale sinora è stata compiuta, tanto che l’area abbandonata è ora luogo di degrado. Il sito è però inserito nel piano regionale delle attività estrattive e per la Fassa Bortolo sarebbe fondamentale perché consentirebbe di estrarre le materie prime per l’attività produttiva di materiali per l’edilizia.

Secondo l’azienda consentirebbe di far lavorare un centinaio di dipendenti comprendendo l’inevitabile indotto. Eppure dopo quattro anni nulla si sblocca e l’azienda pensa di rinunciare al progetto, non senza adire le vie legali per un’azione risarcitoria nei confronti dello Stato incapace di garantire tempi burocratici certi. Come dar torto a questi imprenditori?

L’azienda trevigiana precisa d’aver ottemperato a tutte le richieste degli enti competenti passando attraverso fasi concertative, accordi, confronti e dibattiti con i portatori di interessi. Manca soltanto l’ultimo parere paesaggistico della Soprintendenza, che permetterebbe quindi al Distretto Minerario di Caltanissetta di concludere l’iter autorizzativo. La Soprintendenza però ritiene che una piccola parte dell’area interessata risulterebbe essere di interesse archeologico. A questa osservazione l’impresa si è sempre detta disposta a delocalizzare i reperti archeologici rinvenuti e creare anzi apposite strutture atte a valorizzarli.

Invece l’autorizzazione non arriva, i reperti restano inesplorati, l’area degradata.

Cosa volete che siano in Sicilia, ad Agira, cento disoccupati in più o cento in meno?

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