Sicilia: è ora di scendere tutti in guerra?

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di Salvo Barbagallo

 

L’ottimismo è sempre da apprezzare e da ammirare, soprattutto quando viene espresso dal Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica, nel suo discorso di fine anno, ha sottolineato che le prossime elezioni nazionali del 4 marzo aprono, come sempre, una pagina bianca: a scriverla saranno gli elettori e, successivamente, i partiti e il Parlamento. A loro sono affidate le nostre speranze e le nostre attese. Mi auguro un’ampia partecipazione al voto e che nessuno rinunzi al diritto di concorrere a decidere le sorti del nostro Paese. Ho fiducia nella partecipazione dei giovani nati nel 1999 che voteranno per la prima volta (…).

Il Presidente Sergio Mattarella dona a tutti noi Italiani una sua riflessione: (…) Nell’anno che si apre ricorderemo il centenario della vittoria nella Grande guerra e la fine delle immani sofferenze provocate da quel conflitto. In questi mesi di un secolo fa i diciottenni di allora – i ragazzi del ’99 – vennero mandati in guerra, nelle trincee. Molti vi morirono. Oggi i nostri diciottenni vanno al voto, protagonisti della vita democratica (…).

Una riflessione, questa del Presidente Mattarella, che inevitabilmente può provocare nel “cittadino comune” (e noi che scriviamo ci riteniamo “cittadini comuni”) una reazione a catena di “riflessioni” che di certo (e comunque) non intendono essere considerate “in contrapposizione” o “in polemica”. Infatti, innanzitutto, non si intende contrastare l’ottimismo del Presidente Mattarella che esprime fiducia nella partecipazione dei giovani nati nel 1999 alla prossima competizione elettorale, ma esprimiamo già il nostro scetticismo, che si basa su una realtà che è difficile ignorare: quale vera “ragione” dovrebbe spingere un giovanissimo ad andare alle urne dopo aver constatato l’assoluta mancanza di punti di riferimento “ideologici” certi e dopo aver constatato che le aggregazioni cosiddette “politiche” sono basate (quasi) esclusivamente su opportunismi che, fra l’altro, mutano da un giorno all’altro? I ragazzi di cento anni addietro, i diciottenni di allora – i ragazzi del ’99 – che vennero mandati in guerra, nelle trincee non ebbero scelta, ma quale “scelta” hanno i ragazzi dell’ultimo ’99? Quella di andare a votare? Sì, indubbiamente, questa è democrazia, ma la scelta fra disoccupazione o sottoccupazione può definirsi democrazia? Noi non sapremmo cosa dire a questi giovanissimi di oggi, riteniamo però che non sia sufficiente dire loro che hanno trovato un Paese in “pace” e non in “guerra” e che, quindi, debbano ritenersi più che soddisfatti. Poi, se non hanno una prospettiva di lavoro poco importa.

Per non dire, anche, che di militari italiani impegnati su fronti bellici ne abbiamo attualmente 9.153 in 25 missioni all’estero, come informa Il Sole24Ore che riporta i dati del ministero della Difesa. Dati oscillanti, perché i “numeri” cambiano continuamente a seconda delle necessità partecipative dell’Italia armata, così come cambiano i costi per queste missioni. Apprendiamo da un articolo di Vincenzo Pinto su “Linkiesta” che gli stanziamenti generali per le missioni all’estero nel 2017 sono aumentate del sette per cento, cioè 1,28 miliardi di euro contro gli 1,19 miliardi del 2016. A riguardo si andrebbe da riflessione a riflessione e, come detto, una reazione a catena di riflessioni che chissà dove ci porterebbe. Basti dire soltanto che in nome della pace e contro il pericolo rosso/Putin mandiamo nostri soldati addirittura in Lettonia e Islanda.

Necessario mettere un freno alle riflessioni e cambiare marcia, e parlare di Sicilia dove, secondo i dati forniti da Check Up Mezzogiorno di Confindustria la quota di giovani che non studia e non lavora è ancora troppo elevata: oltre 1 milione e 800 mila (quasi il 60 per cento del totale nazionale). Quasi 800 mila non hanno alcun titolo di studio o al massimo la licenza elementare e media, ma 200 mila hanno una laurea e non un lavoro. Ed è utile ricordare quanto affermato da Fabrizio Micari, rettore dell’Università di Palermo, nel corso dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’ateneo: i giovani sono costretti ad “emigrare” per mancanza di lavoro. I numeri inquadrano una situazione intollerabile: lo scorso anno ben 36 mila giovani hanno lasciato la Sicilia per motivi professionali È una migrazione diversa rispetto a quella che avveniva in passato: a trasferirsi sono maggiormente i giovani tra i 25 e i 34 anni con un titolo di studio elevato. Tra i ragazzi, il 35,5 per cento è laureato, percentuale che sale al 41 per cento tra le donne. Si tratta di una vera e propria emorragia non solo sul piano demografico, ma soprattutto su quello della conoscenza (…).

Trentaseimila giovani che lasciano la Sicilia, un vero “esercito”, o meglio, una “forza”, un flusso di energia vitale che si dirige altrove. Probabilmente può apparire facile sostenere a parole un “Alt” al dissanguamento; probabilmente può apparire facile sostenere a parole “scendiamo tutti in guerra contro la disoccupazione, la sottoccupazione, lo sfruttamento diffuso, le energie le abbiamo per bloccare il degrado che sta sommergendo questa Isola”. Ma fino a quando chi governa la Regione (come è accaduto recentemente) si rivolge a Roma per avere risolti i “problemi” del territorio, le parole finiscono con il non avere alcun senso.

E allora chiediamo al Presidente Sergio Mattarella: cosa possono risolvere i giovani dell’ultimo ’99 con un voto che potrebbe essere disperso fra gli opportunismi e gli interessi di chi ha caratterizzato con scandali e truffe l’Italia degli ultimi (e dei precedenti) anni?

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