Giovani e lavoro: è la vittoria del precariato

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di Carlo Barbagallo

 

Tornano i numeri delle statistiche sul lavoro e, guarda caso, sono tutti in positivo: il primo interrogativo che viene spontaneo “è perché si è in campagna elettorale, e si va al voto nazionale?”. Interrogativo “con malizia”: sappiamo bene che i “numeri” sono “numeri” e non si possono disconoscere. Allora, altro interrogativo: “C’è, forse, il trucco?”. Questo è un altro discorso e con la serietà delle statistiche non si scherza. Cosa dice l’Istat nel suo rapporto del mese di novembre 2017? Che il “numero” degli occupati nel mese di ottobre dello scorso anno è aumentato di oltre 60 mila unità e che complessivamente gli occupati sono 23 milioni e 183 mila. Una quota tanto elevata che ha fatto esultare il premier Paolo Gentiloni, che ha definito questo indice il “più alto da quarant’anni a questa parte”. Quindi secondo gli elementi d’analisi forniti dall’Istat la disoccupazione è scesa per il quarto mese consecutivo: meno 0,2% in tre mesi, meno 1% in un anno, con un tasso che tocca l’11%, mai così basso dal settembre 2012, mentre il tasso di occupazione supera il 58% (58,4, +0,9 dal 2016).

Bisognerebbe, pertanto, essere più che soddisfatti ma, come sempre accade nelle cose cosiddette “belle”, la medaglia presenta costantemente due facce, e l’altra “faccia” di questa ottimistica visione della situazione occupazionale in Italia è che questa crescita occupazionale è “a termine”. Come dire, che anche se risultano 450 mila occupati in più (pari al 18,3%,) vanno considerati “precari” essendo i loro contratti “a termine”, cioè con una occupazione “temporanea” che ripropone vecchio detto del “doman non c’è certezza”.

A pagarne le conseguenze di questo stato di cose restano (è una costante che non muta) i giovani. Qualche settimana addietro Confindustria in riferimento al Mezzogiorno faceva notare che In base alle previsioni demografiche dell’Istat dal Sud da qui al 2066 scapperanno 5 milioni di cittadini e da macroarea più giovane (età media di 43 anni) diventerà la più anziana. Tra l’altro sappiamo bene che sono i giovani laureati e specializzati a fuggire per primi. Una previsione fin troppo a lungo termine che potrebbe far dimenticare le necessità del presente, quello che vivono i giovani in quest’oggi carico di incognite. Di quei giovani ai quali proprio nel suo discorso di fine anno faceva riferimento il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sperando in loro per dare una “svolta” decisiva all’assenteismo crescente verso la politica e verso le imminenti elezioni. E questo è una dato che fa riflettere.

Un dato che andrebbe riferito a quell’aumento di occupazione “precaria”, a quella “precarietà” nel proseguo dell’attività lavorativa che si potrebbe prestare ai ben noti giochi del clientelismo che, appunto, in campagna elettorale trova la sua funzione più deprecabile. Giovani sotto “ricatto” la cui prospettiva può essere in questa situazione il necessario aiuto interessato di questo io quel politico, o aspirante tale., per mantenere il “posto” conquistato a fatica. In Sicilia si ricordano i tempi in cui le “spartizioni” di interessi concreti erano dominate dalla (vecchia) DC e dal (dimenticato) PSI: dal capoluogo regionale al capoluogo etneo non c’era assunzione di personale in un ente pubblico (o azienda privata rilevante) che non passasse dalle principali segreterie politiche. Oggi le cose non sono cambiate: assunzioni (e tangenti) continuano a passare dalle mani di chi detiene potere politico e la merce di scambio è (quasi sempre) la consistenza del voto che un richiedente può dare in una competizione elettorale.

In un reportage de Il Corriere della Sera pubblicato nel settembre dello scorso anno già veniva evidenziato uno scenario con contorni drammatici: Né studio né lavoro; zero prospettiva per il futuro. Li chiamano neet, sono i giovane della fascia tra i 18 e i 24 anni completamente inattive e il triste primato in Europa di questa forma di apatia tocca alla Sicilia. Il dato viene messo in luce da una ricerca da una ricerca di Eurostat; in Sicilia i neet sono il 41,4% dei giovani primato che l’isola contende alla regione bulgara di Severozapeden. Il dato siciliano abbassa la media dell’intera nazione. Secondo la classifica di Eurostat, pubblicata ieri l’Italia resta il Paese Ue con il maggior numero di giovani completamente inattivi (26%) contro una media continentale del 15,2.

È opportuno esultare, pertanto, per l’aumento del precariato, oppure è più opportuno analizzare le ragioni di questa “crescita” nel mondo del lavoro dei giovani?

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