De Benedetti-Scalfari, una querelle fra miliardari

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di Salvo Barbagallo

 

Fra le tante, importanti problematiche che affliggono il Paese, nella consueta (purtroppo) indifferenza collettiva, riteniamo che sia passata quasi inosservata (tranne per gli “addetti ai lavori) la surreale querelle fra Carlo De Benedetti ed Eugenio Scalfari. Una querelle che trae origine da un conflitto di “opinione” sulla “compravendita” di azioni del quotidiano La Repubblica.

Diciamo subito che a noi interessa ben poco la storia: per dirla chiara, non ce ne frega nulla di chi abbia “ragione” o meno sulla questione, se Scalfari o De Benedetti, ma vale la pena parlarne per porre all’attenzione i “livelli contenutistici” dello scontro fra i due alti personaggi.

Come è riportato dai mass media (ci riferiamo, soprattutto a Huffpost) Carlo De Benedetti, presidente onorario del Gruppo Gedi, in un’intervista rilasciata a Lilli Gruber aveva criticato il fondatore di Repubblica (cioè Eugenio Scalfari), parlando del suo dell’acquisto di quote di partecipazione dandogli dell’ingrato. Huffpost scrive: “Scalfari, saltando a piè pari questo evento decisivo per il Gruppo, falsa (involontariamente?) la storia del Gruppo stesso che, confermo, ho salvato più di quarant’anni fa e questo lo dico non certo per vantarmi, ma per il rispetto della storia”. Una situazione, spiega ancora De Benedetti, a cui si è arrivati quando, a meta degli anni ’80, il Gruppo “si trovava in una situazione tecnica di fallimento”. Fu in quel momento, precisa De Benedetti, che l’avvocato Vittorio Ripa di Meana, allora amministratore delegato del Gruppo, si rivolse al dottor Guido Roberto Vitale, allora amministratore delegato di Euromobiliare. L’Ingegnere ricostruisce così quel momento: “Il dottor Vitale, con un suo collaboratore, si inventò uno strumento molto in disuso nella finanza italiana e cioè le fedi di investimento convertibili e mi propose di sottoscriverne 5 miliardi, cosa che io feci. Successivamente convertii le fedi in azioni del Gruppo Espresso, diventandone azionista al 15% e entrai nel Consiglio di Amministrazione, del quale per trentacinque anni sono stato membro”.

La parola “ingrato” evidentemente a Eugenio Scalfari non va giù “perché gli ho dato un pacco di miliardi“, e risponde: I soldi che diede non legittimano la parola fondatore. E aggiungo che è la prima volta che glielo sento dire. Repubblica è figlia dell’Espresso che fu fondato da Adriano Olivetti, Carlo Caracciolo ed Eugenio Scalfari. Non ce ne solo altri. Ha contribuito con cinquanta milioni ad un capitale di 5 miliardi. Non sono abituato a fissare i prezzi della gratitudine. Sicuramente ce ne siamo ricordati quando poi gli abbiamo venduto Repubblica, ma quello dell’editore è un mestiere che non ha mai fatto (…).

Dicevamo, e a nostro avviso, non occorre andare oltre: impressionano i “livelli” della querelle: i due protagonisti della vita di questo Paese, parlano di “miliardi” come se fossero noccioline, di miliardi che riguardano il mondo dell’editoria, cioè il mondo dell’informazione. Ci chiediamo, allora, ma con questo “tipo” di interessi “economici” a monte, quale tipo di informazione viene data al cittadini che sconoscono gli intrecci che stanno dietro e che, raramente, vengono a galla?

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