Giovani fuggono dalla Sicilia, poi tornano ed è peggio

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di Carlo Barbagallo

 

Fabrizio Micari, rettore dell’Università di Palermo, inaugurando l’anno accademico dell’ateneo, denuncia la grave situazione del lavoro in Sicilia: i giovani sono costretti ad “emigrare” per mancanza di lavoro. Non è che scopra l’acqua calda, Micari: mette soltanto il dito nella piaga, sebbene con ritardo: “È una migrazione diversa rispetto a quella che avveniva in passato: a trasferirsi sono maggiormente i giovani tra i 25 e i 34 anni con un titolo di studio elevato. Tra i ragazzi, il 35,5 per cento è laureato, percentuale che sale al 41 per cento tra le donne. Si tratta di una vera e propria emorragia non solo sul piano demografico, ma soprattutto su quello della conoscenza (…). Peccato che Micari indicando il “problema” non offra o suggerisca soluzioni, ma si limiti ad affermare che i numeri inquadrano una situazione intollerabile: lo scorso anno ben 36 mila giovani hanno lasciato la Sicilia per motivi professionali. È come se l’intera città di Augusta, in provincia di Siracusa, si fosse in un solo istante completamente spopolata (…)”.

Indirettamente Micari smentisce in parte l’Istat che sostiene, nel Rapporto sul benessere equo e sostenibile, che “Nel 2016 circa 16 mila laureati italiani tra i 25 e i 39 anni hanno lasciato il Paese e poco più di 5 mila sono rientrati, confermando il trend negativo del tasso di migratorietà dei giovani laureati”. L’Istat, comunque, rispecchia nel complesso la pesante realtà: “La capacità dell’Italia di favorire prospettive di occupazione altamente qualificata per i laureati italiani continua a mostrare segnali decisamente negativi”. Ma questa situazione come la prendono quanti governano questo Paese, tenendo conto che, statistiche a parte, i “dati” sono in ogni modo in “difetto”, e che le condizioni in cui versano i giovani sono veramente drammatiche? Quanto è utile ricordare soltanto che La fuga dei giovani all’estero, legata alla mancanza di lavoro, costa all’Italia un punto di Pil all’anno, circa 14 miliardi di euro, e che in sette anni il fenomeno ha subito un’accelerazione impressionante essendo passati dai 21 mila emigrati under 40 del 2008 ai 51 mila del 2015? Una situazione che, qualche mese addietro, la stessa Confindustria ha evidenziato che  la vera emergenza per il Paese è l’inadeguato livello dell’occupazione giovanile, che “sta producendo gravi conseguenze permanenti sulla società e sull’economia dell’Italia, sotto forma di depauperamento del capitale sociale e del capitale umano». Si tratta infatti del «vero tallone di Achille del sistema economico e sociale italiano”.

Appena tre mesi addietro l’indagine 2017 sull’occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Esde) pubblicata dalla Commissione UE evidenziava che Quasi un giovane su cinque in Italia, nella fascia tra 15 e 24 anni, non ha e cerca un lavoro né è impegnato in un percorso di studi o di formazione. Si tratta dei cosiddetti Neet e il nostro Paese vanta uno dei tassi più alti d’Europa: 19,9% contro una media nel Continente dell’11,5%. Il report metteva in luce non solo le difficoltà che i giovani incontrano nell’affacciarsi al mondo del lavoro, ma anche tutte le conseguenze che questo comporta. Nel 2016, la disoccupazione fra i 15 e i 24 anni è stata al 37,8%, in calo rispetto al 40,3% del 2015, ma comunque la terza in Europa dopo Grecia (47,3%) e Spagna (44,4%) (….) i giovani hanno sempre più difficoltà nell’entrare nel mercato del lavoro e, quando ci riescono, si trovano spesso in forme di occupazione atipiche e precarie come i contratti temporanei, che possono comportare una minore copertura previdenziale (…).

E sono già state archiviate le indicazioni che già in precedenza aveva fornito Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica di Milano e coordinatore del Rapporto Giovani, che aveva sostenuto che le basse opportunità di occupazione e le inefficienze del mercato del lavoro stanno frenando il pieno e qualificato contributo delle nuove generazioni ai processi di crescita del Paese, ma stanno anche tenendo in stallo da troppo tempo persone oramai trentenni che per motivi anagrafici non possono più essere considerate giovani, ma nemmeno adulte perché ancora lontani dalla conquista di una piena autonomia dai propri genitori e di formazione di una propria famiglia (…).

È vero: i giovani Siciliani fuggono dalla loro terra, ma a volte (forse troppe “volte”) sono costretti a tornare in quanto non è detto che al di là dello Stretto riescono a trovare condizioni più favorevoli. Oggi la Sicilia ha un nuovo Governo, ma i Siciliani da tempo non credono alle promesse dei politici che amministrano la Regione. Sembra che per i giovani, qualunque strada essi tentino di imboccare, non ci sia ormai una meta sicura.

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