Anni ’90: la crisi del sistema creditizio in Sicilia

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di Augusto Lucchese

Il sistema creditizio nazionale, uscito fuori dall’infausto lungo periodo di letargo causato dagli avvenimenti bellici 1940-1945, dovette affrontare giocoforza, ripartendo quasi da zero, i gravi problemi della ricostruzione. Prima d’ogni cosa il rigurgito della mostruosa inflazione che aveva distrutto il valore della moneta, che aveva depauperato le risorse finanziarie del sistema produttivo e che aveva falcidiati i risparmi delle famiglie.
In Sicilia il tutto era aggravato dalla disastrata situazione socio ambientale in gran parte connessa con l’annoso problema del latifondo e con l’endemica presenza mafiosa, a prescindere dai notevoli danni subiti dagli insediamenti abitativi, dalle infrastrutture e dalle reti dei servizi essenziali.
Fu in un tale quadro d’emergenza e in una situazione sociale e politica alquanto ribollente, data la travolgente affermazione del movimento indipendentista, che il Governo nazionale, anche a fronte di accordi tutt’altro che chiari e leali con taluni esponenti politici siciliani, decise di “concedere” alla Regione Sicilia, a mo’ di sedativo, la cosiddetta autonomia.
In funzione della stessa e pur a fronte delle molte limitazioni frapposte, avrebbe potuto concretizzarsi anche in materia di Credito e Risparmio (capoverso “E” dell’art. 17 dello Statuto) un notevole e sostanziale decentramento dei poteri sino a quel momento esercitati, in esclusiva, dal Governo nazionale.
Invece, per manifesta incapacità dei politici siciliani che dominavano la scena dell’Ente Regione, per remore burocratiche, per beghe tornacontistiche di gruppi di potere locali, per disattenzione colposa delle Istituzioni di riferimento, tale acquisita potestà fu purtroppo recepita e adottata in maniera quantomeno impropria, confusa e insicura. Salvo poi, nell’ambito della deleteria tendenza alla spartizione dei cosiddetti “posti di sottogoverno”, ad utilizzare soventemente la strombazzata autonomia per soddisfare deteriori equilibrismi interni ai partiti o quale moneta di compensazione per trombature di natura elettorale.
Personaggi del sottobosco politico, privi di specifica competenza, spesso tagliati fuori da altri incarichi, quando non già bruciati per pregresse soggettive disavventure, furono talvolta portati ad insediarsi in posti di alta responsabilità tecnica e amministrativa quali i Consigli di Amministrazione dei maggiori Istituti di Credito e delle Aziende autonome controllate (si fa per dire) dalla Regione. Sarebbe tedioso ricostruire il lungo elenco delle “nomine” riprovevolmente conferite in tal maniera.
Lo strumento dell’autonomia prese ad essere utilizzato in maniera utilitaristica, disinvolta e poco responsabile. Un cattivo uso che, nel caso specifico del delicato settore creditizio, non poteva non apportare, come di fatto ha apportato, una sorta d’ineluttabile deterioramento del sistema bancario regionale. Anzi, per molti versi, ne ha decretato il graduale disfacimento e ne ha determinato, quindi, il saputo collasso degli anni ‘90.
Escludendo il primo periodo post bellico (dal 1947 agli anni 60) in cui, in verità, la guida degli Istituti siciliani era stata affidata a uomini di assoluto merito e capacità, quali Lauro Chiazzese, Stagno D’Alcontres, La Loggia, Guarino Amella, Restivo, Bazan, La Francesca, sarebbe interessante accertare con quali criteri (non certo quelli della competenza meritocratica) furono di volta in volta scelti e nominati i vari consigli d’amministrazione dei più importanti Istituti di Credito siciliani.
Si dovette assistere, conseguentemente, al dilagare di spregevoli fenomeni di favoritismi (qualcuno asserisce che, non tanto raramente, quei favori fossero più o meno oggetto di scambi ben poco trasparenti), di nepotismo, di clientelismo elettorale, di inusitate pressioni per la concessione di fidi, di continue e strumentali interferenze in materia di assunzioni e avanzamenti di carriera.
Non va dimenticato, tuttavia, che la Banca d’Italia – organo istituzionalmente preposto alla vigilanza di merito – poche volte s’oppose e quasi sempre, pur con qualche riserva, le ratificò.
La crisi del sistema creditizio siciliano, ormai politicizzato a tappeto oltre che condizionato da pesanti interferenze a livello di organi direttivi e deliberativi, da parte di gruppi imprenditoriali d’assalto e di poteri più o meno occulti ma parecchio influenti, ebbe a manifestarsi già agli inizi degli anni ’80. Sia la Regione (in forza della istituzionale attribuzione di competenza) che la Banca d’Italia (a fronte della doverosa e pertinente VIGILANZA) non ritennero confacente assumere adeguate e significative contromisure.
Non seppero o non vollero intervenire a tempo per bloccare, quando ancora era possibile, il degenerare della situazione temporale che presto avrebbe determinato, ovviamente, la notoria contemporanea crisi del Banco di Sicilia e della Sicilcassa.
Specie per quanto riguarda quest’ultima, malgrado le infinite ciance, gli “ordini del giorno”, le numerose sedute della Assemblea Regionale dedicate al problema, malgrado le proteste degli Organi rappresentativi della Fondazione Sicilcassa, malgrado i “documenti” approntati dai sindacati e dall’ANCI Sicilia, la gran parte della compagine politica siciliana e dei parlamentari nazionali eletti in Sicilia, diede ampia dimostrazione di non essere in grado d’affrontare e risolvere il grave problema tanto prepotentemente (ma non inaspettatamente) manifestatosi nel settore creditizio isolano.
È da sottolineare che furono parecchio pesanti le conseguenze di tutto quel marasma, del quale, ancora oggi, se ne risente il deleterio effetto.
Sarebbe troppo prolisso entrare nel merito dei criteri adottati per giungere alle note valutazioni degli Organi tecnici e politici, peraltro basate su contrastanti dati che qualcuno ha ipotizzato fossero “pilotati” e che, talvolta, apparivano come non rispondenti ad un sereno e obiettivo accertamento della realtà.
Sta di fatto che in alto loco (Ministero del Tesoro e Banca d’Italia) non si ritenne di fare ricorso agli stessi criteri che, ad esempio, avevano portato a salvare il Banco Ambrosiano, il Banco di Napoli e altri importanti Istituti di Credito nazionali, precedentemente venutisi a trovare in dissesto o in pericolo di liquidità per vari motivi e cause.
Si decise, invece, di procedere alla “liquidazione coatta amministrativa” della ultra centenaria Sicilcassa, quasi si volesse eliminare un contenitore di pregresse trascuratezze, di insufficiente vigilanza e di conclamate responsabilità.
Basterebbe rifarsi ad alcuni circostanziati interventi giornalistici risalenti al periodo di che trattasi. Varrebbe la pena di rileggerli magari solo per conoscere meglio date e circostanze, anche di natura legislativa e tecnica, che potrebbero servire a fornire più esaurienti informazioni.

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