Finiscono con Totò Riina i “segreti di Stato”?

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di Valter Vecellio

 

Mentre il ministro della Giustizia Andrea Orlando firma un permesso per la moglie e i figli del padrino Totò Riina per poter stare vicini al proprio congiunto in coma, da qualche parte resta nascosto un immenso, occulto “archivio” con custodite prove, documenti, relativi a certe complicità, certe protezioni, che la mafia ha avuto in tutti questi anni. Andrà tutto all’inferno con lui?

Notizia di agenzia: “Il 16 novembre 2017 compie 87 anni, Salvatore Riina, il capo dei capi di Cosa nostra, al 41 bis dal 1993; è ricoverato in gravissime condizioni. Nei giorni scorsi è stato sottoposto a due interventi, nel secondo sono intervenute pesanti complicazioni che hanno reso necessaria una pesante sedazione. Riina è ricoverato nel Reparto detenuti dell’ospedale di Parma. Suo figlio Salvo gli fa gli auguri su Facebook: “Per me tu non sei Totò Riina, sei il mio papà. E in questo giorno per me triste ma importante ti auguro buon compleanno papà. Ti voglio bene, tuo Salvo”.

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha firmato un permesso per la moglie e i figli del padrino, potranno stare vicini al proprio congiunto in fin di vita. Riina sta scontando 26 condanne all’ergastolo per decine di omicidi e stragi, quella di viale Lazio del 1969, quelle del 1992 in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sua la scelta di lanciare un’offensiva armata contro lo Stato nei primi anni ’90. Mai avuto un cenno di pentimento, irredimibile fino alla fine, solo tre anni fa, parlando in carcere con un co-detenuto, si vantò dell’omicidio di Falcone.

A meno di improbabili evoluzioni – magari anche l’Inferno dei credenti si rifiuta di avere come “ospite” uno come Riina – il sanguinario capo della Cosa Nostra corleonese si avvia a seguire la strada dove lo ha già preceduto l’altro suo compare sodale (anche se poi le strade sembrano essersi divise), Bernardo Provenzano.

Non è vero quello che dicevano fin dai tempi dei latini, “Parce sepulto”. Con buona pace di Virgilio, non si può, non si deve sempre perdonare “chi è morto, ovvero è inutile continuare ad odiare dopo la morte”. Al contrario, si può, si deve, continuare a odiare, disprezzare; e soprattutto ricordare. Non si deve e non si può dimenticare quello che hanno fatto Riina, Provenzano e i loro seguaci e complici: i delitti, le stragi, il Male.

Non si deve, non si può. E’ un imperativo. Un dovere.

E’ un imperativo, un dovere ricordare, fare domande, chiedere e cercare risposte. Quando si dice Riina, Provenzano e tutta la Cosa Nostra che in questi decenni si è resa responsabile del massacro di quella grande parte buona della Sicilia e dell’Italia, e ha allungato i suoi tentacoli oltre, ben oltre, i nazionali confini, si vuole anche dire che non ci si deve stancare di ricordare che se Riina, Provenzano, i corleonesi sono stati e sono ancora quello che sono stati e sono, lo si deve al solido, sfuggente, vischioso reticolo di complicità su cui hanno potuto contare, anche – se non soprattutto – in apparati dello Stato che avrebbero dovuto, al contrario, combatterli; e invece li hanno protetti, aiutati, nutriti.

Da qualche parte deve esserci un immenso, occulto “archivio” dove sono custodite prove, documenti, relativi a queste complicità, queste protezioni. Invito a leggere con attenzione quanto segue. E’ un “inventario” di impressionante che aiuta a capire quello che si cerca di comunicare.

E’ l’inventario, il “catalogo” delle cose importanti che sono scomparse, sparite, sottratte.

Sono scomparse le fotografie scattate dai carabinieri sul luogo dell’omicidio di Peppino Impastato, la mattina del 9 maggio 1978, a Cinisi.

Sono scomparsi gli appunti di Impastato sequestrati dai carabinieri nella sua abitazione.

E’ irreperibile la relazione di Pio La Torre, il segretario regionale del PCI, al congresso dell’area metropolitana di Palermo, dell’ottobre 1981, in cui si denunciano le collusioni di alcuni esponenti del partito e delle cooperative di Villabate e Bagheria con esponenti della Cosa Nostra. Non si trovano neppure gli atti del processo avviato dalla commissione provinciale di controllo del PCI nei confronti degli esponenti segnalati da La Torre, assassinato il 30 aprile 1982.

Scomparsi gli appunti del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il prefetto della città di Palermo, ucciso il 3 settembre 1982 assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo.

Scomparso il foglio della relazione di servizio stilata dall’agente Calogero Zucchetto, il primo ad arrivare sul luogo dell’omicidio Dalla Chiesa. Zucchetto viene ucciso il 14 novembre 1982 da due killer corleonesi,  Pino Greco detto “scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo.

Scomparsa anche l’agenda con la copertina rossa del vice-questore Ninni Cassarà, capo della sezione investigativa della squadra mobile di Palermo, ucciso il 6 agosto 1985 assieme all’agente Roberto Antiochia.

Scomparsi alcuni fascicoli per una rogatoria in Svizzera che Cassarà invia dentro un pacco sigillato, il 27 luglio 1985, dieci giorni prima di essere assassinato, ai colleghi della polizia criminale di Lugano.

Scomparsa l’agendina tascabile con la copertina di colore marrone scuso che il 12 novembre 1984 Cassarà sequestra a casa di Ignazio Salvo, al momento del suo arresto per mafia.

Scomparse le video-cassette e un’audio-cassetta che Mauro Rostagno, sociologo e direttore dell’emittente “RTC” di Trapani conserva sottochiave nella sede della televisione o nella borsa che portava con sé, sul sedile posteriore dell’automobile, la sera in cui viene ucciso dalla Cosa Nostra, il 26 settembre 1988.

Scomparsi gli appunti del poliziotto Nino Agostino, ucciso il 6 agosto 1989 da killer della Cosa Nostra, assieme alla moglie Ida Castelluccio, in stato di gravidanza, nella casa al mare di Villagrazia di Carini.

Irreperibile il diario personale di Giovanni Falcone, presumibilmente annotato al computer. Al pari irreperibili le date e il contenuto di alcuni file conservati nella memoria del computer portatile Toshiba ritrovato nell’abitazione palermitana di Falcone solo dopo il primo sopralluogo della polizia giudiziaria. Irreperibili le date di alcuni file composti su un computer portatile Compaq, rinvenuto sulla scrivania dell’ufficio romano di Falcone agli Affari Penali del ministero di Giustizia. Irreperibili le cassette magnetiche dell’unità di backup del computer fisso sistemato accanto al Compaq. Irreperibile l’estensione di memoria del databank Casio Sf-9500 ritrovato nell’abitazione romana di Falcone qualche giorno dopo la strage, con il disco rigido cancellato.

Scomparsa l’agenda di Paolo Borsellino, con il simbolo dei carabinieri sulla copertina rossa in pelle, conservata nella borsa che il magistrato ha sistemato nel bagagliaio della Croma blindata al momento della partenza da Villagrazia di Carini, per andare a trovare la madre in via D’Amelio, a Palermo, dove è stato assassinato con cinque componenti della scorta il 19 luglio 1992.

Scomparsi gli appunti di Totò Riina, tenuti nella cassaforte della villa di via Bernini 54, suo ultimo nascondiglio prima dell’arresto, la mattina del 15 gennaio 1993.

Scomparsi gli appunti del maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo, che aveva offerto un contributo importante per la cattura di Riina, e la sera del 4 marzo 1995 si spara un colpo di pistola all’interno di una Fiat Tipo di servizio parcheggiata nell’atrio della caserma Bonsignore di Palermo.

Ecco elencati molti, ma solo alcuni, degli innumerevoli misteri attorno alla persona di Riina e la “sua” Cosa Nostra. Una tragica cronaca che si avvia, ormai a diventare storia. Una storia di questo Paese, fatta di tante, brutte, oscure, inquietanti storie.

LA VOCE DI NEW YORK

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