Lampedusa, un ricordo…

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di Agostino Spataro

 

Tanta era la gioia di potere accogliere, finalmente, un compagno della Federazione! Una gradita rarità che loro ricompensavano con grande senso di fraternità, con tanta generosità. Con quel poco che c’era, naturalmente.
Ricordo anche i compagni Giovanni Nicolini e Martello, padri di due nostri sindaci, rispettivamente di Giusy Nicolini e di Totò Martello.
Più di una volta, andai in casa del primo a gustare gli ottimi piatti preparati dalla sua cara moglie (e nostra altera compagna) e dal secondo, nell’alberghetto vicino al porto, dove pernottavo (talvolta gratuitamente) e da lui ascoltavo lunghi racconti sulla vita di mare.
Capirete, perciò, che a me, senza entrare nel merito delle ragioni dell’una o dell’altro, che per altro non conosco appieno, fa male assistere a questo scontro duro fra due nostri “ragazzi” della Fgci di Lampedusa, in gran parte dovuto a una diversità di vedute sulla questione dell’accoglienza agli immigrati!
Oggi, Giusy e Totò vivono i loro importanti ruoli da posizioni politiche contrapposte, ma in passato, insieme, hanno fatto grandi cose. Ovviamente, con il concorso di tanti altri compagni, fra i quali ricordo il professor Giovanni Fragapane, uomo di raffinata cultura e indimenticato sindaco dell’isola.
A quel tempo, vedemmo nascere un gruppo affiatato di “vecchi” e di giovani compagni che portarono sull’isola il vento del cambiamento ispirato dal partito di Berlinguer, delle grandi riforme sociali e morali, il senso di un’Italia nuova che si apriva ai diritti (nell’isola quasi del tutto sconosciuti o conculcati) dei lavoratori, degli studenti e, in generale, delle popolazioni meridionali.
Rifondarono il partito, ampliarono la sua base sociale e crearono una seria forza elettorale che ci consentì, in pochi anni, di conquistare, e mantenere (fino ad oggi), il Municipio ossia la fortezza inespugnabile della DC.

3… Tempi difficili, quelli. Allora, nessuno andava a Lampedusa, tranne pochi turisti durante l’estate. Per il resto dell’anno l’isola era quasi spopolata. I giovani “emigravano” per motivi di studio, mentre la gran parte degli adulti, provetti marinai, s’imbarcavano su navi mercantili per mesi e mesi. La loro vita si svolgeva fra l’isola e i mari del mondo.
Io andavo, con piacere, a Lampedusa e anche in altri posti politicamente “disagiati”, difficili. Desideravo confrontarmi con le difficoltà, in nome del Partito. Così come, tempo dopo, partivo per le capitali dei Paesi arabi del c.d. “fronte del rifiuto” (Damasco, Baghdad, Algeri e Tripoli) inviato dai dirigenti della sezione esteri del Pci che, forse,  volevano evitare incontri diretti, “compromettenti”con gli esponenti radicali di quei Paesi che avevano rifiutato gli accordi israelo – egiziani.                                Io capivo e partivo lo stesso. E così, senza compromettermi con nessuno, ebbi l’opportunità di conoscere realtà sociali e culturali di enorme interesse politico e d’incontrare, salutare i loro prestigiosi leader. Chiudo la parentesi araba e rientro a Lampedusa dove andavo soprattutto d’inverno o in primavera (per le campagne elettorali) e mi godevo l’amabilità dei compagni e delle loro famiglie e…il vento incessante che scuoteva la quiete irreale di quel pezzo di roccia emersa dal mare.
Oggi, Lampedusa è divenuta “appetibile”. D’estate vi arrivano (in aereo) tanti turisti milanesi; durante tutto l’anno, sfidando le tempeste e le brutali pretese dei vari “caronte”, vi giungono migliaia d’immigrati dai paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia, a bordo di “carrette” che già alla partenza dalle coste maghrebine sembrano segnate dal teschio fatale.
Più volte, da parlamentare, mi occupai dei problemi dei lampedusani. Presentai interrogazioni, interpellanze ai governi per tutelare i diritti degli isolani. Soprattutto, dopo il “lancio” (vero o presunto?) dei due missili di Gheddafi. Visitai l’Isola trasformata in presidio per il controllo delle comunicazioni militari nel Mediterra-neo.
Il nostro “sogno” era la pace, la cooperazione, economica culturale e reciprocamente vantaggiosa, fra l’Italia e i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, anche per dare un futuro di progresso al Sud italiano, alla Sicilia, a Lampedusa.
Anche oggi, nel vivo di questa infinita “emergenza” migratoria, penso che il futuro di quest’isola diletta è affidato al rafforzamento delle relazioni pacifiche, alla cooperazione fra tutti i Paesi del Mediterraneo. E al “tempo bello”…

4… Purtroppo, nelle acque del Mediterraneo continua a svolgersi la tragica avventura di decine di migliaia di disperati che rischiano la vita (molti la perdono) pur di raggiungere la costa siciliana.
Nell’immaginario degli immigrati Lampedusa è divenuta l’approdo verso la salvezza e la possibilità di un lavoro, anche a nero.
Per questo suo ruolo la piccola isola delle Pelagie è divenuta famosa nel mondo. Soprattutto nei Paesi e nelle città africane e asiatiche di partenza. Sicuramente, gli immigrati se ne ricorderanno per la vita come di un luogo magico dell’approdo, in senso lato, dove si esce dal tunnel della miseria e si spera di entrare in Europa, nell’agognato mondo della prosperità mal distribuita. Alcuni restano in questa Sicilia dolente, sbeffeggiata dalla mala politica e angariata dalla criminalità. In questa realtà cercheranno, tenteranno d’inserirsi pur sapendo che trattasi di una condizione socio-economica difficile, molto al di sotto degli standard medi europei.
Forse, loro non sanno che anche la nuova Europa che abbiamo sognato si ferma a Latina. Per giungere, per attraversare il Mezzogiorno, l’U.E. deve superare una serie di posti di blocco e pagare esosi pedaggi alle forze della conservazione affaristica e parassitaria.
In Sicilia, addirittura, vi giunge sfinita e con lo spirito infranto, seppure carica di finanziamenti che raramente producono nuova ricchezza e posti di lavoro e per lo più vanno ad alimentare un sistema di potere soffocante e retrogrado.
Com’è noto, buona parte di questi stanziamenti resta inutilizzato e/o si perde nei tortuosi meandri dell’ignavia governativa e di una burocrazia elefantiaca e inconcludente.
Anche la classe dirigente del Paese sembra ignorare il dramma secolare che avvolge la Sicilia. L’importante che continui a fornire braccia e intelligenze per far girare il meccanismo economico del centro-nord e voti moderati per bloccare e/o neutralizzare le riforme più innovative.
Per premio hanno promesso lo zuccherino di opere e operette inutili e talvolta immorali.
In realtà, la Sicilia sta soffocando non per carenza di finanziamenti, ma per mancanza d’infrastrutture veramente utili e di libertà d’impresa e di mercato che inducono l’imprenditoria sana a scappare o a non venire… (Continua)

*(dal mio libro, in corso di stampa, “Immigrazione, la moderna schiavitù”  http://ilmiolibro.kataweb.it/…/immigrazione-la-moderna-sch…/)

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