Guai a parlare d’Indipendenza, Catalogna insegna, Spagna arresta

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di Salvo Barbagallo

 

Guai a parlare d’Indipendenza per istituzionalizzare una precisa identità-entità socio/territoriale/culturale/economica: la Catalogna sta offrendo in queste ore un quadro ben chiaro di cosa può accadere a chi cerca l’Indipendenza, in barba a qualsiasi principio di “democrazia”, espressa solo a parole ma non nei fatti.

Oggi (20 settembre) è scattata la morsa fatale del Governo spagnolo di Madrid in previsione del referendum che il Governo di Barcellona ha indetto per il prossimo primo ottobre. Arresti a raffica sin dalla mattina in diversi edifici del governo regionale a Barcellona operati dalla Guardia Civile. Sono finiti subito in carcere i collaboratori più stretti del presidente Catalano Carles Casamajo Puigdemont, e del vicepresidente Oriol Junqueras, incaricato di organizzare il referendum, fra i quali il suo braccio destro Josep Maria Jové e Lluis Salvadó. Le perquisizioni nelle sedi ministeriali sono proseguite per l’intera giornata. La polizia militare è entrata nei dipartimenti Affari economici, Esteri, del Lavoro, degli Affari sociali, del Welfare, delle Telecomunicazioni, delle Imposte, della Presidenza dell’Esecutivo regionale e nel Centro Telecomunicazioni regionale. Mentre Carles Casamajo Puigdemont ha convocato una riunione d’urgenza, il vice presidente Oriol Junqueras ha dichiarato Queste sono cose che non succedono in nessuna democrazia occidentale. Ci sono arresti in strada senza mandati d’arresto e la sindaca di Barcellona Ada Colau ha definito il blitz uno scandalo democratico. Stanno attaccando le istituzioni di questo Paese, quindi i cittadini. Non lo permetteremo. Gli arresti sono già quattordici. La situazione è fluida e gli sviluppi possono essere imprevedibili avendo la Corte Costituzionale spagnola sospeso il Referendum. Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy difende la decisione dell’Esecutivo, affermando che Il governo tutela i diritti di tutti gli spagnoli: i giudici si sono espressi contro il referendum, come democrazia abbiamo l’obbligo di far rispettare la sentenza.

Bene, pensate cosa accadrebbe in Sicilia, che si prepara alle elezioni per il rinnovo del Governo della Regione, se un ipotetico Presidente eletto osasse chiedere l’Indipendenza dell’Isola! Non avrebbe scampo, finirebbe immediatamente in galera e butterebbero la chiave in mare, come suol dirsi. Ma questo “rischio” l’Italia non lo corre, avendo in Sicilia consoli e proconsoli che salvaguardano l’unità nazionale. Chi si stava adoperando in tal senso (Antonio Canepa) tanti, tanti  decenni addietro quando ancora non c’era la nuova Repubblica, non finì agli arresti, ma venne barbaramente assassinato il 17 giugno del 1945 in un’azione militare che ancora lo Stato tiene secretata.

I “nostalgici” dell’Indipendentismo Siciliano si trovano intruppati nei soliti partiti, forse per una questione di sopravvivenza,  e nessun nuovo eletto alla Presidenza penserà mai di indire un Referendum per accertare cosa vogliono veramente i Siciliani. Questo sicuramente sarebbe un grosso rischio che nessun amante della poltrona presidenziale vorrebbe correre. Il risultato per le prossime elezioni sarà (cosa fortemente sbagliata) che i Siciliani potranno decidere di disertare in massa le urne, finendo con il fare proprio il gioco di quanti sperano che l’assenteismo salga in percentuale.

La parola “Indipendenza”, comunque la si pronunci, a chi la pronuncia può portare soltanto problemi. Fino alla settima generazione…

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