Migranti, ora lo chiamano “fenomeno ingestibile”

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di Salvo Barbagallo

 

Migranti, ora lo chiamano “fenomeno ingestibile”, ora tutti (o quasi) ammettono che il flusso dei disperati non è un fatto “normale”, ma “qualcosa” che non è più possibile controllare; soltanto ora si afferma che la “situazione è grave” e addirittura “insostenibile”. E tutto ciò perché negli ultimi giorni in Italia si sono fatti sbarcare 12 mila migranti, da 22 navi, molte delle quali di Organizzazioni Non Governative, come se nelle settimane e nei mesi precedenti non fosse accaduto nulla di simile.

Tornati nell’ombra i cosiddetti “buonisti”, la cui voce non si sente da tempo, così come da tempo sono tornati nell’anonimato i cosiddetti “paladini” dell’accoglienza, adesso si fanno affiorare (si fa per dire) le disfunzioni (sempre o quasi sempre esistite) dei Centri nei quali i rifugiati ora protestano per le “condizioni disumane” nelle quali sono costretti a vivere. Certo, tante e tante persone sono state rinviate a giudizio, dopo che la magistratura ha potuto documentare che molti degli scandali denunciati non erano “soltanto” strumentalizzazioni politiche (da una parte o dall’altra), ma è noto quale sia la durata dei processi ed è altrettanto noto quale possa essere l’efficacia giudiziaria in merito ai radicati sistemi di corruzione e di illecito profitto.

Non può essere trattata come un “fenomeno” la questione migranti, là dove da anni vengono posti interrogativi ai quali non si è data convincente risposta. La questione migranti ha radici lontane, quando i fuggitivi venivano definiti e chiamati “clandestini” e come tali (a volte) venivano considerati e (a volte) rispediti nelle loro terre di provenienza. Il flusso dei “migranti” è andato crescendo nel corso dell’ultimo decennio e ne hanno approfittato in tanti: chi “politicamente”, chi per “opportunismo civile”, chi per mera speculazione con utili economici innominabili e non facilmente controllabili. C’è da ritenere (e le teorie dei complottismi non c’entrano) che questo interminabile flusso derivi da una precisa pianificazione, operata probabilmente a seguito di interessi convergenti da Paesi africani in combutta (?) con Paesi o lobby di Paesi europei. Una teoria campata in aria? Non sappiamo, ma la logica e, soprattutto, i fatti potrebbero portare a questa conclusione.

Germano Dottori (sul numero di settembre del 2015 della rivista italiana di geopolitica “Limes”) scriveva, sotto il titolo “MIGRANTI COME ARMI? La riconciliazione tra Teheran e l’Occidente non ha eliminato le tensioni nel Mediterraneo e il Medio Oriente (…) In questa partita i flussi migratori sono forse usati per condizionare l’Europa”: (…) Il vero capolavoro il Gran Turco sembrerebbe averlo fatto giocando sui sensi di colpa dell’Occidente, attraverso la cinica manipolazione dei flussi dei profughi diretti verso l’Europa (…) Tutto fa ritenere che sia stata una decisione politica, assunta al più alto livello della Turchia (…) Se li si osserva da vicino i profughi sono in larga misura borghesi istruiti, tra i quali non mancano coloro in grado di esprimersi in inglese, si tratta quindi di famiglie appartenenti alle classi privilegiate (…) Esiste poi una seconda possibilità, ben più inquietante. E cioè che l’attuale leadership turca stia usando i migranti come armi o strumenti di segnalazione politica volti a condizionare le nostre scelte (…).

A quasi due anni dalla pubblicazione di questo articolo/analisi sono cambiate (o trasformate?) molte cose, negli USA non c’è Obama ma il Presidente Donald Trump che cerca di invertire la rotta presa dal suo predecessore, della Turchia di Erdogan di tutto si parla ma non degli accordi (attesi o disattesi) con l’UE sui migranti il cui punto di transito consolidato è ormai la Libia, in special modo quella parte di Libia che vanta un Governo (quello di Fayez Al Sarray, voluto dall’ONU e spalleggiato dal nostro Paese) con il quale l’Italia, nel nome di Gentiloni, ha stabilito trattati ben precisi proprio sulla questione migranti.

Ora i buonisti nostrani non animano comizi sull’accoglienza e sull’integrazione dei migranti, lo stesso Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è costretto a sottolineare che si tratta di “un fenomeno epocale che non si può cancellare alzando muri ma occorre governarlo con serietà, assicurando contemporaneamente la sicurezza dei cittadini“, e il Governo manda il suo rappresentante presso la Ue, l’ambasciatore Maurizio Massari, a porre formalmente al commissario per le migrazioni Dimitris Avramopoulos il tema degli sbarchi in Italia. Messaggio consegnato alla Commissione che, praticamente, dice: “la situazione che stiamo affrontando è grave, l’Europa non può voltarsi dall’altra parte…”. Come dire, stiamo scoprendo l’acqua calda.

Ancora, però, si tace sulle cosiddette ONG che mandano le loro navi a raccogliere a poche decine di metri dalle spiagge libiche i migranti per scaricarli in Sicilia e nei porti del Sud; ancora, però, nessuna iniziativa viene intrapresa nei confronti del Governo di Fayez Al Sarray (voluto dall’ONU e spalleggiato dal nostro Paese) che continua ad essere foraggiato dall’Italia nonostante favorisca apertamente il deflusso dei migranti dal suo territorio e alimentando (direttamente o indirettamente?) gli stessi trafficanti d’esseri umani.

Più volte (comunque da un decennio) La Voce dell’Isola ha cercato di approfondire la delicata questione migranti/clandestini/fuggitivi/disperati, registrando che la situazione si appesantisca ogni giorno che passa, ponendo interrogativi (rimasti senza risposta), avanzando analisi e ipotesi senza mai definirle “fenomeno”. Oggi diciamo che si tratta di pianificazione ostile? Si vedrà domani, quando (forse) si parlerà chiaro sull’intera vicenda.


Come è nostra consuetudine, riproponiamo articoli pubblicati in precedenza


20 dicembre 2014

Sbarcano tutti in Sicilia

di Salvo Barbagallo

Sbarcano tutti in Sicilia, chi di passaggio, molti per prendere qualcosa, pochi per restarci.

Sbarcano i migranti disperati e non sanno a cosa vanno incontro nei centri di accoglienza, ma contano di non essere rispediti a casa loro, e quindi chi può si dà alla fuga. E tra i migranti, a quanto pare, ben mimetizzati terroristi dell’Isis che di certo non hanno voglia di farsi identificare e anche loro scompaiono per le contrade siciliane e italiane.

Sbarcano gli sceicchi e comprano pezzi di patrimonio isolano.

Sbarcano i russi e comprano pezzi di petrolchimico e cercano di mettere le basi con pompe di benzina già in alcune province.

Sbarcano i cinesi e cercano di monopolizzare il commercio spicciolo, con l’intento di mettere e fare crescere (o nascere) i loro figli con una nuova nazionalità.

Gli statunitensi sono già sbarcati nel lontanissimo 1943, e dopo pochi anni hanno pensato bene di insediarsi in maniera stabile nella Terra del sole con tanto di agguerrite installazioni militari.

Ora sbarcano pure i “nordisti” di Salvini convinti, e non a torto, che possono prendere a piene mani voti, adesioni e simpatie, ovviamente con intenti non opportunistici ma semplicemente politici…

Chi sbarcherà ancora in Sicilia? Quelli della ferocia inumana dell’Isis sono alle porte, a un tiro di schioppo: è solo questione di tempo, appena si saranno consolidati in Libia e in altri territori dell’area mediterranea, cercheranno di varcare la “porta d’ingresso” dell’Europa, la Sicilia, per proseguire nella loro atroce conquista del vetusto e indifferente mondo Occidentale. Le avanguardie dell’Isis non sono costituite solamente da quei presunti terroristi segnalati e ora ricercati, ma anche da quei fanatici “occidentali” che credono d’aver trovato la loro luce nelle farneticanti leggi della Jihad islamica, aderendovi senza pensarci troppo. Anche dall’Italia partono per arruolarsi nelle compagini del terrore: sarebbero quarantotto, mentre il Viminale l’estate scorsa aveva sostenuto fossero soltanto due quelli di nazionalità italiana. Il quotidiano “Repubblica” sostiene che “i nostri connazionali che hanno ceduto al fascino perverso del radicalismo islamico sono in realtà più di quanti ne avesse dichiarati il ministero dell’Interno“.

Non si deve sostenere (e neppure ipotizzare)  che il flusso continuo di migranti costituisce una vera invasione: sulla disperazione di chi cerca di allontanarsi da guerre e massacri non si può dissertare. Gli ultimi duecento migranti sono stati salvati dalla Marina militare greca al largo del Peloponneso: si sono rifiutati di sbarcare in Grecia e hanno preteso di essere “accompagnati” a rimorchio in Sicilia: sono stati accontentati. Sbarcheranno anche loro in Sicilia: ci resteranno? Poco importa, anche sulla loro presenza-soggiorno c’è chi ha avuto modo di speculare e trarne profitto. C’è da chiedersi se fra gli ultimi arrivati ci sarà qualcuno che si farà fotografare, come è accaduto con gli attuali ricercati, con il volto coperto e il kalashinkov  imbracciato…


5 aprile 2017

Migranti: gli “accordi italiani” con i Libici non servono a nulla

di Carlo Barbagallo

 

È opportuno che la diplomazia italiana compia tutti i passi possibili, con tutte le varie sfaccettature che rappresentano la Libia di oggi, ma gli accordi non servono a nulla se il problema non viene risolto a monte.

Nelle attuali condizioni a trarre vantaggio dalla “buona volontà” dell’Italia volta ad “aiutare” chi governa quel Paese (in un modo o in un altro), sono soltanto le diverse e contrapposte “parti” libiche. Che hanno (alla fine e forse) ben ragione di approfittare delle elargizioni che vengono date in cambio di una firma (poco affidabile) tracciata su un foglio di carta. La cancellazione dalla faccia della terra di Gheddafi e del suo regime hanno riportato indietro di decenni la Libia e provocato una destabilizzazione che ormai si protrae dal 2011 e che appare irreversibile. Il governo di Fayez Al Sarraj voluto e imposto dall’Onu e avallato anche dall’Italia dimostra quotidianamente la sua limitata influenza sul territorio, il contrapposto governo di Tobruk del generale Khalīfa Belqāsim Haftar non è che sia in una situazione tanto migliore: il premier Gentiloni cerca e firma accordi a destra e a manca nel tentativo di bloccare l’enorme flusso di migranti che stazionano nelle aree di pertinenza dei due leader che mirano a una impossibile egemonia sulla loro collettività. Così (quasi) sicuramente cadrà nel vuoto l’ennesima scesa in campo (quella di venerdì 31 marzo) del ministro degli Interni Marco Minniti, con un accordo di pace tra le tribù del Fezzan, siglato in un clima top secret, al ministero con l’obbiettivo di accelerare la lotta all’emergenza dei flussi migratori.

Un accordo/patto con lo scopo di intensificare non solo il controllo delle coste libiche, ma anche quello a sud del Paese, lungo i 5 mila chilometri al confine con Ciad, Algeria e Nigeria, viene messo subito in discussione dalla migrazione di centinaia di “fuggitivi” che sono stati raccolti (come accade spesso) a poche miglia dalle coste libiche. Oggi, infatti, è atteso un nuovo sbarco di profughi a Trapani: nel porto del capoluogo attraccherà la nave “Prudence” di Medici senza frontiere, che ha recuperato 295 persone in diverse operazioni nel Canale di Sicilia. A bordo si trovava anche un bambino di due anni, che è stato trasferito d’urgenza a Malta per esigenze mediche.

L’accordo sottoscritto con i Capi delle Tribù libiche è stato salutato come un evento eccezionale: sul fronte libico meridionale, l’Italia interverrà con mezzi e risorse per la formazione del personale. Il Viminale esulta: Sarà operativa una guardia di frontiera libica per sorvegliare i confini a sud della Libia, su 5000 chilometri di confine. Mentre a nord, contro gli scafisti sarà operativa la guardia costiera libica, addestrata dalle nostre forze, che dal 30 aprile sarà dotata delle 10 motovedette che stiamo finendo loro di ristrutturare (…) Sigillare la frontiera a Sud della Libia significa sigillare la frontiera a Sud dell’Europa (…). C’è da chiedersi come abbiano già potuto eludere i controlli i 295 migranti raccolti in mare dalla nave di Medici senza frontiere.

Ed è passata praticamente inosservata una nota dell’Agenzia Ansa del 24 del mese scorso che riferiva che Un tribunale di Tripoli ha bloccato qualsiasi accordo sui migranti derivante dal memorandum of understanding (MoU)” firmato dal premier libico Fayez Al Sarraj e dall’Italia a febbraio: lo scrive il sito Libya Herald segnalando la sentenza ma avvertendo che “resta non-chiaro” quale sarà l’impatto del pronunciamento avvenuto ieri sulla “determinazione europea” a fermare i migranti in cooperazione con il consiglio presidenziale di Sarraj. Il ricorso accolto da tribunale era stato presentato da “sei persone fra cui l’ex ministro della Giustizia Salah Al-Marghani”, ricorda il sito precisando che la contestazione riguardava non solo il “controverso piano” di riportare migranti in Libia ma anche la legittimità di accordi stipulati dal “Governo di accordo nazionale” (Gna) di Sarraj che non riesce ad ottenere la fiducia del parlamento insediato a Tobruk (…).

È proprio la condizione in cui versa oggi la Libia che difficilmente può portare a una via d’uscita per quanto concerne la questione migranti, e patti ed accordi, a conclusione, servono ben poco.


27 aprile 2017

Cosa accade nella vicina Libia mentre si infuoca la polemica sul traffico dei migranti?

Libia, a due passi da Casa nostra, la Sicilia. Libia, un Paese del quale si ignorano gli avvenimenti del quotidiano, un Paese dove c’è ufficialmente un Governo a Tripoli (quello di Al Sarraj) voluto dall’ONU e sorretto dall’Italia, un altro a Bengasi (quello del generale Khalifa Belqasim Haftar), e dominato dalle Tribù. Si conosce ben poco della vita di ogni giorno, nonostante i “Trattati” firmati dall’Italia con Fayez Al Sarray e i capi delle Tribù per frenare il continuo flusso dei migranti: non esiste (per quel che è dato constatare) un “Osservatorio” super partes che informi e denunci gli abusi che si perpetrano a danno dei profughi che finiscono in mano ai trafficanti di esseri umani. Si possono registrare soltanto le “conseguenze”, le polemiche sulle organizzazioni che “provvedono” ai soccorsi in mare dei fuggitivi, ma la verità non viene a galla. E per quel che è dato conoscere, neanche in  Sicilia esiste un apposito “Osservatorio” per analizzare i flussi, le provenienze dei migranti. L’accoglienza non basta per “aiutare”.

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