La strage di Capaci e i molti conti che non tornano

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Il 23 maggio 1992 il fotografo Antonio Vassallo immortala i primi scatti a Capaci. Due agenti di polizia in borghese gliele sequestrano, ma il rullino non arriverà mai agli inquirenti. Il primo di una serie di strani episodi avvenuti, con una domanda: chi erano i due agenti?

di Valter Vecellio

 

Ai conti che non tornano si rischia di fare l’abitudine. Al tempo stesso, l’abitudine bisogna cercare di non farla mai. Senza cedere a tentazioni dietrologiche (spesso ottengono il concreto effetto contrario a quel che ci si prefigge: invece di chiarire quello che è oscuro, si contribuisce a ulteriormente intorbidare scena e contesto), qualche domanda occorre pur farsela; non foss’altro per stroncare sul nascere dubbi e sospetti. È per esempio fresco di stampa un libro di Carlo Sarzana di Sant’Ippolito, “Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, le cose non dette e quelle non fatte” (Castelvecchi editore).

Racconta di molti episodi strani, prima e dopo la strage a Capaci e la morte di Falcone. Per esempio, quello che accade a un fotografo, il primo che accorre sul luogo della strage; si chiama Antonio Vassallo, questo fotografo. Scatta fotografie, e due subito agenti di polizia in borghese, comparsi dal nulla, gli intimano di consegnar loro il rullino. Lui pensa che le fotografie saranno consegnate agli inquirenti, per cercare di capire cosa è successo. Passa il tempo, e viene a sapere che quelle fotografie non risultano agli atti. Vassallo queste cose le ha dette di recente in un’intervista al “Tg2”; ma due anni fa le aveva dette in un’altra intervista, al “Tg3”; nel settembre del 2015, in un’intervista, pubblicata su un sito on line, “SanVitoIn”.

Otto mesi dopo il sequestro delle fotografie, Vassallo scopre che agli inquirenti non sono mai arrivate. Come lo scopre? Viene interrogato da Ilda Bocassini, che da Milano si è fatta trasferire a Caltanissetta, proprio per indagare sulla strage a Capaci e per cercare di dare nomi e volti di chi ha ucciso il suo amico Falcone. Vassallo si rende conto che le sue fotografie non risultano agli atti. Ne chiede il motivo; e così sa che quelle fotografie al magistrato non sono mai state date. Giorni dopo viene poi contattato dal questore Arnaldo La Barbera: gli assicura che le fotografie sono state inviate, il ritardo si deve al fatto che l’agente aveva dimenticato il rullino in tasca. Spiegazione che appare ridicola. Comunque, quel rullino agli atti non risulta esserci neppure dopo. Nessuno sa dire che fine abbiano fatto quelle fotografie. Quanto a La Barbera, non può spiegare più nulla; è morto.

Il dubbio di Vassallo: chi erano i due agenti in borghese? Perché quel sequestro? Forse ha fotografato inconsapevolmente qualcuno o qualcosa che non doveva essere fotografato? Fatto è che a distanza di tanto tempo, e nonostante Vassallo queste cose le dica e ridica, nessuno si dà pena di smentire, o semplicemente di spiegare.

Sempre a proposito di conti che non tornano Salvo Palazzolo nel suo libro “I pezzi mancanti” (Laterza), racconta, tra le tante cose  che  Giuseppe Ayala, amico e collega di Falcone, una sera lo va a trovare al palazzo di giustizia di Palermo. “Prendi un sorso di whisky”, dice Falcone ad Ayala. “Devo terminare una cosa”. Quando finisce di scrivere sul computer portatile guarda Ayala: “Sto annotando tutto quello che mi sta succedendo per ora in ufficio. Qualunque cosa dovesse succedere, tu sai che è tutto scritto”. Ma dopo la strage, non si trova alcun diario sui computer portatili di Falcone. E altri computer, trovati fra le abitazioni e l’ufficio romano del giudice, risultano manomessi”. Lo racconta Ayala. E qualche domanda, inevitabilmente, uno finisce per farsela. Chiamatela, se volete, diritto alla conoscenza.

LA VOCE DI NEW YORK

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