Dal 2019 si potrebbe alzare ancora l’età pensionabile. Ipotesi allo studio.

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di Luigi Asero

 

L’età della pensione potrebbe alzarsi ulteriormente. Questo perché il meccanismo in base al quale il Governo emana il decreto che ne fissa i limiti è legato all’aspettativa di vita oltre i 65 anni.Ciò significa che alzandosi l’asticella dell’aspettativa di vita oltre i 65 anni si alza (quasi automaticamente) l’età pensionabile.

Secondo i tecnici della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei ministeri dell’Economia e del Lavoro infatti, se nel 2013 l’aspettativa di vita per un uomo in normali condizioni di salute era di 18,6 anni (oltre i 65), nel 2016 questa è passata a 19,1 anni, stessa cosa per le donne che nel 2013 avevano un’aspettativa di vita pari a 22 anni mentre nel 2016 la loro aspettativa di vita sarebbe salita a 22,4 anni. Questo porterebbe il Governo ad alzare ulteriormente l’età pensionabile a 67 anni a partire dal 2019, contro i 66 anni e 7 mesi di adesso. Si parla di 5 mesi ma il conto, in favore degli enti previdenziali diventa enorme se il calcolo lo si fa tenendo conto dell’intera classe lavoratrice.

Fin qui, semplificando un po’ il discorso, l’aspetto tecnico. Ma in concreto è fattibile l’emanazione di un nuovo decreto che innalza lo scalino dell’età pensionabile? Sì è fattibile, il punto è: a quale costo? Che il decreto sia emanato dopo l’estate, come ci si attende,  o che sia emanato successivamente questo si scontrerebbe con i malumori di gran parte dell’elettorato. Infatti se è vero che chi non se la sente può far ricorso all’Ape (anticipo pensionistico) è vero anche che lo fa a proprie spese visto che la banca viene ricompensata con una parte della pensione del richiedente. Chi non supera i 1.500 € di pensione farà invece ricorso all’Ape Social (anticipo pensionistico i cui costi sono interamente a carico dello Stato), ma in questo caso lo Stato invece che togliersi un’uscita (l’erogazione immediata della pensione) se ne sobbarca i costi andando ad allargare ulteriormente la forbice del debito pubblico (e quindi, di riflesso, inevitabilmente il carico fiscale per i cittadini, quel carico fiscale che a proclami da decenni vorrebbe ridurre). Inoltre ritardando l’uscita dal mondo del lavoro di quanti hanno già superato un certo limite d’età inevitabilmente ritarda il potenziale ingresso di nuovi giovani lavoratori che sempre più difficilmente (grazie alla Legge Fornero) potranno raggiungere il traguardo dei contributi richiesti se immessi tardivamente nel circuito produttivo.

Sembra insomma il serpente che si morde la coda. Si cercano infatti soluzioni per ridurre i costi (naturalmente sempre a sfavore dei lavoratori) ma si trovano soltanto soluzioni che rinviano i problemi creandone di nuovi e più grandi.

Sembra assurdo che nessuno fra tecnici e politici pensi che il lavoro si deve creare. Agevolare imprese, ricerca e servizi appare come l’unica soluzione per creare nuovi posti di lavoro (immettendo così anche i giovani e diminuendo la disoccupazione), pagare le pensioni maturate (grazie al maggior gettito contributivo) ed evitare di ridursi alla situazione in cui -ci perdonino i lavoratori dipendenti- dietro gli sportelli rischieremo di vedere soltanto dei pannoloni, nemmeno mentalmente lucidi.

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