Perché combattere oggi se poi uccidiamo il futuro?

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di Luigi Asero

 

Si discute spesso, ci si accalora, si discute nei bar e (sempre più spesso) sui social. Si discute di futuro anche quando il futuro appare come lontana chimera, come meta forse irraggiungibile. 

Se ne parla comunque e questo sta a significare che a tutti interessa comunque parlare in prospettiva, che si riscontrano i problemi reali e che per questo si cerca di trovare soluzione, o più facilmente un “novello masaniello” capace di guidare i popoli verso un più sicuro approdo.

Ma perché parlare di un qualcosa che noi stessi (non tutti sia chiaro) uccidiamo? Il futuro sono i bambini di oggi, il futuro è l’ambiente in cui viviamo, il futuro è la politica che -bene o male- è comunque destinata a governarci. Invece questo futuro lo uccidiamo giornalmente, coscientemente.

Inizialmente pensavamo di scrivere del neonato trovato abbandonato e poi morto ieri a Settimo Torinese, a poca distanza temporale da un caso simile avvenuto a Trieste. Ma poi pensiamo alla strage di Manchester, ai bimbi lasciati annegare in mare da scafisti e trafficanti senza scrupoli, a bimbi che muoiono di fame entro pochi mesi di vita in troppi Paesi poveri, mentre i “grandi della Terra” discutono di fame nel mondo davanti a sontuosi banchetti in località da sogno. Pensiamo alle stragi di uomini impotenti fatte in nome di una presunta religione per un nemmeno tanto celato desiderio di potere mondiale. Pensiamo che senza bisogno di pensare alla tragedia di bimbi morti ci basta pensare che altri soggetti senza scrupoli seppelliscono materiali tossici per lucro, o altri (spesso entità governative di varia estrazione) provano sul territorio, nell’ambiente che ci circonda, la potenza di armi nuove e meno nuove. Tutto mentre la comunità internazionale si interroga sui pericoli rappresentati dal presunto “dittatore” di turno. Personaggio solitamente usato da tutti i soggetti in campo e additato quando si ritiene opportuno scaricarlo per sostituirlo con un nuovo fantoccio.

Viviamo un’epoca in cui da un lato ci si preoccupa della carenza di lavoro e dall’altro si finanziano progetti per la completa automatizzazione dei cicli produttivi. Così che, evidentemente, non si risolverà il problema del lavoro ma solo la sempre crescente bramosia delle élite finanziarie.

Perché stupirci dunque se qualche madre sconsiderata piuttosto che lasciare in un ospedale il frutto della sua carne preferisce abbandonarlo in strada a morire? Non ci stupisce. Ci addolora, tanto, nessuno può capire in che misura  addolori noi che scriviamo qui non per ambizioni (saremmo altrimenti una testata super-finanziata). Ma questa è la missione che ci siamo dati con il nostro scrivere: dirvi che schifo di mondo stiamo -tutti insieme incoscientemente- creando. Un mondo dove un neonato per qualcuno vale già meno di un rifiuto.

A questa persona, chiunque sia (che sia la madre o che sia un magnaccio, per esempio), permetteteci di augurare le pene dell’Inferno. A voi tutti però diciamo: nessuno è senza colpa, se questo mondo va così la colpa è un po’ di tutti, del nostro menefreghismo. E non abbiamo, nessuno, alibi che tenga.

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