“Lo Stato nascosto” e lo Stato che verrà

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di Giuseppe Stefano Proiti

 

Stasera, in prima visione Rai1, il film di Fiorella Infascelli metterà nuovamente al centro i paladini della Giustizia Falcone e Borsellino, con gli attori protagonisti Massimo Popolizio e Beppe Fiorello. “Era d’Estate”, ma viene proprio da dirlo, in Sicilia è sempre “inverno”, o meglio, inferno. Sono ancora nell’aria le aspre e condivisibili critiche sollevate del noto giornalista Guido Ruotolo. In un periodo in cui la Giustizia fa acqua da tutte le parti, e molti autorevoli magistrati spesso lamentano inadeguatezza e mancanza di mezzi effettivi per combattere il fenomeno mafioso, la Rai avrebbe invece speso un milione e settecento mila euro per il programma dedicato a Falcone e Borsellino lo scorso 23 maggio, in occasione del 25esimo anniversario della strage di Capaci. Serata brillantemente condotta da Fabio Fazio che ha visto la partecipazione non solo di celebri artisti, ma anche della seconda carica dello Stato Pietro Grasso, il quale in più domande scomode che gli sono state poste ha dribblato con evidente imbarazzo. Ma allora, dove sta la verità?
Sono piovute lamentele addirittura riguardo all’opportunità di fare una trasmissione così “pomposa”. Oltre l’indubbio merito degli artisti che si sono esibiti, gli italiani hanno avvertito un fastidioso senso di ipocrisia, uno Stato finto che si celava dietro quel “canto di legalità”.
<<E’ un giorno in cui ci dovrebbe essere silenzio e parsimonia, per il rispetto del dolore di tutte le vittime di mafia>>, ammonisce la madre di Attilio Manca (in breve: un omicidio di mafia fatto passare per suicidio).
Ecco che allora tornano care tutte quelle sere in cui dei semplici cittadini, che hanno veramente a cuore la civiltà e la sanità delle istituzioni, si sono riuniti e confrontati sul tema. Una delle migliori è stata sicuramente quella organizzata lo scorso 14 marzo dall’avv.to Salvo Emanuele Leotta:  <<Con somma gioia inauguriamo questo decimo anno associativo, incontrando il mondo palermitano, epicentro della fatica letteraria dal titolo Lo Stato nascosto. Noi dell’associazione L’Impulso, che mi onoro di presiedere, crediamo che questo libro sia un’occasione davvero arricchente per tornare a rileggere senza distorsioni informative, una tra le pagine più complicate della storia della nostra Repubblica, perché quando si parla della Trattativa Stato-mafia, c’è sempre un alone di mistero che rimane, una prova che manca, quella ricorrente domanda: come sono andate realmente le cose”?
Stasera affronteremo questa tematica da diversi punti di vista: da quello testimoniale, a quello testuale e argomentativo, per cui tanti mondi verranno a confronto. Ringraziamo sin d’ora gli ospiti Salvatore Insegna, (editore), Monica Capodici (autrice del libro), la signora Angela Manca (madre di Attilio), il dott.re Sebastiano Ardita (magistrato), Salvatore Borsellino (fratello del giudice-eroe Borsellino), Brizio Montinaro, Antonello Marini (ideatore del libro), il giudice Nino Di Matteo, curatore della prefazione.

Prende per primo la parola il giudice Ardita: <<E’ bene sgomberare il campo da un equivoco fondamentale. Lo Stato è un’entità che vive dell’apporto di singole persone. Se qualcuno ha un ruolo all’interno dello Stato, non per questo rappresenta sempre lo Stato, perché a volte, ahimè, può agire anche nell’interesse personale, commettendo personalmente degli errori, oppure agisce per coprire degli errori commessi da altri. Allora quando si verificano casi del genere, quella persona in quel momento è un cittadino, non è più lo Stato. Quest’ultimo ha una funzione di perseguimento del bene pubblico e chi sbaglia al suo interno, in un sistema democratico nel quale valgono le regole di diritto, dovrebbe rispondere di quello che fa. Non dovrebbe utilizzare come scudo il fatto di essere stato un esponente dello Stato, e quindi lo Stato, perché non lo è, ribadisco: è soltanto un cittadino. Questo equivoco  è la vera ragione per cui c’è una grande intolleranza rispetto a tutti i processi nei quali qualcuno ha commesso qualcosa nell’esercizio di un potere pubblico. Questo nasce per due ragioni. Primo perché esiste una resistenza inevitabile di tutti gli organismi che esercitano il potere a vedere contestate le proprie azioni. E quando si ritiene che una scelta sbagliata non fosse solo di un singolo, ma è una catena di scelte in cui si individuano più soggetti che avevano delle responsabilità istituzionali, e dunque si rischia non che singole scelte ma sistemi di scelte sbagliate vengano aggalla, allora scatta un meccanismo di auto-protezione. Dico questo senza pregiudizi, con grande laicità e grande rispetto di tutto ciò che si svolge nei processi,però dobbiamo batterci perché venga fuori la verità, perché non ci siano censure, dobbiamo essere garantisti nel senso vero e non strumentale del termine. Questa mia premessa è prodromica a un punto fondamentale: il fatto che questo libro s’intitoli “Lo stato nascosto”, ci fa comprendere come ci siano stati degli errori fatti, rispetto ai quali sarebbe stato molto più coerente e più giusto che chi li ha fatti e li ha coperti, si assumesse la propria responsabilità, dicendo <<ho sbagliato>>, invece purtroppo, un altro grosso difetto non dello Stato come entità, ma del potere in sé come momento di deviazione della propria funzione, è quello di non riconoscere mai i propri errori, bensì di coprirli, indebolendo chi vuole scoprire la verità. Questo è un grossissimo handicap del nostro sistema.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono figure profondamente umane, contro cui noi spesso pensiamo che ci sia stato un esercito organizzato di criminali con i mitra, ma c’è stato anche contro qualcosa di molto più semplice, molta invidia, da parte di una “fetta istituzionale”. La loro grandezza, vedete, non era tanto dovuta al fatto che avessero molta intelligenza, ma perché hanno avuto il coraggio di combattere con una forza incredibile battaglie molto difficili e di crederci fino in fondo, mettendosi con estrema coerenza contro il potere. Oggi che questo “potere che spara”, si è trasformato in “qualcosa di diverso”, la battaglia diventa ancora più difficile, perché il nemico è irriconoscibile. Tutto ciò che è violento trova diverse forme per esprimersi: la violenza fisica è la più brutale, ma ha manifestato i suoi limiti strategici, perché contro di essa scattano dei meccanismi di autodifesa della collettività, e siccome le persone per bene sono sempre più dei criminali, la violenza fisica ha perso. Oggi il potere si traveste da altre forme di violenza, utilizza sistemi diversi, l’isolamento, soprattutto la corruzione. Quindi ci sono delle resistenze diverse, che si verificano ad esempio nei processi, nell’accertamento della verità. Ricordo che negli anni ’80, dei giornalisti riuscirono a filmare una conversazione tra due anziani magistrati, i quali nei riguardi di Falcone dicevano: “dobbiamo caricarlo di processetti, così lui si troverà in difficoltà e non potrà occuparsi di 416bis”. Ecco, da una frase del genere, tutti avremmo dovuto imparare qualcosa. Non tutti coloro i quali svolgono una professione legale, ma soprattutto chi svolge un ruolo politico e legislativo. Gli strumenti che oggi ha il magistrato per contrastare questi fenomeni sono assolutamente scarsi, e quei pochi esistenti non sono per niente agili. Oggi, dopo 40 anni, noto che ancora si approvano leggi che appesantiscono enormemente la già grave condizione giudiziaria. Nel ddl penale che sta per essere approvato, vengono stabiliti degli oneri incredibili a carico delle Procure, che entro 3 mesi dalla scadenza del termine delle indagini devono definire i procedimenti, altrimenti devono informare il procuratore generale per far avocare tutti i procedimenti che non si sono riusciti a definire. Ma come fa? Visto che la Procura Generale ha un quarto dei ministeri della Procura della Repubblica. E comunque se non riusciranno a definirli (e non ci riusciranno, perché arrivano milioni di processi) questi procedimenti saranno sottoposti a indagini preliminari. Dunque, come la “Medicina difensiva”, si sta creando una “Giustizia difensiva”, in cui il giudice se non compie in un lasso breve di tempo le sue attività è sottoposto a un certo tipo di verifiche. Questo “metodo dei processetti” si è proliferato e il sistema vive purtroppo sempre più nell’otturazione, nella troppa “Giustizia dei fatterelli” e nella poca qualità dell’impegno in fenomeni molto più gravi. Nei meccanismi del riciclaggio di denaro sporco, ad esempio, se si perde un passaggio, quei soldi reinvestiti dai prestanome sono imprendibili. Allora il rischio è che questo flusso di denaro illecito non si interrompe, non torna allo Stato sotto forma di sequestro o confisca, noi da qui  a una generazione, rischiamo di avere un’economia pulita minoritaria rispetto a quella sporca. Ci sono forze economiche che gestiscono soldi sporchi, e noi abbiamo difficoltà processuali ad arrivarci, perché mancano gli strumenti adeguati>>.

Dopo l’utilissimo spunto critico dell’illustre magistrato, dal pubblico si leva una domanda: <<come è nata l’idea del libro Lo stato nascosto>>? Risponde Antonello Marini:  <<Oggi c’è un “business dell’antimafia” da parte di moltissime realtà associative che per la maggior parte non sono sincere negli ideali che professano, cavalcano questa materia per altri scopi. Dunque c’è una necessità di Verità che vuole emergere, per rimanere attinenti alla memoria di quei fatti collettivi, e non cadere nel tranello di voler interpretare i fatti in modo personale. Approfitto di questi incontri per portare il ricordo di questi due uomini fantastici che ho avuto l’onore e la fortuna di conoscere in Sicilia. Io faccio l’agente di scorta da 30 anni, molte persone dicono che Falcone e Borsellino, non sono degli eroi, ma solo persone che hanno fatto il loro dovere. Io non la penso così; penso che ci sono persone che hanno dentro una luce diversa, e la percepisci subito, nei loro occhi, nei loro sguardi, nei loro sorrisi, nei loro gesti.
I nostri eroi da lassù ci guardano e si nutrono del nostro coraggio. Credo che dobbiamo mettere in campo i valori migliori per vincere questa battaglia, e i mezzi migliori sono la Speranza, contro la cultura mafiosa. Il problema “culturale” è ancora più nefasto di quello della criminalità in senso stretto. Dobbiamo liberarci di questa cultura, altrimenti è un terreno fertile su cui attecchisce nuovo male>>.

Ha concluso l’incontro con le parole più emozionanti Salvatore Borsellino: <<Prestando fede al giuramento che ho fatto a mia madre il giorno dopo la morte di Paolo, fino a quando ci sarà qualcuno che parlerà di lui, mio fratello non sarà morto. Questo lo faccio da tanti anni incontrando solo i giovani nei quali io credo, e mi rifiuto di incontrare gli adulti. Ci sono stati periodi in cui ho smesso di parlare, avendo a un certo punto perso la speranza, ma poi mi riaccendo quando leggo quelle due parole che scrisse nell’ultimo giorno della sua vita: “sono ottimista”! A volte mi chiedo: “che stimoli hanno questi giovani”? Dal momento che a scuola non studiano quella che è la parte più importante della storia del nostro Paese. Gli ultimi 20 anni di storia sono fondamentali per capire, quello che accade oggi. E alla tv i ragazzi cosa vedono? Fiction come “Il capo dei capi”? Dove si presenta Riina come un eroe negativo ma sempre un eroe? Facendo quindi passare il messaggio che chi ha il potere e il denaro è da ammirare?
E’ chiaro che in una società così materialista i giovani devono maggiormente faticare per custodire dentro di sé le aspirazioni più pure. Ma io a questi ragazzi dico sempre: ho sbagliato tutto nella mia vita. Il primo sbaglio è stato quello di andare via dalla Sicilia, credendo di trovare al nord un altro Paese. Credetemi, non è servito a nulla. Io oggi vivo in Lombardia, ma vedo esattamente quelle stesse bassure da cui sono fuggito: la politica che si scambia i favori con la mafia. Ed è per questo che vi dico con forza: io so che pensate di lasciare questo Paese, ma quest’altro “Paese delle Meraviglie” non c’è, io l’ho cercato e ho sbagliato. Restate in Italia, perché l’Italia è vostra e ve la dovete riprendere, e io so che ve lo riprenderete, perché ci credeva Paolo, io oggi ci credo …  e dovete crederci pure voi … con tutta la vostra forza … lo dovete a questi grandi martiri. In questo Paese, purtroppo, è successo qualcosa di terribile, di anormale, di profondamente ingiusto. Falcone e Borsellino sono morti in guerra non perché gli ha sparato in faccia il nemico, ma sono morti di “fuoco amico”, traditi alle spalle da chi avrebbe dovuto combattere insieme a loro. E’ soprattutto per questo, che io vi chiedo … vi imploro … continuate a lottare per la Verità e la Giustizia. Viva i giovani d’Italia>>!
Scriveva Paolo in una lettera:  <<Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di combattere, di quanta io e la mia generazione ne abbiamo avuta. Io sono sicuro che questi giovani un giorno sentiranno e saranno loro a farlo sentire nel nostro Paese quel fresco profumo di libertà che purtroppo ancora oggi è sommersa dal puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e della complicità. Perché questa è la vera mafia, il vero nemico da combattere, contro il quale tutti dobbiamo sollevare il nostro grido di desistenza … desistenza … desistenza … >>

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