Tornano nella Valle Alcantara le reliquie di San Cremete

San Cremete
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di Nello Cristaudo

Una singolare iniziativa, promossa dal rettore del Santuario del S.S. Crocifisso di Moio Alcantara  nonché parroco anche di Malvagna  don  Daniele Torrisi, ha  consentito di  riportare nella Valle Alcantara le reliquie di San Cremete, che attualmente sono custodite nella basilica di Santa Maria in Randazzo. Con questa geniale idea del poliedrico  Padre Daniele, si è voluto dare  rilievo  ad un  santo cattolico di rito bizantino vissuto nella Valle dell’Alcantara, ma rimasto sempre nell’indifferenza delle comunità e delle istituzioni.

Cremete, anacoreta,  abate e poi santo è vissuto nel lontano XI secolo.  La vita scritta, si basa su tradizioni locali e su documenti del monastero di S. Salvatore di Placa a Francavilla di Sicilia  in provincia di Messina. Sulla Sicilia vi era la dominazione saracena e Cremete si era ritirato fra le rovine di un antico eremitaggio, posto fra le pendici dell’Etna e la foresta di Placa.
Quando Ruggero I, principe d’Altavilla († 1101) dopo aver combattuto i musulmani, riuscì ad impadronirsi di tutta l’isola, Cremete gli si presentò per chiedergli aiuto nella ricostruzione del diroccato cenobio, portandogli in dono della selvaggina viva.  Il re gli concesse quanto chiedeva; il diploma di fondazione del monastero e della chiesa annessa di Francavilla, porta la data del 1092; essi furono dedicati al S. Salvatore e Cremete ne divenne l’abate; morì l 6 agosto del 116.  La festa liturgica di San  Cremete ricorre insieme a quella  del S. Salvatore a cui era dedicato il monastero cioè il 6 agosto; in questo giorno si espone il suo corpo, posto in un reliquiario con iscrizione in greco.

Come si diceva Cremete fu il fondatore del monastero di San Salvatore della Placa oltre che il suo primo abate, carica che mantenne sino alla morte.  Quel poco che si sa sulla sua vita si deve a due sacerdoti agiografi del XVI secolo , ossia l’abate siracusano Ottavio Gaetani e quello netino Rocco Pirri, mentre l’unico documento probativo è la reliquia del capo di San Cremete, conservata nella chiesa di Santa Maria a Randazzo. Per il resto, tutto si è perso nei secoli bui del Medioevo. Pur senza averne le prove, Giuseppe Plumari, nella sua “Storia di Randazzo”, ha ritenuto Cremete originario di Costantinopoli, mentre Vincenzo Sardo, nella sua “Storia di Castiglione”, ha sostenuto che ebbe i natali in tale Comune etneo.

Cremete visse nel periodo in cui il conte Ruggero il Normanno intraprendeva la liberazione della Sicilia dagli Arabi. Reduce dall’espugnazione di Taormina, il nobile si stava dirigendo verso Troina, capitale del suo nascente principato, passando anche per i boschi della Valle dell’Alcantara, allora pullulanti di bande di malfattori. Cremete volle incontrarlo per ringraziarlo della sua opera di epurazione degli infedeli, e lo condusse sull’alta rocca dove aveva edificato una piccola chiesa.

Al potente visitatore, il mistico avrebbe voluto donare qualcosa di particolare, e si rivolse a Dio per ottenere un suggerimento al riguardo. L’ispirazione celestiale lo portò a chiamare ad alta voce un gran numero di bestie feroci che radunò attorno a sé nell’intento di offrirle tutte in dono a Ruggero. Quest’ultimo rimase ammirato ed al contempo divertito nel vedere quelle terribili fiere assumere un atteggiamento estremamente mansueto.

Il gran Conte rimasto sorpreso di questa figura che al suo dire odorava di santità, per glorificare l’autenticità della sua esistenza ordinò che in quel luogo venisse costruito un monastero, un monastero dei Basiliani del quale il Cremete ebbe affidata la direzione e ne fu persino il primo abate. Inoltre concedeva alcune terre et vigesimam numerationem hominum Castrileonis.   Dallo stesso Cremete, Ruggero, si fece condurre sulla rupe dove doveva sorgere il Cenobio, e rivolgendosi a lui disse: “Questa contrada sarà del monastero che fonderai a maggiore gloria di Dio”.

Sito davvero inespugnabile, altissimo e difficile da raggiungere. Nel 1093 Cremete ebbe concesso il feudo della Placa e dintorni, mentre il Monastero veniva insignito di privilegi ed immunità.  Inizialmente fu un cenobio dotato di giurisdizione propria, nel 1131 venne posto sotto l’Archimandritato del Santissimo Salvatore di Messina, nel 1133 dipendeva ancora dall’Archimandritato pur rimanendo autodespota, nel 1328 il convento ospitava sei monaci, nel 1336 sette, e nel 1448-49 il feudo di San Paolo appartenente al monastero, chissà, forse sotto pressione dei Ruffo signori di Francavilla, viene interamente venduto.

Nel 1457 circa, il territorio  della Placa monastero compreso vengono annessi come proprietà dai Francavillesi.

Sul finire del XVII secolo, i monaci, a causa del terribile terremoto del 1693 che causò la rovina del monastero, si trasferirono  nella vicina  città di Francavilla, altri nella città di Castiglione, ospiti inizialmente in un’ala del castello. Nel 1770 i monaci si trasferirono definitivamente a Randazzo portando seco la Reliquia del Santo, ivi, tutt’ora conservata. Il Cremete morì e  fu sepolto proprio nel suo nido d’aquila. La tomba dove giacevano le sue spoglie fu purtroppo profanata presumibilmente nella seconda metà del 1700.

Il culto del Santo fu vivo a Francavilla di Sicilia, considerato peraltro santo protettore, sino alla soppressione dell’ordine Basiliano. E pare addirittura che si debba a Cremete la devozione dei francavillesi per la loro patrona Santa Barbara. Il monaco basiliano, infatti, avrebbe portato dall’Oriente una reliquia della vergine e martire cristiana (ossia l’osso frontale collocato in un mezzobusto d’argento), e quando i religiosi del suo Ordine, lasciarono il monastero di Francavilla per trasferirsi a Randazzo , durante il trasloco, proprio mentre i monaci stavano prendendo la reliquia di Santa Barbara per portarsela nella loro nuova dimora, scoppiò un violentissimo temporale, che venne interpretato come la volontà della martire di voler rimanere a Francavilla. I monaci decisero, quindi, di lasciare la reliquia nella chiesa dell’Annunziata, e non appena la depositarono lì, il tremendo uragano d’improvviso cessò ed il sole tornò miracolosamente a risplendere, fenomeno questo che si sarebbe puntualmente manifestato successivamente ogni qualvolta, preoccupata dalle avversità atmosferiche, la popolazione francavillese portava in processione la statua di Santa Barbara per implorare il cessare delle intemperie. Malgrado la santità ricoprisse la sua persona, Cremete fu osteggiato dai suoi monaci, che nutrivano nei suoi confronti un odio particolare perché voleva il rispetto della regola,  tanto che ordirono un vero e proprio attentato cercando di ucciderlo buttandolo giù dall’alta rupe sulla quale si ergeva il monastero. Ciò nonostante, Cremete cadde su una sottostante roccia rimanendo perfettamente incolume, come se degli angeli lo avessero preso in volo e protetto.

L’anno scorso, ricorreva il novecentesimo anniversario della morte di San Cremete, avvenuta nel 1116, passata nell’oblio e da nessuno  ricordato nè a Randazzo, né a Castiglione di Sicilia  e nemmeno a Francavilla, paese dove si festeggiano in “pompa magna” un incredibile numero di santi tranne che lui, pur trattandosi dell’unico santo locale. Inoltre, a Francavilla una via è a lui dedicata, ma chi lo ha fatto in passato,  ha commesso  un grave errore: nell’intitolare la via è stato scritto via  Fra  Cremete e non via San Cremete o abate Cremete giacchè i frati nascono dopo con San Francesco d’Assisi.  Sarebbe opportuno correggere e con l’occasione festeggiare, magari il prossimo 6 agosto con una cerimonia civile e religiosa, il santo francavillese che nella chiesa d’oriente e in quella cattolica di rito bizantina in molti venerano.

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