Dalle cose che ci dicono a quelle che preferiamo ignorare

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di Salvo Barbagallo

Una decina di giorni addietro (per l’esattezza il 23 febbraio scorso) su questo giornale scrivevamo: La “consuetudine” della cronaca è spietata:

mettendo in “primo piano” gli avvenimenti che si ritengono più importanti, relega nel dimenticatoio questioni che magari fino a qualche ora prima erano ritenute vitali. L’informazione è oggi un “bene” primario per conoscere non solo cosa accade nel mondo ma, soprattutto, cosa accade in casa propria. Ribadiamo quanto scritto e, parlando in prima persona, cioè da giornalista con oltre cinquant’anni di professione sulle spalle e di esperienze vissute direttamente, dobbiamo dire che in questo mestiere di nuovo c’è solo la tecnologia perché l’uomo che scrive (o parla in televisione, o nelle emittenti radiofoniche) presenta (quasi) sempre le stesse originarie caratteristiche espressive: informare, ma seguendo principalmente le tendenze del momento, quelle che stuzzicano il lettore, quelle che fanno più audience. Non solo. L’informazione è condizionata dalla struttura di provenienza (giornali, Tv, Radio), nella maggior parte di natura privata, quindi sottoposta a inevitabili condizionamenti. Ovviamente questa è un’opinione personale che può (correttamente) non essere condivisa. Con ciò non si vuole affermare tout court che tutta l’informazione sia pilotata, ma di certo non si può ritenere che tutta sia libera, come si vuol far credere.

I fatti divisi dalle opinioni? Dagli avvenimenti del quotidiano derivano immancabilmente le “opinioni” di chi legge o ascolta. Il guaio è (a prescindere dalle variegate sfumature politiche) che poche risultano sul mercato le voci fuori dal coro che, in un modo o in un altro, vengono alla fine considerate di parte e, di conseguenza, meno attendibili. Informazione fotocopia? Raramente un lettore acquista più giornali, ma grazie alle rassegne stampa che offrono le emittenti televisive si può notare che i titoli principali degli argomenti trattati sono pressoché simili (se non eguali), mentre la cronaca, a conti fatti, viene presentata per quella che è, se pure con le variegate sfumature che distinguono una pubblicazione dall’altra, un notiziario tv o radiofonico dall’altro.

Questo spiega (o dovrebbe spiegare) perché un fatto di cronaca può trasformarsi in “caso”, in “evento straordinario” martellato per giorni, per poi scomparire o ricomparire dopo tempo ed essere ripreso come “novità”: un polverone copre un precedente polverone mentre le “verità” si disperdono perché, magari, non fanno più “notizia” o perché è subentrata l’assuefazione. Enorme la responsabilità dell’informazione come viene espressa oggi con la sua grande forza di penetrazione che condiziona (volente o nolente) anche chi è solito e abituato alla “riflessione”. Non ci sono vaccini né mezzi immunitari adeguati per fronteggiare le spinte esterne; così come non c’è “difesa” preventiva in un contesto sociale apicale che appare corrotto e dal quale dipendono le sorti della collettività.

Il rischio che si corre continuamente è la perdita graduale della fiducia. Fiducia in chi e in cosa con gli stravolgimenti che si verificano ogni giorno e che l’informazione registra? Non ci sono (almeno apparentemente) gli strumenti opportuni per “scoprire” il vero stato delle cose: è sufficiente affidarsi a ciò che viene divulgato normalmente? Restano le “interpretazioni”, restano le “opinioni”. Ma sopra ogni cosa c’è un “potere”, quale che sia e quale si presenti. E chi lo ha, sa farne buon uso. Ovviamente, sempre a discapito degli altri…. Ecco perché spesso si preferisce ignorare ciò che ci dicono…

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