La Sicilia tra forze militari russe e americane

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di Salvo Barbagallo

 

Scomparso Matteo Renzi dalla scena dei mass media che occupava con grande tracotanza, fievole (più che altro soft) l’immagine del nuovo premier Gentiloni, è l’ondata di freddo e l’arresto del killer di Capodanno a Istanbul a tenere desta l’attenzione di quanti hanno tempo e voglia di seguire le informazioni del giorno. Anche il neopresidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, dopo l’exploit dell’intervista ai giornali tedeschi (il Bild) e britannici (il Sunday Times) passa la mano temporaneamente in attesa del suo insediamento alla Casa Bianca che avverrà ufficialmente fra 48 ore. Manca in Italia e, soprattutto in Sicilia, un “particolare” interesse per quanto accade nell’altra (vicina) sponda del Mediterraneo, cioè in Libia mentre (è nostra opinione) l’interesse dovrebbe essere costante e approfondito in quanto le vicende che toccano quel Paese ci riguardano direttamente. È dalla Libia, infatti, che proviene il principale flusso di migranti/profughi che vengono salvati dalle navi della Coalizione per essere sbarcati nei porti siciliani, e nella Libia che si svolge un conflitto interno che ha (inevitabilmente) ripercussioni in Europa e, principalmente, in Italia. Manca un “osservatorio” qualificato e le informazioni che si riescono ad avere sono spesso confuse, contradditorie o di parte e difficile, pertanto, avere un quadro chiaro della situazione. Bisogna allora affidarsi (e fidarsi) delle notizie che la stampa specializzata offre e cercare di ricavarne un’opinione che sia quanto più vicina alla realtà.

La portaerei Admiral Kuznetsov

Gianandrea Gaiani sul giornale online Analisi Difesa ci mostra uno scenario fin troppo trascurato dai mass media tradizionali nel suo editoriale dal titolo “Se i russi tornano (in armi) in Libia”.

Gaiani scrive: La visita inaspettata del maresciallo Khalifa Haftar sulla portaerei Ammiraglio Kuznetsov, in rotta di rientro dalla acque siriane dove i suoi jet hanno contribuito alla vittoria ad Aleppo, ha un significato strategico ben più rilevante di un semplice “mostrar bandiera” di Mosca nella nostra ex colonia. Haftar e il governo laico di Tobruk hanno incassato un “endorsement” di tutto rilievo da una Russia che appare sempre più influente in Medio Oriente e Nord Africa, dove emerge come unica potenza che abbia la determinazione e le capacità per combattere e vincere le forze islamiste nella loro più vasta accezione (dallo Stato Islamico ad al-Qaeda, dai Salafiti ai Fratelli Musulmani). In Tripolitania il governo su cui ha puntato l’Onu (e l’Italia) mostra di non avere alcun controllo del territorio neppure nella capitale, ormai in mano alle milizie dei fratelli Musulmani di Khalifa Ghwell, che guidava il governo islamista di Tripoli decaduto nell’aprile scorso con l’arrivo di al-Sarraj dalla Tunisia, ma che già due volte aveva tentato di riprendere il controllo della capitale. In Cirenaica invece le forze di Haftar e del premier Abdullah al-Thani controllano saldamente il territorio pur combattendo le milizie islamiste nei sobborghi di Derna e Bengasi, controllano i pozzi e i terminal del greggio della cosiddetta Mezzaluna Petrolifera e si pongono come unica forza affidabile per stabilizzare la Libia (…).

Con una situazione del genere il governo Gentiloni (sorta di Renzi/bis) riapre l’ambasciata italiana a Tripoli con la prestigiosa visita del ministro dell’Interno Marco Minniti e con l’insediamento del nuovo ambasciatore Giuseppe Perrone, ritenuto il “migliore conoscitore della regione e delle tematiche politiche del Mediterraneo. E ciò mentre erano in corso (vere o false che siano state) operazioni militari di miliziani ribelli di Khalifa Gwell (ex primo ministro del disciolto governo islamista di salvezza nazionale) che tentavano di occupare alcuni ministeri del governo di Fayez Serraj, voluto e appoggiato dall’Onu e dall’Italia.

Annota opportunamente Gianandrea Gaiani: (…) Il rafforzamento militare e politico di Haftar coincide con il caos nell’ovest che rischia di far naufragare il piano discusso nei giorni scorsi a Tripoli dal ministro italiano degli Interni Marco Minniti per boccare i traffici di immigrati illegali che attualmente rappresentano la metà del PIL della Tripolitania. Il tracollo di al-Sarraj spiazza USA ed europei che hanno voluto e sostenuto quel governo anche se negli ultimi giorni non sono sembrati così solerti nell’esprimergli il loro appoggio come ha fatto invece l’Italia riaprendo l’ambasciata a Tripoli. L’imbarazzo dell’Occidente a Tripoli rischia di lasciare a Mosca l’opportunità di inserirsi anche nella crisi libica in appoggio alla fazione più solida e laica, anche se non riconosciuta dall’Onu. La visita di Haftar alla portaerei Kuznetsov rappresenta infatti uno schiaffo anche alle Nazioni Unite non tanto per l’ufficialità dell’incontro, ma perché l’intesa firmata da Haftar e dal Contrammiraglio V. N. Sokolov, dopo una teleconferenza con il ministro della difesa Sergei Shoigu, sembra concretizzare il ritorno, in armi, dei russi in Libia (…).

Per quanto ci riguarda da vicino e in poche parole: potremmo ritrovarci con forze militari russe a un tiro di schioppo dalla Sicilia, fronteggiate (è il caso di dirlo) proprio in Sicilia da forze militari straniere, quelle statunitensi, che stazionano ormai da tempo in forma stabile a Sigonella e nelle tante altre basi sparse sul territorio.

A noi sembra incredibile che chi governa la Sicilia (per non dire, chi governa l’Italia) e tutti i Siciliani non si rendano conto della pericolosità della situazione…

 

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